Paolo Di Paolo, Il Messaggero 2/1/2013, 2 gennaio 2013
OGNI GIORNO UNA FESTA
Nessun giorno è un giorno qualunque. Ogni capodanno sembra affacciarsi su un calendario del tutto nuovo, vergine, e invece - ancor prima di cominciare - è già fitto di date speciali, di giorni «segnati». Sui prossimi 365 giorni, ben 250 porteranno con sé non solo santi e feste comandate, ma anche una incredibile quantità di celebrazioni laiche, civili, spesso eccentriche. Ogni giorno è legato a qualcosa - concetti astratti, salvaguardia di animali, organizzazioni nazionali e internazionali. Se siete amanti dei gatti, dovrete celebrarli il 17 febbraio; se invece vi stanno a cuore le rane bisognerà ricordarsene il 27 aprile. Per ridere, il giorno più giusto è il 14 maggio (giornata della risata); per andare un po’ più lenti del solito e attenuare la frenesia, segnatevi il 27 febbraio. Hanno la loro data - oltre a mamme, papà e nonni - anche gli Ufo, il 3 luglio.
UN PO’ DI RESPIRO
Tra le giornate celebrative più improbabili, quella dedicata alla pulizia delle mani (20 ottobre), e quella del respiro e del sollievo, rispettivamente 29 e 31 maggio. Il 30 novembre è il Buy Nothing Day, il giorno in cui non comprare niente. Avete la vostra data anche se siete amanti della radio, della poesia, del jazz. C’è il giorno della filosofia e c’è quello delle poste, il giorno dei turisti e quello della prevenzione dei suicidi. Il giorno della felicità è il 20 marzo. Segnatelo. Ma accanto alle ricorrenze più strambe, si ripetono giornate molto più istituzionali pensate per promuovere la riflessione su temi seri e drammatici: violenza sulle donne, difesa dei rifugiati, omofobia, schiavitù. È così che il calendario diventa a tutti gli effetti «civile», facendosi memorandum e monito. Impossibile seguire e ricordare tutte le giornate celebrative, ma certo è che il loro consistente numero testimonia una «volontà di memoria» nel più dei casi lodevole. Si può ricordare per prescrizione? Forse no, ma l’idea stessa di calendario ha a che fare con l’inestinguibile ossessione dell’archivio, della registrazione del tempo. Nel bellissimo studio da poco uscito per Einaudi «Cartografie del tempo. Una storia della linea del tempo», gli studiosi Daniel Rosenberg e Anthony Grafton - affrontando una impressionante mole di rappresentazioni iconografiche - ci riportano alla radice del nostro bisogno di cronologie. E partono da Shakespeare: «Domani e domani e domani / striscia a piccoli passi da un giorno all’altro». Per Macbeth, come per ciascuno di noi, il tempo esiste se viene registrato: motivo per cui l’idea dell’almanacco, del calendario, del diagramma si perde nei millenni. Greci e romani non si limitavano a contare i giorni, ma li connotavano per esempio attraverso liste di vittorie olimpiche. Nel IV secolo la mente di Eusebio di Cesarea partorì una «Cronaca» che divenne il modello per le linee del tempo dei secoli successivi, una sorta di calendario dei calendari, che desse una connotazione a migliaia di giorni dalla Creazione in avanti. Nel Seicento, un letterato-astronomo, Paolo Crusio, organizzò e disegnò «letteralmente, una mappa del tempo: in essa erano chiaramente le strade maestre della Storia databile e si poteva seguire il loro percorso attraverso l’enorme e oscuro territorio del passato». Lo sforzo percorre i secoli ed è affascinante non solo su un piano concettuale ma anche visivo, perché dà forma ad autentiche opere d’arte, a invenzioni grafiche in grado di concentrare quantità enormi di dati e date.
GLI SPILLI DI TWAIN
I cronografi ottocenteschi - raccontano Rosenberg e Grafton - sperimentavano tutti i formati a disposizione, spesso creando congegni sorprendenti, giochi e giocattoli. Perfino lo scrittore americano Mark Twain inventò e brevettò nel 1855 un gioco di cronologia: i partecipanti avrebbero puntato spilli procedendo su un tavoliere fitto di caselle. Vinceva chi ricordava il maggior numero di eventi storici significativi accaduti in una particolare data. Dieci punti per chi collocava l’incoronazione di un sovrano, cinque per chi rammentava una battaglia. «Le date!» esclamava Gozzano, «incanto che non so dire» - stipate nei coloratissimi «giochi dell’oca» del tempo, nelle dense cronologie e cronografie universali, fanno ancora più effetto. Ci fermiamo a scrutarle come il passante di un dialogo di Leopardi scruta gli almanacchi e i lunari nuovi: affascinati e insieme allarmati da una sequenza di numeri e giorni che custodisce sempre - a ritroso e in avanti - un segreto che ci riguarda.