Fulvio Bufi, Corriere della Sera 31/12/2012, 31 dicembre 2012
Provate a essere napoletani per un giorno. Non turisti di passaggio tra i pastori di San Gregorio Armeno, la pizza ai Tribunali, il lungomare liberato (dalle auto) e la Cappella del Principe di San Severo con la meraviglia del Cristo velato
Provate a essere napoletani per un giorno. Non turisti di passaggio tra i pastori di San Gregorio Armeno, la pizza ai Tribunali, il lungomare liberato (dalle auto) e la Cappella del Principe di San Severo con la meraviglia del Cristo velato. Proprio napoletani napoletani. Di quelli che la mattina si svegliano, escono per andare a lavorare e vorrebbero andarci con i mezzi pubblici, se hanno un problema di salute vorrebbero usufruire del Servizio sanitario nazionale non solo in ospedale ma anche nei centri convenzionati, se prendono l’auto - per la quale pagano l’assicurazione più alta d’Italia - vorrebbero poter avere un’idea di quanto tempo impiegheranno per arrivare a destinazione, e se si scatena un temporale (in inverno capita) vorrebbero poter aprire l’ombrello o azionare i tergicristalli e basta, non ritrovarsi al centro di un’emergenza da protezione civile. D’accordo, se siete napoletani avete già pagato un prezzo altissimo per resistere quando la città era invasa dalla spazzatura, e certo non è piacevole - in particolare per quelli che ci abitano, ma anche per tutti gli altri - sapere che in un quartiere ci sono due bande che si ammazzano come fossero a Bogotà, e chi ci capita in mezzo peggio per lui. Ma se proverete a essere napoletani per un giorno scoprirete che rifiuti e camorra sono due piaghe - una forse superata o forse no, l’altra sicuramente no - ma non le uniche. Oggi Napoli è una città dove aleggia un’ombra di Grecia imminente che fa paura. Dove ci sono intere categorie di lavoratori impiegati nel trasporto pubblico che a dicembre non hanno preso stipendi né tredicesime, dove le manifestazioni dei disoccupati sono quotidiane e ogni giorno in piazza si vede uno striscione nuovo, e dove servizi essenziali, come proprio i trasporti ma anche l’assistenza sanitaria non sono mai stati così negati. I collegamenti tra la città e la provincia sono ormai poco più che un ricordo. I treni di Cumana e Circumflegrea non possono più garantire una tabella oraria perché le agitazioni dei lavoratori senza stipendio sono improvvise e ripetute. Gli autobus che svolgono lo stesso servizio tra città e paesi limitrofi faticano a uscire dai depositi perché non ci sono i soldi per i rifornimenti di gasolio o per riparare i mezzi che si guastano. Tutto è iniziato con il fallimento dell’Eavbus, la società che gestiva il trasporto regionale. Da lì la situazione è precipitata, nonostante in Regione si stia lavorando per cercare di trovare una soluzione. Ma soldi non ce ne sono, e le banche, con i debiti insoluti che la società si è portata dietro nel fallimento, certo non intervengono. Non va meglio nelle cose che riguardano il Comune. Che pure soldi in cassa non ne ha. E allora se all’improvviso sabato sera si spengono tutte le luci del centro, compresi lungomare e cosiddette vie dello shopping, sarà pur vero che si è trattato di un guasto tecnico, come fanno sapere da Palazzo San Giacomo, ma il dubbio che ci sia dell’altro rimane, visto che la società che garantisce l’illuminazione, la francese Citelum, avanza 40 milioni di euro e il 6 novembre scorso fece sapere che certo ormai Napoli cominciava a rischiare di restare al buio, e il periodo più critico sarebbe stato proprio quello di fine anno. Un fine anno, tra l’altro, sotto tono, perché, sempre per mancanza di fondi, non è stata organizzata la tradizionale festa in piazza del Plebiscito. I napoletani se ne faranno una ragione, magari, però, avrebbero voluto che almeno l’annunciata riparazione delle strade devastate da buche e rattoppi peggiori delle buche fosse andata avanti. Invece è partita e si è fermata. E allora che resta? Sicuramente il diritto alla salute, direte voi che forse a questo punto non avrete più tanta voglia di provare a essere napoletani per un giorno. In realtà anche l’assistenza sanitaria non è più uguale per tutti. Perché i centri medici e diagnostici non effettuano più prestazioni in convenzione con il Ssn. Hanno accumulato crediti con la Regione talmente alti che ora prescrizioni di Asl e medici di base non ne accettano più. Chi ha bisogno di un esame deve pagarlo, altrimenti può provare a prenotarsi in ospedale. E se volete provare a essere napoletani e prenotarvi per un esame in ospedale, non vi basterà più esserlo per un giorno, e nemmeno per una settimana o un mese. Diciamo da sei mesi a un anno.