Enrico Currò, la Repubblica 29/12/2012, 29 dicembre 2012
L’ESILIO DI UNA BANDIERA “CHE AMAREZZA VEDERE IL MILAN SENZA MAGIA”
[Maldini: “Io escluso, ma indipendente”] –
MILANO
Dal cancello della casa di Paolo Maldini, quando c’è la partita, si vede la processione diretta a San Siro. Oggi non è giorno di partita e nel salone bianco l’imprenditore Maldini parla di calcio con amore intatto e senza malinconia, mentre i figli Christian e Daniel s’affacciano a salutare. È un uomo soddisfatto di se stesso e della propria famiglia: non ha bisogno del calcio per vivere. È assai più probabile che il calcio italiano, in crisi tecnica e etica, abbia bisogno di lui. Invece, tre anni e mezzo dopo l’addio, continua lo spreco di un fuoriclasse che gli altri ci invidiano anche per l’intelligenza e l’immagine.
Maldini, è vero che lei si candiderà nel partito di Berlusconi?
«Assolutamente no. Berlusconi, dopo la festa per i 25 anni di presidenza, non l’ho mai più visto, né sentito. E comunque la politica non è una mia aspirazione».
Perché, allora, non lavora nel Milan?
«Il club, giustamente, fa le sue politiche: le decidono il presidente e la dirigenza».
Ma così non rischia un futuro fuori dal calcio?
«Nulla mi toglierà quello che c’è stato. Ho avuto un legame così forte col Milan che è difficile immaginarmi in un’altra realtà, anche europea: le possibilità si assottigliano».
Elenchiamole.
«Premessa: non mi sto offrendo al Milan, faccio l’imprenditore immobiliare. Se però mi chiede quale ruolo potrei avere nel calcio, rispondo».
Allenatore?
«La vita da nomade che ho visto fare a mio padre non fa per me».
Dirigente?
«Posso portare la mia conoscenza: i 31 anni di calcio e i 13 da capitano del Milan. Non è che abbondi gente che sa di tattica, di calciatori, di psicologia calcistica ».
Figc, Fifa o Uefa?
«Un incarico di rappresentanza non mi interessa».
Intanto lei è una risorsa sprecata.
«Vengo visto come una risorsa o come un problema? Sa che cosa mi dà davvero fastidio?».
Prego.
«Al Milan ho avuto la fortuna di partecipare a 25 anni splendidi. Quando arrivai, c’era già una grande base di calciatori e persone. Berlusconi ci ha insegnato a pensare in grande e si è creato qualcosa di magico. A poco a poco il Milan si è trasformato da squadra magica in squadra normale ».
Perché?
«Perché — a differenza di tanti grandi club europei, dove chi ha scritto la storia ha potuto restituire quello che aveva imparato — la società ha smesso di trasmettere quel messaggio. Nel Milan non c’è nessuno, tra chi ne ha fatto la storia, ad avere un ruolo non marginale. Pensi invece al Bayern, con Beckenbauer, Hoeness, Rummenigge, o al Real, con Butragueño, Gallego, Valdano».
Berlusconi teorizza la politica degli Under 22.
«Quelli bravi costano dai 20 milioni in su. Abbassare gli ingaggi e ringiovanire è fondamentale, ma la valutazione dei giocatori non so da chi venga: Braida fa sempre meno quel lavoro. Soltanto con i giovani non si vince.
Per entrare tra le prime 3 al Milan serve un girone di ritorno prodigioso ».
È vero che gli ultimi due allenatori hanno cercato di portarla a Milanello?
«Leonardo mi voleva, gli risposi che senza un ruolo non aveva senso. E Galliani, in presenza di Leo, mi disse che il ds è una figura che non esiste più e che il Milan era a posto in quel ruolo. A me sembra che ci sia carenza».
E Allegri?
«Mi chiamò mentre ero in vacanza negli States: mi spiegò che aveva bisogno di me per gestire il
gruppo. Lo avvisai che avrebbe potuto rappresentare un problema per lui, mi disse che con la società sembrava tutto ok. E via sms mi scrisse che mi avrebbe chiamato entro pochi giorni. Era ottobre del 2011, non l’ho più sentito ».
Pensa che Galliani non la voglia?
«Può darsi. È il dirigente che ha vinto di più ed è legittimo che si scelga i collaboratori. Ma vorrei sfatare la diceria che io sarei uno della famiglia. Non mi vogliono così spasmodicamente».
È deluso?
«Provo amarezza, come molti miei ex compagni, quello che si è creato insieme si è dissolto. Ho giocato più partite di tutti nella storia del Milan. Ma sento un debito di riconoscenza. Lo dissi al presidente, prima di smettere. L’aspetto economico non può farmi effetto. La soddisfazione di fare qualcosa di travolgente non ha prezzo. Un calciatore dovrebbe avere più coscienza del proprio ruolo. E coraggio, per cambiare ».
Cambiare che cosa?
«Stadi vecchi e violenza: non è questa la mia idea del futuro. Ho visto Juve-Chelsea e ho trovato una squadra che gioca un calcio tra i migliori 5-6 d’Europa in uno stadio moderno. Per il resto, in Italia, gli stadi vuoti mi mettono tristezza. A San Siro almeno hanno rifatto il campo. Ma c’è voluta una figuraccia europea, perché il Barcellona si era lamentato. Dovremmo guardare agli altri sport».
Tipo?
«A New York vedo i Knicks nel basket e gli Yankees nel baseball. Lo spettacolo rispetta lo spettatore. La legge sugli stadi è ferma da tre anni. Siamo vecchi. Anche tra i dirigenti: Albertini e Tommasi sono le uniche facce nuove degli ultimi 25 anni».
Più calciatori nel governo del calcio?
«Platini, da presidente Uefa, ha dimostrato che un ex calciatore con la testa può dare idee innovative. Il fair-play finanziario è importante, per gareggiare ad armi pari».
Ma la tecnica del Barcellona trionfa lo stesso.
«Una squadra rivoluzionaria, come l’Ajax di Michels e il Milan di Sacchi. È l’elogio della democrazia del calcio, con tanti giocatori di 1,65 o giù di lì, che non fanno vedere il pallone agli avversari. Messi vale Maradona. Ed è un modello di comportamento».
I club italiani puntano finalmente sui giovani.
«Mi sa che sia del tutto casuale, ma può essere un bene. L’esempio è De Sciglio».
La grande scuola difensiva italiana si sta esaurendo?
«Un problema globale: solo Thiago Silva fa la differenza. Imparare a correre dietro l’avversario è molto più duro che attaccare e meno gratificante».
Prandelli ha tolto all’Italia la fama di patria del catenaccio.
«La Nazionale mi piace. Ma questa storia del catenaccio è un luogo comune assurdo. Lippi era un catenacciaro? E Sacchi? E mio padre con tre attaccanti?».
Chi è il migliore calciatore italiano, oggi?
«Mi piace tanto El Shaarawy. Spero che rimanga umile: la testa non è un dettaglio».
Vedi Balotelli.
«Se non trova la tranquillità personale, sarà sempre un’eterna promessa».
La sua maglia numero 3 è stata ritirata: potrebbero indossarla solo i suoi figli Christian, 16 anni, e Daniel, 11, che giocano nelle giovanili del Milan.
«Non è uno dei miei primi pensieri e spero che non sia il loro. La pressione che avevo io, figlio di Cesare capitano del Milan, è moltiplicata».
Studiare e fare sport ad alto livello, in Italia, non è semplice.
«Molti ragazzi vengono sradicati e non sempre la scuola aiuta. Io, che pure ho avuto la fortuna di studiare nella mia città, avevo una professoressa che mi chiamava “il calcista”. Nelle università americane chi ha talento nello sport viene trattato come un genio matematico».
Lei ha giocato più minuti di tutti ai Mondiali: è il record che più la inorgoglisce?
«Mi inorgoglisce il senso della lealtà. La cosa più bella, da quando ho smesso, è questo riconoscimento generale. E poi sono fiero della mia indipendenza intellettuale. Io non sono una persona perfetta. Ma la mia indipendenza non la baratterei proprio con nulla ».