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 2012  dicembre 29 Sabato calendario

LE CINQUE DEMOCRAZIE

Le prossime elezioni? Una competizione fra programmi, interessi sociali, leader. Come sempre, del resto. Ma stavolta c’è una novità, anche se fin qui non ci abbiamo fatto caso. Perché nell’urna si misureranno non soltanto linee politiche, bensì modelli di democrazia. E i modelli in gara sono almeno cinque, quanti le dita d’una mano. Certo, la democrazia risponde pur sempre a un unico criterio: è un sistema dove si contano le teste, invece di tagliarle. Però se il voto rappresenta lo strumento di legittimazione del potere, le tonalità di quest’appello al voto esprimono altrettante concezioni del potere legittimo. E adesso tali concezioni s’elidono a vicenda, come i cinque protagonisti sulla scena.
Primo: Bersani. Vanta un’investitura iperdemocratica, perché è l’unico leader scelto attraverso le primarie. Anche le primarie, tuttavia, possono declinarsi in varia guisa. Se sono troppo chiuse s’espongono alla critica formulata nel 1953 da Duverger, dato che il loro esito verrà orientato giocoforza dalla burocrazia interna del partito. Nel caso di specie il Pd ha alzato gli steccati per evitare inquinamenti, e il timore non era campato per aria. Però al secondo turno è stato respinto il 92% delle richieste d’iscrizione. Dunque Bersani è portavoce d’un modello di democrazia innervata dai partiti, che in qualche modo fa coincidere i partiti con le stesse istituzioni.
Secondo: Berlusconi. Quando ha aperto bocca, l’estenuante discussione sulle primarie del Pdl è subito caduta nel silenzio. Perché in lui s’incarna il potere carismatico, nel senso indicato da Max Weber. Quindi un rapporto diretto fra il leader e i suoi elettori, che scavalca il partito e offusca qualunque altro potere dello Stato. Da qui una lettura verticistica del principio di sovranità popolare. Da qui, in breve, la metamorfosi di ogni elezione in referendum: o con me o contro di me.
Terzo: Monti. Un professore prestato alla politica, che fa politica senza dismettere la toga. Anzi: è proprio quell’abito a riassumerne l’offerta elettorale. Un’offerta che perciò riecheggia un modello di governo aristocratico: i re-filosofi di cui parlò Platone, gli ottimati dei comuni medievali. Però tale modello può anche convertirsi nel suo opposto. La legittimazione attraverso le competenze significa difatti il rifiuto della politica come professione, significa insomma che ciascun cittadino può ambire al governo della polis.
Quarto: Grillo. Lui le primarie le ha convocate in Rete, e d’altronde per il suo movimento il web costituisce pressoché l’unico canale di mobilitazione, di comunicazione, di elaborazione. Si chiama democrazia digitale, definizione coniata fin dagli anni Ottanta, quando a Santa Monica fu battezzato il primo esperimento. Ora con Grillo approda anche in Italia; ma resta da vedere come si concili la vena anarchica del web con la vena autoritaria del suo apostolo.
Quinto: Ingroia. E insieme a lui Di Pietro e De Magistris, ex magistrati entrambi. Più che un partito giustizialista, un partito giudiziario. La sua cifra democratica? Potremmo definirlo il governo dei custodi. D’altronde anche negli Usa i giudici sono eletti dal popolo. Siccome però siamo in Italia, applichiamo un criterio rovesciato: qui gli eletti sono giudici.
Michele Ainis