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 2012  dicembre 30 Domenica calendario

I NOBEL (PRIMA) PASSANO DA CROCETTI

«Sul sito Internet del Premio Nobel si può seguire in diretta l’annuncio del vincitore: ci si collega, c’è un’inquadratura che mostra una porta chiusa, finché il portavoce esce per annunciare il nome di chi è stato scelto. Nel 2011 sono salito nel mio studio in casa editrice, mi sono messo al computer, mentre la porta dell’Accademia a Stoccolma era ancora chiusa, e ho detto alla redazione: vado a vedere Tranströmer che vince il Nobel. E così è stato». Con un sorriso e un pizzico di orgoglio Nicola Crocetti, fondatore dell’omonima casa editrice e del mensile «Poesia», ci racconta la previsione azzeccata per il Nobel dell’anno scorso.
D’altronde i poeti che hanno ottenuto il supremo riconoscimento letterario sono di casa, nella redazione di una rivista che in 25 anni di vita ha pubblicato circa 3 mila autori, per un totale di oltre 30 mila opere di ogni tempo, oltre a biografie, critica, notizie sull’attività editoriale e sulle iniziative di altri editori e riviste. E sono stati numerosi i premi Nobel che fanno o hanno fatto parte del comitato di redazione di «Poesia», oltre a Tranströmer, Odisseas Elitis, Josip Brodskij, Seamus Heaney e Derek Walcott, insieme a molti autori quali Yves Bonnefoy, Franco Loi, Maria Luisa Spaziani e tanti altri.
In redazione si sono succeduti nomi come Andrea Cortellessa e Antonello Satta Centanin, cioè Aldo Nove. Qui sono nati Alda Merini, Antonella Anedda, Pierluigi Cappello («un poeta da 11 mila copie»), la casa editrice ha portato in Italia gli autori greci moderni e la grande poesia del mondo («il 20-30 per cento dei poeti pubblicati erano inediti in Italia»). E nel venticinquesimo dalla nascita, la rivista festeggia con un numero speciale dedicato alle «Vite di poeti», da Tagore a Brodskij, appena uscito in edicola.
«In edicola, sì. Infatti "Poesia" è stata la prima rivista di poesia ad andare nelle 40 mila edicole italiane — ricorda Crocetti — e questo ha fatto la differenza. È stato il tentativo di arrivare dove la poesia non era mai arrivata, in tutti i paesi d’Italia, anche i più piccoli, nel Nord come nel Sud. Ed è stata anche la prima rivista di poesia al mondo a fare uno spot pubblicitario in tv. "Forse manca qualcosa alla nostra vita", diceva la pubblicità, mandata in onda dopo la mezzanotte, nel gennaio del 1991. E la testata vendette 25 mila copie».
Segno che forse qualcosa mancava davvero e se ne sentiva il bisogno, continua Crocetti. «Lo si vede tuttora. Perché Benigni con Dante fa milioni di audience in tv? Perché il pubblico sente un bisogno. La poesia vive questa contraddizione: può diventare un fenomeno di massa, ma allo stesso tempo vende poco. Perché? Tra gli altri motivi, perché la produzione poetica è poco conosciuta, non appare quasi mai in tv. Quando però appare, funziona, e lo abbiamo visto anche con l’iniziativa del "Corriere della Sera", che ho curato: pensiamo allo spot con Alessandro Gassman dedicato al primo volume, sulla Szymborska, con 90 mila copie vendute. Questo vorrà dire qualcosa. Se la rivista di un piccolo editore indipendente e senza sponsor arriva a 20 mila copie, si può ancora sostenere che la poesia non interessa a nessuno? Semmai non interessa a chi detiene il potere, perché la poesia è contro il potere e cerca di dire la verità».
Che la poesia sia una necessità viva, anzi vivissima, lo mostra anche un altro particolare che si nota subito entrando nella sede di Crocetti, a Milano. Uno dei tavoli della redazione è coperto da un gran cumulo di manoscritti di aspiranti poeti. E tra i corrispondenti dell’editore sono numerosissimi i poeti di fama. Crocetti apre un plico sulla scrivania e ne estrae una silloge dattiloscritta e una cordiale lettera di Hans Raimund («il più grande poeta austriaco vivente», commenta) che invia i propri versi auspicandone la pubblicazione su «Poesia».
Molti manoscritti denunciano invece ben altra origine: «Quello che si nota è che molti (aspiranti) poeti non leggono. A chiunque può capitare di scattare una bella foto, e chiunque può scrivere andando a capo ogni tanto. In questa società del narcisismo aleggia una serie di equivoci sulla poesia, il principale dei quali è che chiunque la possa comporre senza preparazione, senza lettura. Invece non è solo mera espressione dei sentimenti, né semplice andare a capo, è studio, è lavoro culturale: non si capisce che la poesia, quando lo è, è una cosa seria. Il risultato, purtroppo, è che a fronte di una sovrapproduzione massiccia, ma bassa o infima, vi è un consumo, una lettura, inesistente. E la questione, forse, comincia dalla scuola».
Cita Sanguineti, che a chi sosteneva di non capire la poesia diceva «studiate», ma aggiunge che in Italia manca soprattutto la poesia civile. «L’ultimo poeta civile è stato Pasolini (e nessuno come lui ha promosso la poesia), mentre in Spagna, Grecia, Irlanda e Polonia vi è uno schieramento civile dei poeti, con una critica forte alla società e alla politica. Dall’altra parte, all’autorità manca la consapevolezza che la poesia è un aspetto culturale importante; mentre negli Stati Uniti alla nomina del presidente viene invitato un poeta».
Quanto a Internet, Crocetti non ha dubbi: «È come l’invenzione della stampa nel 1450, una rivoluzione. Democraticamente mette a disposizione un numero infinito di spazi, di pagine, su cui migliaia di poeti possono pubblicare. Anche se spesso è come gettare una bottiglia con un messaggio in mare, mentre l’editore o la rivista garantisce una selezione e una visibilità. E se tutti coloro che fanno poesia leggessero poesia...». Intanto, la rivista ha abbracciato la rivoluzione della Rete lanciando, oltre al sito, anche una App in cui offre un fascicolo dimostrativo di 100 pagine da consultare gratis, e i numeri della rivista a 2,99 euro invece che 5. E poi l’opinione di Crocetti sui poeti non è per nulla snobistica: «Vi fu un censimento dei 130 poeti più importanti all’epoca di Baudelaire, quelli che pubblicavano con i grandi editori. Ma Baudelaire non era nel novero, lui pubblicava con un piccolo editore e in quell’elenco non c’era. Ebbene: di tutti quei 130 si è persa la memoria, l’unico che è rimasto è lui».
Ida Bozzi