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 2012  dicembre 11 Martedì calendario

INCONTRO DIVINO - «I

santi che egli dipinse hanno più aria e somiglianza di santi che quegli di qualunche altro» scrisse il Vasari. Chi dunque se non il Beato Angelico poteva inaugurare la serie di mostre ideate per celebrare l’Anno della Fede? Iniziato lo scorso 11 ottobre, nel giorno del cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, l’Anno della Fede terminerà il 24 novembre 2013, ultima domenica prima dell’Avvento, in cui si celebra la conclusione dell’anno liturgico e la solennità di Cristo re dell’universo. Il progetto, curato da don Alessio Geretti, prevede l’esposizione alla Galleria Borghese di cinque capolavori che mostrano come la fede ha ispirato l’arte, la letteratura, la musica. Ogni capolavoro racconta un percorso non solo artistico, ma anche teologico. Il primo appuntamento è stasera nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva con l’Annunciazione di Cortona, dipinta dall’Angelico intorno al 1430 e collegata al mistero dell’incarnazione. La tavola verrà presentata in anteprima su un cavalletto posto accanto alla tomba del pittore. Da domani al 10 febbraio del 2013 sarà visibile presso il museo creato dal cardinale Scipione Borghese. Luogo scelto da don Geretti perché «è il santuario dell’arte a Roma, nato dal desiderio di bellezza che quel credente portava nel cuore. Il cardinale aveva intuito che si può far del bene all’umanità promuovendo e conservando l’arte, non soltanto dando da mangiare ai poveri: un’indicazione di strada attuale ancora oggi. La carità della bellezza è altrettanto importante di quella del pane e dell’assistenza fisica. Se viviamo nel brutto siamo più tristi e facciamo meno bene il bene. La bellezza serve a mantenere viva la speranza, anche nei momenti di crisi». Parroco di Illegio, trecentosessanta anime nel cuore della Carnia, don Geretti da una decina di anni porta avanti questa missione di coniugare arte e fede. Con il Comitato di San Floriano organizza mostre nell’antica canonica del minuscolo paese, riuscendo a farsi prestare capolavori dai più importanti musei del mondo. Il segreto del successo? «Creare ogni volta un percorso valido dal punto di vista scientifico e significativo dal punto di vista cristiano, che aiuti i critici a decodificare il simbolismo delle opere. Questo suscita interesse nel pubblico, negli studiosi e nei direttori dei musei».L’Annunciazione, che arriva dal Museo diocesano di Cortona, è una delle tre grandi tavole su questo tema dipinte dall’Angelico. Le altre due sono quella del Prado e quella di San Giovanni Valdarno. Furono realizzate tutte intorno al 1430, non si sa quale per prima. Certo è che fecero da modello per una fortunata di serie di pale d’altare anche di altri artisti. Secondo le attribuzioni fino ad oggi proposte, l’Angelico da solo avrebbe dipinto ben diciotto versioni dell’Annunciazione alla Vergine. Nella pala esposta a Roma ci sono gli elementi che fanno dell’artista uno dei maestri del primo Rinascimento: l’architettura e la luce. Maria è seduta sotto un loggiato dalle colonne corinzie che riecheggiano le opere del Brunelleschi, al centro di un giardino recintato che ne simboleggia la purezza, sotto una volta dipinta come un cielo stellato. Maria china dolcemente il capo alle parole dell’angelo e la luce diafana che avvolge la scena sprigiona una forza spirituale che trascina l’osservatore verso quella «via pulchritudinis» indicata ai fedeli da molti documenti ecclesiali e seguita anche da ricercatori laici. Non a caso l’Angelico toccò il cuore a una scrittrice come Elsa Morante, che lo preferiva tra tutti i pittori e si chiedeva, come molti critici, se il segreto delle sue luci dipendesse dalla scienza o dall’estasi. Il Vasari racconta che non metteva mano ai pennelli «se prima non avesse fatto orazione». In tutta la vita non dipinse mai un soggetto profano. Nato in Mugello verso la fine del Trecento, si chiamava in realtà Guido di Piero. Prese i voti da domenicano col nome di fra’ Giovanni da Fiesole. Con l’appellativo di Angelico, a cui si aggiunse quasi subito la precisazione di Beato, è ricordato per la prima volta dopo la sua morte dal confratello Domenico di Giovanni da Corella. Fu Beato Angelico per secoli, finché Giovanni Paolo II lo proclamò beato veramente nel 1982 e, due anni dopo, patrono degli artisti. È sepolto a Roma, dove visse dal 1445 al 1449, chiamato dai papi Eugenio IV e Niccolò V che gli commissionarono alcuni lavori a fresco, tutti perduti tranne il ciclo della Cappella Niccolina, dedicato ai santi martiri Stefano e Lorenzo e considerato un messaggio della virtù teologale della carità. A Roma, dove era tornato intorno al 1453 o 1454, morì il 18 febbraio 1455, nel convento domenicano di Santa Maria sopra Minerva. Nella chiesa adiacente è conservata una Madonna, dipinta su seta, che fino a pochi anni fa era attribuita a lui, ma in cui oggi la critica tende a riconoscere la mano di Benozzo Gozzoli. Padre Daniel Ols, priore del convento, assicura tuttavia che nell’archivio sono conservate le carte in cui l’Arciconfraternita della Madonna chiede all’Angelico uno stendardo in seta con l’immagine della Vergine, e le relative note di pagamento.
Lauretta Colonnelli