Andre Garibaldi, Corriere della Sera 30/12/2012, 30 dicembre 2012
ROMA —
Don Luigi Sturzo non rivelò mai perché scelse lo scudo bianco, crociato in rosso, per il suo Partito popolare. Era il 1919. Le ipotesi sono tutte buone: il richiamo alle Crociate, ai Comuni della Lega lombarda, la battaglia di Legnano contro Barbarossa. Sturzo aveva un giornale — come ricorda il presidente dell’Udc, Rocco Buttiglione — intitolato La croce di Costantino, che riportava in copertina la frase «La democrazia sarà cristiana o non sarà». Quel simbolo, lo scudo crociato e la parola «Libertas» sul segmento corto della croce latina, ha vissuto onte e glorie della Dc per cinquant’anni, si è celato nell’era di Tangentopoli, ed è giunto, senza scomparire mai del tutto, fino ai giorni nostri. Di nuovo oggetto di una contesa. L’ennesima.
Gianni Fontana, ex ministro e Ombretta Fumagalli Carulli, ex sottosegretaria, democristiani antichi, non di primissima fila, hanno rispolverato una sentenza della Cassazione di due anni fa, secondo la quale unici titolari di simbolo e nome della Dc sono gli iscritti del 1992 (quando Borrelli e Di Pietro cominciarono a colpire). Hanno convocato a Roma a metà novembre un congresso, invitando tutti quei vecchi iscritti e partendo all’attacco dell’Udc di Pier Ferdinando Casini, che dalla sua fondazione (2002) innalza lo scudocrociato. L’Udc reagisce citando altre sentenze (sulla materia ce ne sono a iosa). Una, del tribunale di Roma (giudice Rizzo, 2006), stabilisce la legittimità dell’utilizzo del simbolo da parte dell’Udc. Consiglio di Stato e alcuni Tar si sono pronunciati contro l’utilizzo del simbolo Dc da parte di Giuseppe Pizza e Angelo Sandri, democristiani minori, decisi a non far morire il partito di De Gasperi. Pizza e Sandri, a loro volta, vantano altre sentenze (tribunale civile di Roma, giudice Manzo, 2006) che danno loro ragione.
Lo scudocrociato è ancora lì. Sbeffeggiato, insultato, calpestato e ora accreditato di possibile resurrezione. «Le torbide vicende della Seconda Repubblica hanno rivalutato quel simbolo», dicono nelle stanze della dirigenza udc. Quanto vale nelle urne lo scudocrociato? Per taluni sondaggisti, «senza un progetto e una classe dirigente è poca cosa». Ma per Fabrizio Masia (Emg) il valore aggiunto è almeno del 2 per cento, «per il peso della memoria in un elettorato di età media alta, in un Paese comunque cattolico». Vale l’uno, uno e mezzo per cento, dice un democristiano come Paolo Cirino Pomicino, che ha partecipato al congresso di un mese e mezzo fa, con Fontana e Fumagalli. Pomicino non esclude che la nuova Dc si presenti alle elezioni, a febbraio. Ci tiene a precisare: «Il nome Dc avrebbe le praterie aperte davanti. E Casini sarebbe il leader naturale: solo, non capisco perché lui voglia disporre del simbolo, ma non vuole usare il nome...».
Che significa quel simbolo? Il giornalista Filippo Ceccarelli fece un elenco puntuale: la difesa contro il comunismo, la croce come affermazione del cristianesimo, il legame politico con la Chiesa, la coesione della società italiana, la libertà, la ricostruzione e modernizzazione del dopoguerra, la mobilitazione dell’Occidente. Questioni superate? Può essere, ma da venti anni si combatte, per lo scudocrociato. Nel 1995 c’è un accordo, sulle macerie della Dc. Buttiglione con il Cdu prende il simbolo, Bianco e Martinazzoli il vecchio nome, Partito popolare. Ma Pizza e Sandri decidono che la Dc è viva, cominciano un percorso che li porta spesso in tribunale. Litigano e fanno pace, anche fra di loro.
Quando Cdu e Ccd di Casini e Mastella si fondono nell’Udc, il celebre simbolo viene portato in dote. Prima, resta sullo sfondo la vela del Ccd, poi Casini schiarisce il blu di sfondo e nel corso del tempo aggiunge il suo nome, da poco sostituito col nome Italia. Passano l’Udeur di Mastella, l’Udr di Cossiga, la Dc per le autonomie di Rotondi. Nessuno osa utilizzare lo scudocrociato, ma ciascuno prende qualcosa in ricordo, una qualche forma di scudo, in particolare. In tempi recentissimi a sollevare il testimone della sepolta Dc e quindi a pretendere di usare il simbolo sono Fontana e Fumagalli Carulli.
Nel 2008 Cossiga, Andreotti e Scalfaro, tre vere colonne della Dc classica, propongono agli «amici della diaspora democristiana» che il simbolo entri nella Storia, sia affidato all’Istituto Sturzo e non se ne parli più, almeno sulle schede elettorali. Proposta respinta. Perché, a quanto pare, poter dire agli elettori «anche stavolta c’è lo scudo, votate lo scudo», funziona ancora.
«Comunque — dice Cirino Pomicino — oggi voglio lodare Casini: ha difeso lo scudocrociato contro l’idea bulgara della lista unica che Monti voleva».
Andrea Garibaldi