Giuseppe Remuzzi, la Lettura (Corriere della Sera) 30/12/2012, 30 dicembre 2012
L’ANIMALE CHE VALE UNA FARMACIA - «I
Manzoni sono partiti ieri per Brusù a cagione della Giulietta cui è sopraggiunta la febbre per la quale dovettero trattarla a salassi e sanguette». Chi è Giulietta? È la figlia di Alessandro Manzoni, l’amata Giulietta, moglie di Massimo d’Azeglio, siamo nel 1832 e questo è quanto scrive il cugino Giacomo a Giulio Beccaria. È in quel periodo che l’impiego di sanguisughe in medicina prende piede. C’era chi sosteneva che la salute fosse un equilibrio fra l’essere rilassati ed eccitati e che le malattie fossero dovute a un eccesso di eccitazione. Questo sfociava in salassi e sanguisughe («se uno è troppo eccitato è perché ha troppo sangue, e allora caviamoglielo fino a che riesce a tollerarlo»).
Chi contribuì forse più d’ogni altro a imporre l’impiego delle sanguisughe negli stati infiammatori, ma anche per i mal di testa, debolezza, allergie, emorroidi, mal di denti e ascessi e persino insonnia fu François-Joseph-Victor Broussais, dottore al seguito di Napoleone, che riuscì a condizionare la pratica della medicina in molti ospedali di Parigi (dai registri doganali risulta che in quegli anni e nei successivi fossero arrivate in Francia più di un miliardo di sanguisughe).
Non che ci fosse molto di originale nelle idee di Broussais. Una tomba dell’Egitto di 1.400 anni prima di Cristo raffigura un medico intento ad applicare sanguisughe; non solo: lo si faceva in India, greci e romani impiegavano sanguisughe ben prima dell’epoca cristiana, gli arabi le vendevano in farmacia con tanto di indicazioni su dove attaccarle e come. Pretendere di curare tutto però non paga e le sanguisughe verso la fine dell’Ottocento passano di moda, anche perché diventa sempre più difficile trovarne. È proprio allora che John Haycraft, professore di Fisiologia nel Galles, estrae dalla sanguisuga l’irudina, il primo anticoagulante. Così si passa da una pratica simile alla stregoneria — pur con qualche fondamento — al rigore della scienza. Sulle sanguisughe cominciano a circolare racconti di guarigioni, evidenze scientifiche non ce ne sono ancora ma qualcosa di vero deve pur esserci in quelle storie. «Questa pillola vivente — scrive Vladimir Kozirev ai suoi colleghi — ha dentro di sé una farmacia: la attacchi alla pelle e infonde nel tuo sangue centinaia di sostanze diverse tutte biologicamente attive». È esattamente così: nella saliva delle sanguisughe c’è appunto irudina — come abbiamo visto — un anticoagulante indicato per le trombosi venose; ialuronidasi, un enzima che rende i tessuti permeabili all’anestesia locale; calina, che interferisce con la funzione delle piastrine e ripara certi danni alle arterie per lo meno negli animali da laboratorio. Ci sono poi sostanze con attività antibatterica, e sono altri enzimi ancora: apirasi ed eglina per esempio. E non è finita qui: nella saliva delle sanguisughe c’è bdellina — dal nome greco della sanguisuga — che controlla il sanguinamento, e poi decorsina che potrebbe avere proprietà anti-infiammatorie. Dalle sanguisughe giganti del Messico e dell’Amazzonia i farmacologi hanno isolato irustasina e almeno altre cinque sostanze che potrebbero dare origine ad altrettanti farmaci. «Dopo un by-pass al cuore si devono prendere medicine per anni e questo fa male allo stomaco e al fegato — scrive Vladimir Koklushenkov, un medico di famiglia — , ma con le sanguisughe ho ottenuto risultati straordinari: i trombi non si formano e questo senza far danni a nessun organo». Sarà vero? Forse sì: l’irustasina inibisce una proteina della coagulazione (il fattore X attivato) e così protegge le arterie dai trombi. «Conosco una donna che non riusciva ad essere gravida — scrive un altro medico —; con le sanguisughe ha risolto il suo problema». Come si spiega? Ammesso che sia vero, potrebbe dipendere dall’effetto anti infiammatorio di eglina e guamerina e dalla capacità di queste due sostanze di proteggere l’endotelio dei piccoli vasi sanguigni la cui integrità è così importante nelle prime fasi della gravidanza.
Nella saliva delle sanguisughe ci sono persino inibitori delle proteasi (proteine della stessa famiglia di quelle che curano l’Aids) che stimolano la crescita delle cellule nervose «in coltura»: se dovessero funzionare «in vivo», cioè negli animali, potrebbero diventare farmaci per le malattie neurodegenerative. Sì, perché la tecnologia del Dna ricombinante consente già — e consentirà ancora di più fra qualche anno — di produrre in grandi quantità le singole sostanze che si possono isolare dalle sanguisughe: sarà possibile documentare quali malattie davvero si possono curare (c’è grande interesse per trovare rimedi efficaci contro la demenza senile e l’Alzheimer, per esempio).
Ma ciò che colpisce di più è che ancora oggi — in tempi di ingegneria genetica e nanotecnologie — questi vermiciattoli conservano un loro ruolo, una sorta di retaggio, l’unico ormai della medicina dell’Ottocento. Possibile? Certamente. È il caso, tanto per fare un esempio legato alle cronache recenti, di traumi facciali con lesioni ed ematomi della lingua; può succedere nei casi più gravi che ci sia persino rischio di soffocamento perché la lingua — quando s’ingrossa oltre un certo limite — ostruisce le alte vie respiratorie. L’applicazione di sanguisughe spezza un circolo vizioso di congestione venosa e linfatica e risolve almeno in qualche caso l’emergenza respiratoria come d’incanto. Ed è così quando si tratta di ricostruire lembi cutanei danneggiati da traumi o malattie: anche in questi casi la congestione venosa può compromettere l’intervento e quando il chirurgo non sa proprio più a che santo votarsi le sanguisughe possono aiutare (il lavoro è appena stato pubblicato sul «Journal of Plastic Surgery»). Lo stesso vale per certi interventi di re-impianto delle dita e ancora di più di re-impianto del pene dopo traumi o violenze. Le tecniche di microchirurgia più moderne consentono quasi sempre di ottenere buoni risultati, ma la congestione venosa è un ostacolo formidabile al successo finale: ci sono lavori che dimostrano come in certi casi applicare sanguisughe sia stato risolutivo.
Certo c’è sanguisuga e sanguisuga: quelle che si possono usare in medicina vengono da fornitori autorizzati e controllati e nonostante ciò il rischio che trasmettano infezioni non va sottovalutato. L’animaletto può passare all’uomo alcuni virus, compreso quello dell’Aids e quelli dell’epatite, ma anche certi batteri che vivono nell’intestino del piccolo verme e passano all’uomo nel momento in cui comincia a succhiare il sangue. Fra questi uno — della famiglia degli Aeromonas — ha imparato a resistere ai più comuni antibiotici. Quanto spesso si infetta chi è sottoposto a trattamento con sanguisughe? Nel due per cento dei casi secondo alcuni studi, ma altri hanno visto infezioni anche nel venti per cento. E possono essere infezioni gravi, celluliti con necrosi delle cellule del grasso sottocutaneo ma anche necrosi di lembi cutanei e muscoli. E sono stati registrati anche casi di setticemia, uno pubblicato da poco.
Ma il peggio con le sanguisughe è capitato nel 1799 ai soldati di Napoleone: marciavano dall’Egitto alla Siria, faceva un caldo infernale, qualcuno ha bevuto acqua da uno stagno infestato da piccole sanguisughe che si sono attaccate alla mucosa della gola, soffocando i poveri soldati (è successo lo stesso alle truppe britanniche nel Sinai durante la Prima guerra mondiale e ai soldati americani nelle giungle del Vietnam). Insomma: le sanguisughe se le usi bene possono anche proteggerti dal soffocamento, ma se non stai attento può anche capitare che ti soffochino loro.
Giusepppe Remuzzi