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 2012  dicembre 31 Lunedì calendario

MUCCHETTI E IL PD «VI SPIEGO PERCHE’ HO DECISO DI CANDIDARMI»

Quando l’hai deciso?
«Subito prima di Natale, tra il 22 e il 24 dicembre. E non è stato facile, né comodo. Mi sento giornalista fino in fondo e parte integrante del Corriere. Ma prima di tutto sono un cittadino della Repubblica».
Massimo Mucchetti, 59 anni, editorialista e vicedirettore ad personam di questo giornale, si gode sui campi di sci di Ponte di Legno la domenica di passaggio dalle vesti di giornalista a candidato del Pd alla Camera, nel listino di Pier Luigi Bersani.
Lo sai cosa si dirà ora, no? Enrico Mentana sostiene già che entrare in politica, per i giornalisti, è un controsenso.
«La storia della politica è piena di giornalisti, a cominciare dal Corriere. Da Luigi Einaudi allo stesso Monti, che scrisse cose importanti prima dell’incarico. Da Spadolini a Luigi Albertini, entrambi senatori. Enrico ha una sua sensibilità, rispettabile, ma ce ne sono anche altre».
Fra gli elettori c’è chi penserà che esiste un mondo a vasi comunicanti fra le cosiddette élite, siano esse della magistratura, dei media, degli affari o del palazzo.
«È un tema che non mi tocca: sono figlio di un calzolaio e i miei amici sono persone normali. Il travaso va male se fatto in conflitto d’interessi. Se avviene in modo pulito — la politica disinteressata, diversamente da quanto dice il cardinale Bagnasco, non è appannaggio di un solo uomo né di un solo partito — il travaso può portare competenze ed esperienze. A patto che le élite vengano selezionate per merito e non per censo, per origini familiari o di consorteria».
Ora sei un candidato di partito. Trovi che in Italia la distanza fra i media e gli altri poteri sia sufficiente?
«Bersani mi propone come indipendente, ma accetto di essere considerato di parte. Dovrebbe farlo anche Monti. Altrimenti si fa come il ministro degli Interni, Cancellieri. Ciò detto, la distanza tra i media e i poteri non è mai sufficiente, in particolare verso il potere economico, che oggi è quello principale».
Ti infastidisce l’idea di entrare in Parlamento con il Porcellum, in un listino blindato del segretario?
«Il Porcellum è una cattiva legge e in questa legislatura non si sono create le condizioni per cambiarla. Ma a questo punto, più che provare imbarazzo, mi sono chiesto: se le regole del gioco sono queste, al momento di poter passare dalle parole all’azione che fai, fuggi o ci provi?».
Appunto, è l’ora del fare: meglio l’Agenda Monti o l’Agenda di Stefano Fassina, responsabile economico del Pd?
«Meglio l’Agenda Bersani. L’Agenda Fassina non è scritta da nessuna parte, mentre da tempo il Pd ha la sua che è in rete e tutto sommato non è così diversa da quella del premier».
In cosa si distingue?
«Non sui grandi impegni dell’Italia verso l’Europa e i mercati. Un punto di distinzione è il welfare e il rapporto con il mondo del lavoro. Le pensioni saranno un problema non per il sistema, messo in sicurezza ormai, ma per i pensionati. La propensione di Monti per i fondi pensione mi lascia perplesso. La mia pensione integrativa in mano ai Ligresti o ai fondi cogestiti da industriali e sindacati? Meglio l’Inps. In ogni caso, mi si faccia scegliere. Ho dubbi anche sulle aperture di Monti ai fondi sanitari privati. Meglio mettere le mani dentro il Servizio sanitario nazionale per metterlo a posto, senza buttare il bambino con l’acqua sporca. E invece di dividere i sindacati in buoni e cattivi come faceva Berlusconi, sarebbe meglio attuare gli articoli 39 e 40 della Costituzione».
Qualche mal di pancia all’idea di dover fare i conti con una «Agenda bis» di Vendola?
«Non viviamo di fantasmi. In Puglia, Vendola ha dimostrato cultura di governo. Senza case a Montecarlo. In realtà, il centrosinistra può aiutare Monti a essere più coraggioso. Da commissario Ue, lo fu verso le multinazionali Usa, assai meno verso il duopolio Rai-Mediaset e gli elettrici italiani aiutati a spese dei consumatori. Da premier, non è stato un cuor di leone con la Fiat e non si è assunto le proprie responsabilità di azionista su Finmeccanica. Rispetto Monti, ma non è l’uomo della provvidenza. Sogno un Paese che non ha bisogno di eroi».
Da giornalista hai argomentato la logica delle cosiddette operazioni di sistema, Intesa-Unicredit o Fs-Alitalia. Da politico, le incoraggerai?
«Nessuna operazione è uguale all’altra, vanno tutte discusse nel merito, vedendo quali sono le alternative e chi trae vantaggio e svantaggio da cosa. E certo non mi piacciono tutte. Per esempio, il salvataggio di Alitalia del 2008 fu pessimo».
Hai scritto che le banche fanno bene a comprare sempre più titoli di Stato: ti pare la soluzione per far tornare il credito a famiglie e imprese nel 2013?
«No. Per incoraggiare il credito, indispensabile all’economia e tuttavia fonte di crescenti perdite per le banche, serve altro. Per esempio, una più ampia deducibilità sulle sofferenze bancarie. E tuttavia tenere in Italia gli interessi sui titoli pubblici aiuta».
Federico Fubini