Luigi Manconi, Il Messaggero 30/12/2012, 30 dicembre 2012
LA PREVALENZA DELLA TOGA ARANCIONE
Se Silvio Berlusconi decide per la discesa - la ridiscesa - in campo, e Mario Monti per la salita in politica, Antonio Ingroia sceglie decisamente un’altra via. Lui irrompe e si butta a capofitto.
Ciascuno è coerente con la propria ispirazione: Berlusconi coltiva un’idea agonistica della politica, propria della sfida estrema e del “giudizio di Dio”; il premier dimissionario evoca una concezione alta delle istituzioni, alle quali offrire un pubblico servizio; l’ex procuratore aggiunto di Palermo ha proposto, nella conferenza stampa di ieri, un’interpretazione tutta conflittuale della sua scelta politica.
La lettura agonistica e quella conflittuale dei rispettivi ruoli avvicinano Berlusconi e Ingroia, ma – a ben vedere - emerge un altro tratto comune assai più robusto. Il primo entrò in politica gravato da un onerosissimo conflitto di interessi, peraltro mai sciolto; e la politica è stata, per lui, una sorta di snowboard per condurre un ardimentoso slalom tra le inchieste giudiziarie e le peripezie finanziarie. Non è stata solo questo, per carità: è stata anche genuina passione, ma il conflitto di interessi ha segnato, fino a comprometterla definitivamente, la sua attività pubblica. Ingroia inizia il suo percorso politico appesantito da un analogo ingombrante fardello. Solo ieri, ma proprio proprio ieri, indagava su coloro che già oggi sono i suoi avversari politici e, tra questi, l’arcinemico Berlusconi. E va notato che, mentre Piero Grasso si dimette definitivamente dalla magistratura, l’ex Pm di Palermo - qualora la sua lista non raggiungesse il quorum - riprenderebbe la sua funzione, magari da un altro distretto giudiziario, indagando sui bersagli di sempre. In qualche modo tutto era già scritto. L’ex Pm di Palermo partecipa alle elezioni in primo luogo perché la sua attività giudiziaria si trova in una condizione di stallo: che ciò si debba alle resistenze o, peggio, alle complicità della classe politica ( tesi Ingroia) o alla strutturale debolezza di quella stessa attività giudiziaria ( tesi dei suoi avversari), il risultato non cambia. Ingroia sceglie la politica perché si trova in un vicolo cieco e, invece di ricominciare da capo, con nuova lena e nuovi metodi, semplicemente se ne va. Per poi, eventualmente, ritornare. Come possa una simile traiettoria pubblica e i suoi possibili esiti venire presentati quali esempi di “rinnovamento della politica”, è un mistero talmente ineffabile da ammutolirci. Non solo. Il complesso delle dichiarazioni di Ingroia ha confermato che l’etichetta di “giustizialista” spesso attribuita a lui e all’area intorno a lui, non va intesa soltanto nel suo significato più polemico: ovvero quello di una scarsa sensibilità per le garanzie individuali nel processo penale. Quell’etichetta (approssimativa, come tutte le etichette) rischia di avere, se venisse ulteriormente confermata dalle parole e dalle opere del movimento “Rivoluzione civile”, un risvolto morale e, perfino, “filosofico”. Quanto detto da Ingroia, infatti, va in una sola direzione: cogliere, organizzare e proiettare sul sistema politico la voglia di rivalsa sociale, che cova – com’è inevitabile- nel cuore profondo del paese. Pertanto, qui giustizialismo va inteso come domanda di risarcimento per le ingiustizie, vere o presunte, patite; e come pulsione diffusa, fatta di frustrazione e di rancore, che esige di manifestarsi e di farsi politica esattamente per come è, senza mediazione alcuna. Per ora, non uno straccio di programma che possa tradurre tutto ciò in obiettivi perseguibili. Questo non si deve alla comprensibile fretta con cui la lista è stata presentata: bensì alla preoccupazione che un programma articolato finisse col selezionare le domande e gli interessi, invece di proporsi quale contenitore di ogni protesta, come oggi è. Paradossalmente, ma non troppo, è questo un altro elemento di affinità con il primo Berlusconi: Forza Italia e la Casa delle libertà si facevano portavoce di tutte le istanze, appunto, di libertà (da quelle più nobili a quella di occultare i propri beni al fisco). Infine, va evidenziato che, nella conferenza stampa di ieri, il vero bersaglio sono stati Mario Monti, Pierluigi Bersani e Grasso e non il leader del PdL. Tanta animosità nei confronti dell’ex procuratore nazionale antimafia può apparire tanticchia ( per usare il siciliano di Andrea Camilleri, condiviso dai due procuratori) grottesca: una conferenza stampa, destinata a presentare una lista, viene ampiamente dedicata al confronto tra due linee strategiche in materia di contrasto alla criminalità organizzata e alla disanima dei comportamenti di quello che, fino a ieri, era la massima autorità nella lotta contro le mafie. Non stupisce. La lista “ Rivoluzione civile” cerca spazio, inevitabilmente, nel campo del centrosinistra e ai suoi confini estremi. Dunque, sono suoi competitori coloro che quel campo presidiano, sia da posizioni moderate che da posizioni riformatrici. E così - paradosso nel paradosso - il partito di Ingroia, come 5 Stelle, finisce con lo svolgere un ruolo simile a quello che, sull’opposto versante, gioca la Lega Nord. Esito singolare.