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 2012  dicembre 31 Lunedì calendario

IN CERCA DI UNA NUOVA NORMALITÀ

E se il 2013…? E se il 2013 non fosse «l’ultimo anno della crisi», e nemmeno «l’anno della ripresa», ma almeno «L’Anno Con Qualche +», il primo dal 2008 in cui cominciamo ad aggiungere il segno positivo davanti a qualche dato, in economia, lavoro, sviluppo? E se nel 2013, come già in Asia e in America Latina, tornasse uno sprazzo d’azzurro tra le nuvole plumbee della recessione d’Europa? E se il 2013, qui i lettori e le lettrici guardando i prezzi del Cenone di San Silvestro arricciano il naso increduli, qualche segno «+» scattasse anche da noi, in Italia, o magari un «meno» davanti a voci come «disoccupazione giovanile», «lavoratori di mezza età senza posto», «aziende chiuse», «lavori pubblici fermi», «start up digitali che non decollano», «restrizioni burocratiche all’innovazione»?
Non gettate via infastiditi la vecchia, cara Stampa, lettori, non è il classico pezzo di Capodanno intriso di ottimismo, che già domani svapora, coppa di spumante dimenticata dopo la festa. E per convincervi che «se il 2013…» può essere, a costo di fatica e idee, portafortuna efficace, vi riporto a un anno fa, 31 dicembre 2011. Solo dodici mesi or sono la Grecia era spacciata, la Spagna a un passo dalla catastrofe, l’Italia a due passi. Nelle birrerie tedesche non si vedeva l’ora che l’euro fallisse, discutendo se fosse meglio tornare al marco o a un euro di serie A per il nord Europa e uno di serie B per i Paesi del Sud. Davanti alla Tempesta Default il naufragio d’Europa era certo: come nel film La Vita di Pi, la questione non era «se», ma «quando» la Tigre della crisi avrebbe sbranato il pivello Pi della nostra economia, alla deriva nell’Oceano Debito.

Non è andata così. La Grecia è in Europa, malmessa ma c’è. L’euro è vivo, grazie alla frase storica di Mario Draghi, un italiano alla Bce: «Faremo tutto il necessario per salvarlo». L’austero The Economist ricorda che -secondo Citigroup- la Grecia ha ancora 60% di possibilità di lasciare la divisa comune, ma un anno fa era al 90%. L’arcigna agenzia S&P ha aumentato da poco (avete letto bene: «aumentato!») il rating della Grecia fino a un imprevedibile B-.

Grazie al lavoro di Mario Monti, alla sagacia del presidente Napolitano, alla maggioranza dei partiti tutti che, pur tra turbolenze, hanno sostenuto il governo e soprattutto grazie agli italiani che hanno accettato i sacrifici, consapevoli che milioni di evasori irresponsabili se la ridono, il nostro paese lascia il 2012 non risanato, non riformato, senza segni «+», ma capace almeno di porsi la domanda «E se il 2013 fosse l’inizio della fine dei tempi cupi?».

Cina e India cresceranno nel 2013, meno del previsto ma cresceranno, con i cinesi a rodare il nuovo governo e gli indiani con un problema «italiano», tagliare la burocrazia, liberalizzare o fermarsi. L’America, se il presidente Obama non sprofonda nell’«abisso fiscale», potrebbe crescere del 2%, Tokyo e Londra dell’1%, l’Europa solo di un modesto «0, E Se…?». Ma davanti a questi numeri anemici, brindando a mezzanotte, ricordate le profezie nefaste del 2011. E alzate il bicchiere anche ai pessimisti, che lasciandoci intravedere il disastro vicino ci hanno spronato ad evitarlo.

Curioso 2013: chi potrà mai negare che, senza stimolare ancora l’economia occidentale, rischiamo di lasciare un’intera generazione senza lavoro, famiglia, speranze? Ma chi può non vedere che senza rigore, con bilanci formato chewing gum, si spaventano i mercati e creano velenose bolle speculative? Chi governerà a Berlino e a Roma, le arene delle due grandi elezioni europee 2013, dovrà essere un virtuoso, ogni giorno leggere insieme le pagine sulla crescita di Lord Keynes, alternandole ai classici liberisti. Stato e Mercato son parole che profumano di XIX secolo: l’economia digitale le assorbe insieme, ha bisogno di scuole e infrastrutture, libere idee, liberi scambi. Sfida affascinante e paradossale: l’America, patria del capitalismo, sceglie Obama che difende la spesa pubblica, la Germania del «capitalismo sociale» deve innovare e aprirsi o si fermerà a sua volta.

Da noi «E se il 2013…?» significa che, dopo una campagna elettorale in cui il favorito Bersani, il debuttante Monti, il redivivo Berlusconi, gli outsider Grillo e Ingroia se le daranno di santa ragione come inevitabile, dovremo avere un governo capace di riforme, crescita, rigore, trasparenza, onestà e lotta alla corruzione e alle mafie. Di creare lavoro, scegliere chi merita, ridare alla politica forza, rispetto, autorevolezza. Chi sa di poter vincere dovrà contenere i colpi della campagna, per non compromettere i negoziati e le intese dopo il voto. Difficile, ma possibile «Se nel 2013…».

Ciascuno di noi, nella sua famiglia e comunità, può sperare che il 2013 sia ricordato non come l’anno in cui i problemi sono finiti, ma come la ripartenza, in modo che nei cenoni futuri si possa dire lieti «…In fondo da quel 2013 in poi…». Non fidatevi quindi di astrologi, calendari e oroscopi, ricordate che i disastri annunciati nel 2011 li abbiamo evitati lavorando sodo, innovando con fantasia e coraggio, anche noi italiani. Con questa speranza, auguri 2013!