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 2012  dicembre 29 Sabato calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - LA SALITA IN CAMPO DI MONTI


REPUBBLICA.IT - PEZZO GENERALE
ROMA - Il giorno dopo che Mario Monti ha lanciato la sua formazione politica, dichiarando che guiderà la coalizione centrista, l’attacco di Berlusconi al professore si fa ancora più forsennato. Il Cavaliere arriva ad annunciare una commissione d’inchiesta nei confronti del governo tecnico, nel caso di vittoria elettorale. Pier Ferdinando Casini prova ad affrontare il nodo delle candidature e intanto esclude un’alleanza con il Pd. Corrado Passera - reduce dallo scontro con il leader Udc sulla questione della lista unica - medita le prossime mosse. Il premier dimissionario, invece, si concede una vacanza con la famiglia a Venezia. Ma alcuni dettagli tradiscono un clima da campagna elettorale (arriva a farsi immortalare con il pupazzo della nipotina). ’’Sono convinto che la situazione dell’Italia migliorerà, se tutti lavoriamo a questo scopo’’, ha detto. ’’Spero che il 2013 sia come questa stupenda giornata di Venezia’’ ha aggiunto.

LA CANDIDATURA DI INGROIA
ROMA - Antonio Ingroia scioglie la riserva e annuncia il suo ingresso in politica con la candidatura a premier della neonata lista "Rivoluzione civile". Il simbolo contiene in grande il nome del candidato con sopra la scritta in blu "Rivoluzione civile" e sotto, in rosso, le sagome dei manifestanti del "Quarto Stato" di Pellizza da Volpedo su uno sfondo che vira all’arancione.

La conferenza di Ingroia è un lungo e duro attacco al Pd e al Procuratore nazionale antimafia Piero Grasso che proprio ieri ha ufficializzato la sua presenza alle prossime elezioni con i democratici. Grasso, accusa l’ex magistrato palermitano, divenne Procuratore nazionale antimafia "scelto da Berlusconi in virtù di una legge con cui venne escluso Giancarlo Caselli, ’colpevole’ di aver fatto processi sui rapporti tra mafia e politica". Ma contro Grasso, dal punto di vista di Ingroia, pesa anche la grave responsabilità di aver pensato "nel maggio 2012" di consegnare "un premio al governo Berlusconi per essersi distinto nella lotta alla mafia".

"Da magistrato - dice Ingroia - non avrei mai creduto di dovermi ritrovare qui per continuare la mia battaglia per la giustizia e la legalità in un ruolo diverso". "Quando giurai la mia fedeltà alla Costituzione pensavo di doverla servire solo nelle aule di giustizia. Ma non siamo in un paese normale e in una situazione normale - prosegue il magistrato palermitano - Siamo in una emergenza democratica. E allora, come ho detto, io ci sto. E’ venuto il momento della responsabilità politica. Alla società civile e alla buona politica dico ’grazie’ perche hanno fatto un passo avanti". "Questa è la nostra rivoluzione, noi vogliamo la partecipazione dei cittadini. Antonio Ingroia non si propone come salvatore della patria, ma di essere solo un esempio come tanti cittadini che si mettono in gioco, assumendo rischi", dice ancora.

Nell’autoinvestitura di Ingroia non mancano gli spunti polemici, innanzitutto nei confronti del Pd, colpevole di aver "smarrito la sua coerenza". "A Bersani, che ho definito persona seria e credibile - aggiunge l’ex pm di Palermo - dico di uscire dalle contraddizioni in cui la sua linea politica si è impantanata". Al segretario del Partito democratico, ricorda Ingroia, "ho fatto un appello" e "lui ha risposto in modo un po’ stravagante, dicendo che non risponde ad appelli pubblici, ma mi auguro che Bersani sappia che l’avevo cercato personalmente, ma non ho ricevuto risposta, me ne farò una ragione. Evidentemente si sente un po’ il padreterno, Falcone e Borsellino quando li cercavo rispondevano subito".

Poi l’affondo più duro: "Caro Bersani, così non va, chi ha alle spalle storie così importanti dovrebbe ricordarsi il valore della moralità", dice citando le battaglie di Enrico Berlinguer e Pio La Torre per la moralità. "Tra Violante e Dell’Utri c’è una convergenza che dovrebbe far riflettere i dirigenti del Pd", rincara riferendosi ai giudizi sulla candidatura di Piero Grasso nelle liste dei democratici. Accuse che non impediscono comunque all’ex magistrato di sostenere che comunque la porta per il Pd "rimane aperta", così come per il movimento di Grillo.

A sostenere la candidatura di Ingroia è un pacchetto di forze politiche che va dall’Italia dei Valori, a Rifondazione comunista, dai Verdi ai Comunisti italiani, passando per il sindaco di Napoli Luigi De Magistris che sta pensando alla presentazione di una sua lista ispirata agli "arancioni" che nella primavera del 2011 hanno portato alla vittoria del centrosinistra nelle elezioni amministrative. Iniziativa dalla quale prende però le distanze il sindaco di Milano Giuliano Pisapia. Anche "se non esiste un copyright", è certo che "sono state Milano e la campagna elettorale per il sindaco della mia città il punto di partenza e il centro di quel rinnovamento", dice il primo cittadino lombardo esprimendo preoccupazione "per i pericoli che vedo concretizzarsi all’orizzonte: vedere il popolo arancione strattonato da tutte le parti, trasformato in un aspirante piccolo partito, strumentalizzato al fine di ottenere qualche deputato, plasmato per infilarlo in una lista, accodato a questo o quel candidato scelto dall’alto".

(29 dicembre 2012)
Berlusconi: "Congiura contro di noi". Anche oggi è il senatore a vita il bersaglio preferito del Cavaliere: "Monti ci ha fatto ’promesse da marinaio’. Non me l’aspettavo dopo le reiterate dichiarazioni e la promessa fatta a me, Napolitano e agli italiani, che non avrebbe utilizzato esposizione mediatica per sua ulteriore presenza in politica - spiega Berlusconi - c’è stata una grande delusione e una caduta della credibilità". Poi, a chi gli ha chiesto se si sia pentito di aver appoggiato il professore, ha risposto: ’’In quel momento c’è stata una vera e propria congiura e noi, vincendo, instaureremo subito una commissione per esaminare quei fatti’’. Poi ha aggiunto: "Monti dice che ha salvato l’Italia dalla catastrofe, ma queste sono mascalzonate, non è vero che l’Italia rischiava la catastrofe. C’è stata una manovra finanziaria e politica".
Casini: "Scelgo io i candidati Udc". Casini, che ieri ha partecipato al lunghissimo vertice con il professore nel convento delle suore di Sion, ha illustrato alcuni argomenti al centro del confronto: "Monti ha chiesto integrazioni sull’agenda. Noi le faremo entro martedì - ha detto - su due punti fondamentali: socialità e famiglia. Il rigore non può essere disumano. Vogliamo dare quel surplus di solidarietà e di socialità che è necessario", ha aggiunto il leader dell’Udc. Ma il leader Udc ha innanzitutto affrontato il nodo delle candidature. "I candidati dell’Udc li sceglierà l’Udc, così come Italia Futura e Fli sceglieranno i propri", ha rivendicato, precisando che a Enrico Bondi spetterà solo il vaglio delle scelte che faranno i partiti. "Noi ci sottoporremo al vaglio di Bondi sulla base dei criteri che saranno stabiliti dal presidente del Consiglio e saremo lieti di farlo", ha assicurato il leader Udc. "Sono contento che si sia realizzata questa iniziativa e che si stabiliscano dei criteri non solo di carattere giuridico e giudiziario, ma che si ponga anche il tema del rinnovamento, della selezione e del ricambio della classe dirigente", ha insistito. Quanto alle voci di una mancata ricandidatura di Lorenzo Cesa e Rocco Buttiglione, Casini ha chiarito: "Cesa e Buttiglione sono segretario e presidente del mio partito, bisognerà chiedere a loro se candidano me".
"Non siamo stampella del Pd". Casini ha poi affrontato il tema della possibile alleanza con il Partito democratico. "La nostra iniziativa non nasce a supporto o come alleanza predeterminata con il Pd. Certo se fossi Berlusconi direi la stessa cosa, ma da parte nostra c’è una vocazione maggioritaria e la ricerca di questa", ha precisato Casini, che ha aggiunto: "La presenza all’incontro di ieri di persone come Ichino dimostrano il disagio per la deriva che l’alleanza tra Bersani e Vendola ha imposto alla coalizione ed è più eloquente di tante parole. Allearsi con un rispettoso signore che ha espresso idee antitetiche rispetto al governo del Paese significa mettere insieme cose difficilmente conciliabili. Come fanno a stare insieme Enrico Letta, Fioroni e Vendola per me rimane un mistero gaudioso. Rispetto le scelte di tutti, ma il Pd non faccia l’esame del sangue a noi".
Con Passera nessuna lite. Pier Ferdinando Casini ha smentito che vi sia stata una lite con Corrado Passera nella riunione di ieri. ’’Lui la pensa così e ha motivazioni da vedere con grandissimo rispetto, ma francamente è una delle persone che stimo di più e che mi sono più amiche. Quando ho letto dello scontro Casini-Passera mi sono messo a ridere’’, ha assicurato il leader Udc.

LA LITE CON PASSERA (REPUBBLICA.IT)
"SIGNORI siamo partiti: andiamo a conquistare quel 40 per cento di italiani che non vanno più a votare". La voce di Mario Monti rimbomba sotto le volte del refettorio del convento delle suore di Sion, una location appartata nel cuore del Gianicolo, messa a disposizione grazie ai buoni uffici del fondatore della Comunità di Sant’Egidio, e ministro, Andrea Riccardi.
Un posto perfetto per sfuggire alla caccia serrata dei giornalisti, per tenere a battesimo il nuovo centro e siglare quello che uno dei protagonisti definisce scherzando il "Patto dei sionisti". Un passo avanti definitivo di Monti, che ha annunciato persino di concedere il suo nome come capo della coalizione. Una decisione che al Quirinale, al momento, non trova commenti ufficiali, nonostante siano note le riserve del capo dello Stato rispetto a un impegno in prima linea del premier in campagna elettorale. Dal Colle trapela una linea di assoluta neutralità. Verso Monti non ci sono "né viatici, né veti".
Ma la prima riunione "operativa" del nuovo soggetto politico è anche l’occasione per il primo scontro al vertice. E sarà ricordata per quella che potrebbe esserne la prima vittima: Corrado Passera, a un passo dal ritirarsi dalla corsa. Dopo una prolusione di Monti, il vertice si apre infatti dando la parola ai due "campioni" delle opposte visioni sul tavolo: dare vita a una lista unica anche alla Camera - come vorrebbe appunto Passera, ma anche Nicola Rossi, Benedetto Della Vedova, Pietro Ichino - , oppure procedere separati, come chiedono sia l’Udc che i montezemoliani? Passera espone il suo punto di vista, vuole la lista unica. Ha persino portato dei bozzetti per il simbolo che mostra e poi ripone subito in una cartellina. "Dobbiamo noi per primi dare prova che vogliamo lasciare le vecchie case d’appartenenza - spiega il ministro dello Sviluppo - e costruire una cosa nuova. Dar vita a una lista Monti sarebbe un segno di determinazione e coerenza". Casini non è d’accordo: "I voti che possiamo prendere separatamente non si sommano". Su questo i rappresentanti di Italia Futura, Andrea Romano e Carlo Calenda, la pensano allo stesso modo. Con questo ragionamento: "Chi vuole votare una lista civica come la nostra non accetta che ci siano dentro anche politici di professione". Vengono elencate questioni pratiche - come la par condicio che garantisce più presenze in tv a chi si presenta con più formazioni - o la difficoltà - è ancora Casini a parlare - di "procedere a un rinnovamento delle candidature imposto dall’esterno". Il leader dell’Udc punta i piedi: "Se c’è qualcuno che ha dato una mano a questo governo, fin dal primo giorno, siamo noi. Non possiamo essere penalizzati per questo". Tra opposte visioni il confronto si fa serrato. Le suorine che, discretamente, passano nel convento sentono alzare la voce. Anche Andrea Riccardi è del parere che in fondo andare con una formazione a più liste sia la cosa più ragionevole. "C’è una pluralità di mondi che guardano a Monti con interesse - osserva il ministro dell’Integrazione - e quindi anche le liste dovrebbero riflettere questi criteri: coralità, apertura e pluralità".
Passera è isolato e Monti alla fine accetta la linea maggioritaria. Oltretutto presto potrebbero arrivare altre adesioni al progetto. Ci sono gli ex Pdl che oggi si vedranno per provare a dar vita a una loro "lista per Monti". Ci sono le associazioni cattoliche finora rimaste alla finestra - dal Movimento cristiano lavoratori di Carlo Costalli a Rinnovamento dello Spirito e poi i focolarini, Retinopera, Scienza e Vita - che si riuniranno per decidere il 10 gennaio. Una lista civica di cattolici doc non è esclusa. Il ministro dello Sviluppo prende atto di aver perso la battaglia: "Io resto a disposizione di Monti ma ho sempre lavorato a una lista unica. Se si prende un’altra strada io faccio coerentemente un passo indietro". A questo punto Passera potrebbe anche non candidarsi, a meno che il premier non lo ripeschi. Non saranno invece in lista Montezemolo e Riccardi, ma questo si sapeva da qualche giorno.
Presa la decisione più importante, quella di procedere con più formazioni - per ora tre: Udc, Fli, Lista civica - nella lunga riunione si passa a parlare d’altro. Della campagna elettorale, per esempio. Monti non farà comizi come un politico tradizionale, d’accordo. Ma se ci sarà un confronto tv all’americana, con Berlusconi, Bersani e Grillo, anche il premier non si sottrarrà. Si decide poi di dar vita a una cabina di regia, ci sarà un "codice etico" per le candidature, a Montecitorio si farà comunque un gruppo parlamentare unico. E il censore Enrico Bondi vaglierà non soltanto le fedine penali ma anche i conflitti di interesse e le situazioni patrimoniali. Ci si dà quindi un nuovo appuntamento per oggi, con la stessa formazione, anche se Monti non sarà della partita (si è preso due giorni di riposo a Venezia con la moglie). Della questione politica di fondo - quale rapporto con il Pd, probabile vincitore - tutti assicurano che non si sia parlato. Ma la convinzione di Monti è che il dopo elezioni debba passare per un accordo di governo con Bersani.
(29 dicembre 2012)

BACHECA DI MASHA SANCIN
( MA NOOO, MA CHI LO AVREBBE MAI DETTO ?! )
STRANE COINCIDENZE :
Andrea Fiamma
Su Rai3 è ora in onda un lungo documentario di 90 minuti sul maxi-processo contro la mafia, con ampie testimonianze del magistrato Pietro Grasso. Guarda caso, ieri Grasso annuncia la candidatura per il PD e da oggi la TV "pubblica" inizia a fargli campagna elettorale con i soldi del nostro canone. RAI3 VERGOGNA.


PRIMARIE DEL PD
Urne aperte dalle 8 alle 21per le primarie dei parlamentari del Partito democratico e del Sel in nove regioni: Abruzzo, Alto Adige, Calabria, Campania, Liguria, Lombardia, Molise, Piemonte e Umbria. Nelle altre regioni - Basilicata, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Marche, Puglia, Sardegna, Sicilia, Toscana, Trentino, Veneto - si voterà, invece, domani, 30 dicembre, con le stesse modalità. Sono oltre 6.000 i seggi allestiti grazie al lavoro di più di 50 mila volontari. Anche in questa occasione sarà richiesta una sottoscrizione di almeno due euro per sostenere le spese della campagna elettorale.
Possono votare tutti gli iscritti al Pd dal 2011 che abbiano rinnovato la tessera entro il giorno del voto e coloro che hanno votato alle primarie per il candidato premier del centrosinistra dello scorso 25 novembre e che sottoscrivano l’appello come elettori del Pd.
Si potranno esprimere due preferenze, una a favore di una donna e l’altra a favore di un uomo. Qualora le due preferenze fossero a favore di candidati dello stesso sesso, la seconda nell’ordine sarà considerata nulla. Saranno considerate invece valide, conseguentemente, le schede con una sola preferenza.
L’affluenza e i risultati dello spoglio - e cioè il numero dei votanti e le graduatorie dei consensi - nello speciale di Repubblica.it.

PEZZI DI STAMATTINA
CORRIERE DELLA SERA
ANTONIO POLITO
Siccome una «salita in politica» super partes è impossibile, Mario Monti sarà parte. Guiderà cioè una coalizione di partiti e di liste, e ne sarà il candidato premier. L’ambiguità maggiore di questa operazione, che fino a ieri era rappresentata da un’agenda invece che da un leader, è dunque risolta. In democrazia non può che essere così, ed è lecito che sia così. Anche se questo richiederà a Monti, un professore abituato a dare voti piuttosto che a chiederli, una trasformazione radicale. Gli avversari si sono già tolti i guanti, e colpiranno sempre più duro. Sarà interessante vedere qual è la sua tempra di combattente.
I punti forti di questa svolta sono dunque due. Il primo è che ora chi vuol votare Monti sa per chi votare. Il secondo è che l’offerta politica finalmente conosce una novità di rilievo e di merito, e non sarà l’ennesimo ritorno dell’uguale che il solito scontro Berlusconi-Sinistra faceva temere.
Ma ci sono anche due punti deboli. Il primo è che, nonostante il premier abbia detto che «nasce oggi una nuova formazione politica», sulla scheda della Camera ne rimangono due più antiche, quella di Casini e quella di Fini. La scelta di più liste invece di una sola è frutto di un calcolo di convenienza elettorale (infatti al Senato, dove la convenienza della legge è diversa, ci sarà una lista unica). Più liste vuol dire più candidati che fanno campagna elettorale. Ma politicamente non è il segno di novità che sarebbe stato lecito aspettarsi, la nascita cioè di un raggruppamento che anche nella sua forma rappresentasse quella rottura col passato della vecchia politica che Monti dice di voler rappresentare. Non è neanche detto che porti bene: nel 2006 Ds e Margherita andarono meglio uniti alla Camera che divisi al Senato. Inoltre, per quanto il premier assicuri un suo rigoroso controllo sulla formazione delle liste coalizzate, i partiti manterranno pur sempre una sovranità nella scelta dei candidati che può riservare qualche brutta sorpresa: sono esperti nell’arte del riciclo.
Il secondo punto debole è la «vocazione maggioritaria» della coalizione centrista. È giusto che Monti la rivendichi, perché è davvero difficile chiedere voti quando già si sa che saranno destinati ad allearsi con altri. Ma è poco realistico immaginarla con il sistema elettorale vigente. Naturalmente è sempre possibile che la coalizione per Monti arrivi prima alle elezioni e dunque possa governare con le sue forze. Ma è molto più probabile che, nella migliore delle ipotesi, arrivi seconda e debba dunque sperare in un accordo con chi vincerà. Finora Monti ha chiuso a destra e tenuta aperta la porta a sinistra. Questo può creargli problemi proprio nell’elettorato cosiddetto moderato e non a caso è il tasto su cui martella il Pdl. Se Monti vuole cercare un suo spazio autonomo, che sostanzi la vocazione maggioritaria, è ora necessario che spieghi in che cosa il suo progetto si differenzia da quello di Bersani, oltre che sul nome dell’inquilino di Palazzo Chigi.
Antonio Polito

CRONACA DI MARCO GALLUZZO
ROMA — «Non sono l’uomo della provvidenza», ma oggi «nasce una nuova formazione politica» ed è un progetto «a vocazione maggioritaria». È il tentativo di ricostruzione di una vasta area moderata, intorno «ad una modalità di governo». Non è «contro», «non è un partito», «non mi voglio inserire fra i due Poli». Semmai, prosegue Monti, «è il tentativo di rompere alcune barriere, vincendo resistenze di lobby e corporazioni», e anche «di arcaiche forme di sindacalismo».
Il ritratto del progetto Monti lo fa Monti stesso, alle sette di sera, in una sala del Senato. Al termine di una giornata in cui vede per oltre quattro ore, in un luogo che ufficialmente resterà riservato, alcuni esponenti che aderiscono a quella che definisce «una missione» per il Paese. Avrà l’articolazione di una lista unica al Senato, (al momento, ma è provvisorio, si chiama «Agenda Monti per l’Italia»), di più liste alla Camera, compresa quella dell’Udc. Avrà un commissario alle candidature, Enrico Bondi: l’uomo dei tagli alla spesa pubblica, che ora scruterà curricula e informazioni personali, per presentare liste di candidati il più possibile «pulite». Mentre lui, che sarà di fatto il capo di una coalizione, vigilerà su «standard e criteri» di formazione delle liste.
La politica dei fatti
Aggiunge il premier dimissionario, e non è un dettaglio, che il progetto, almeno ora, «non intende immaginare alleanze». Non si avventura nel dare numeri, sarebbe ingenuo, ma fa capire di puntare ad un exploit. In sostanza, argomenta il Professore, «abbiamo governato per 13 mesi ed è stato solo un inizio di riforme strutturali», abbiamo portato avanti un modello «fondato sulla politica dei fatti, sul rifiuto delle promesse vacue e del populismo». In sintesi: «Non abbiamo pensato di essere un partito, ma uno schieramento di idee».
Del resto, prosegue Monti, alludendo al passato, in Italia «troppe cose sono state incentrate su singole personalità», in modo talvolta «affrettato e strumentale». E invece in questo caso si tratta di un progetto con uno Statuto che articolerà l’alleanza fra più liste, fondato sul documento programmatico presentato come Agenda Monti, che avrà la sua cifra nella «buona volontà e nella capacità di fare che ci è stata riconosciuta».
Dove potete arrivare, punta a Palazzo Chigi anche se arriva secondo? La domanda dei cronisti introduce un cambiamento di abitudini, almeno lessicali: «Stavo per dire wait and see, ma invece lo dico in italiano, come si dice: aspettiamo e vediamo. A palazzo Chigi sono stato in un periodo molto difficile e sono contento di non aver assistito ad una catastrofe dell’Italia e invece di aver contribuito a rimettere l’Italia saldamente in carreggiata e al centro della dinamica europea. Io credo che questa formazione possa avere risultati significativi, non è il caso di definire a priori cosa si farà in futuro».
I comizi
Come farà campagna elettorale, farà comizi? Risposta ironica: «La parola comizio l’ho poco frequentata nella mia vita, so cosa sono e che avvengono ancora, questo è bello e positivo, ma credo non mi verrà richiesto molto di partecipare a manifestazioni dove altri avranno più vocazione di me. Io dirò la mia sull’attività del governo e su come vediamo le sfide che l’Italia ha di fronte a sé e con essa l’Europa».
Credenti e non
Anche l’appoggio della Chiesa viene commentato, un’occasione per chiarire le cornice del movimento che sta per nascere: «Sono molto grato all’Osservatore Romano, ma la nostra formazione unisce persone di buona volontà, credenti e non, ed è impegnata, ciascuno con la propria cultura e competenza, per far maturare un criterio di etica pubblica condivisa. Le questioni etiche sono fondamentali, ma non le considero meno prioritarie delle emergenze dell’economia e del sociale, non è su queste questioni che si articola la nostra formazione, ci sono le coscienze individuali e la sede parlamentare sarà quella in cui questi valori devono esplicarsi».
Finita la conferenza stampa, prima di prendere un aereo per Venezia, dove oggi sarà in visita privata, Monti scrive su Twitter questo messaggio: «Ho deciso di salire in politica: sono con gli italiani che vogliono il cambiamento». Qualcuno, prima che lasci il Senato, gli chiede se non sarebbe stato più chiara una candidatura diretta: «La legittimazione popolare è significativamente più importante di un collegio alla Camera».
«Oggi non nasce un partito personale ma una speranza per gli italiani: adesso tutti al lavoro», è il commento di Pier Ferdinando Casini, al termine della giornata. «La coalizione annunciata da Monti apre all’Italia una prospettiva di rinnovamento. Futuro e Libertà farà la sua parte», dichiara Gianfranco Fini.
Marco Galluzzo

CRONACA DI ALESSANDRO TROCINO
ROMA — Oltre tre ore di «lavoro intenso» come dice Mario Monti su Twitter. Ma anche oltre tre ore piuttosto turbolente, con scambi di opinioni vivaci e idee spesso contrastanti, che hanno trovato la sintesi raccontata dal premier nella conferenza stampa serale, condotta da solo nella sala Nassiriya del Senato. Ma il discorso che Monti tiene durante il vertice colpisce molti: «Non faremo una nuova Dc. Non siamo centristi né moderati. Non saremo un partito, ma un movimento innovativo, sicuramente non confessionale, che promuoverà le riforme e il rapporto con l’Europa».
Un vertice che si tiene in un istituto per suore tra il Gianicolo e Trastevere e che vede riuniti intorno a un tavolo i principali rappresentanti del nuovo rassemblement: oltre a Monti ci sono Pier Ferdinando Casini, i ministri Andrea Riccardi, Enzo Moavero e Corrado Passera, il sottosegretario alla Presidenza Antonio Catricalà, i rappresentanti di Italia Futura (assente Luca Cordero di Montezemolo perché all’estero), Andrea Romano e Carlo Calenda, esponenti del terzo Polo come Benedetto Della Vedova, Linda Lanzillotta e Nicola Rossi, e due recenti transfughi, l’ex Pdl Mario Mauro e l’ex Pd Pietro Ichino. La scelta dirimente su cui si dibatte di più è quella se presentarsi con una lista unica anche alla Camera oppure con diverse liste. A favore della prima ipotesi si schierano nettamente il ministro Passera, che ha uno scontro (non diretto) con Casini. Con lui sono anche Della Vedova, Ichino e Lanzillotta. A favore della pluralità di liste, invece Italia Futura ma anche Casini. Che rispetto alle scorse settimane ha cambiato opinione. E lo spiega sostenendo come sia sbagliato rinunciare allo scudo crociato, un simbolo che conta ancora molto in cabina elettorale. E come sia più utile alla causa avere più liste, sfruttando la rete dell’Udc: «Abbiamo poco tempo e l’Italia è grande. Non dimentichiamo il Sud: lì c’è bisogno di uomini che corrono sul territorio». Nel non detto, c’è anche la necessità per Casini di piazzare i propri uomini con più libertà.
Monti ascolta le varie opinioni e poi decide di dar corso alle liste separate, specificando però che ci saranno gruppi unici sia alla Camera sia al Senato. A quel punto Passera, più che deluso, richiude la borsa con le ipotesi di simbolo della lista unica. E si decide che il nome e il logo della lista del Senato, Agenda Monti per l’Italia, sarà contenuto nella metà del simbolo delle tre liste della Camera (oltre alla lista civica e all’Udc dovrebbe esserci anche Fli). Ma Monti mette in campo anche una contromisura: la due diligence sulle candidature, affidata a Enrico Bondi. Perché il Professore è chiarissimo: lui avrà l’ultima parola su ogni candidato, anche per la lista dell’Udc. E cita alcuni criteri che saranno utilizzati per scegliere: il numero dei mandati parlamentari, la fedina penale, gli eventuali conflitti d’interesse. Monti chiederà la massima trasparenza patrimoniale ai candidati. Nulla si dice, nella riunione, sulle figure di peso che creano imbarazzo, da Gianfranco Fini a Lorenzo Cesa. Mentre si decide che chi non ha un partito alle spalle, come Ichino e Rossi, verrà candidato al Senato.
La discussione continua, con Riccardi che chiede «grande apertura e coralità», per la composizione delle liste. Il fondatore di Sant’Egidio sarà il «pivot» di quella cabina di regia che si è decisa di formare, per avviare la campagna elettorale. Si discute anche di programma e si decide di arricchire l’Agenda Monti, considerata come un punto di partenza da completare. In particolare con i temi sociali. Da oggi, si lavora concretamente. E Monti assicura: agli appuntamenti della campagna elettorale ci sarà, se necessario, anche di persona.
Alessandro Trocino

INTERVISTA A DELLAI
ROMA — «Il presidente Monti ha indicato uno spettro politico che fa riferimento a un paradigma nuovo: non a caso non ha usato parole superate come "centro" e "moderati", ma "Europa" e "riforme"». Lorenzo Dellai, ispiratore della Margherita, presidente della provincia di Trento, era uno dei partecipanti al primo vertice del costituendo centro montiano.
Una discussione difficile?
«No, è stata una buona discussione, molto sincera. Siamo finalmente usciti da un periodo di necessaria incertezza e indecisione e oggi tutte le ipotesi di lavoro sono sul tavolo. Siamo pronti per un rinnovamento profondo della politica italiana, che parte proprio da questo mix di realtà diverse, di esponenti della politica, del mondo dell’economia e del mondo delle associazioni».
Il punto dirimente era lista unica o pluralità. È soddisfatto della scelta finale?
«C’erano ragioni valide per sostenere entrambe le ipotesi, ma io propendevo per la pluralità delle liste. Il rischio con la lista unica era quella che venisse percepita come un’operazione calata dall’alto, di tipo verticistico. Così avremo la possibilità di mobilitare la gente».
L’Agenda Monti sarà cambiata?
«Sarà implementata e arricchita. Del resto Monti non propone un governo tecnico in salsa elettorale, ma si propone come leader di una coalizione nuova, tutta politica. La base del Professore è ottima ma va arricchita».
Come?
«Occorre fare entrare il calore della politica in quelle cartelle, che del resto non erano mai state intese come esaustive. Usare criteri di verità e non di populismo. Ma anche aprire alla speranza».
Non più sacrifici e tasse?
«Bisogna dire e ricordare che rigore e speranza sono parti della stessa politica, non sono antitetiche».
Come faranno a convivere nella stessa coalizione l’ex pd Ichino e l’ex pdl Mauro?
«Se c’è la sincera disponibilità a mettere davanti le ragioni del Paese, nella logica del bene comune, possono convivere anche sensibilità di tipo diverso».
Monti vuole avere l’ultima parola sulle candidatura.
«Tutte le parti hanno deciso di affidargli una funzione di garanzia e si sono impegnate a rispettare il suo ruolo. Ogni lista avrà diritto di scegliersi i rappresentanti, ma quello che conta è che lo farà nel rispetto dei criteri condivisi. Criteri che vanno applicati e si vigilerà perché lo siano. Anche questa è serietà».
Al. T.

IL RUOLO DI ENRICO BONDI
ROMA — Reduce dalle scoperte inimmaginabili fatte quando era consigliere di Mario Monti per la spending review, come quella che lo stato italiano «spende di norma ogni anno 461 milioni in mobili» (quattrocentosessantuno milioni!), Enrico Bondi ha maturato la convinzione che per individuare le cose che non funzionano «basta aprire i libri». Perché «nei libri troviamo tutto», ha spiegato alla commissione d’inchiesta del Senato sul servizio sanitario nazionale. Ma non ha detto la cosa più importante e cioè che i libri, come i documenti, bisogna saperli leggere. E lui, in questo, è ritenuto generalmente uno dei più capaci.
Ecco la ragione per cui è stato scelto dal presidente del Consiglio per fare le radiografie ai possibili candidati alla Camera per la lista che dovrà sostenere la cosiddetta «Agenda Monti». Non è un mistero che l’ex rettore della Bocconi consideri le regole sull’incandidabilità appena varate dal suo governo, fra non pochi mal di pancia da parte di un Parlamento pieno di deputati e senatori alle prese con grane giudiziarie anche molto serie, una specie di compromesso al ribasso: a dispetto delle dichiarazioni pubbliche del ministro della Giustizia Paola Severino, che ha dovuto difendere comunque quel provvedimento. Monti sa bene che in nessun Paese europeo sarebbe considerato accettabile portare in Parlamento chi sia stato condannato da un tribunale a una pena fino a due anni di carcere per corruzione o concussione o per qualche altro reato, come invece consentito dalle norme appena varate. Ma nemmeno un semplice indagato. E non perché esista una legge che lo vieta, semplicemente perché non si fa. Difficilmente, in ogni caso, anche molti elettori italiani oggi sarebbero disposti a perdonargli una leggerezza simile. Conosce altrettanto bene l’attenzione che viene posta in Europa sui conflitti d’interessi, legge o non legge. Nel Regno Unito, Paese più rigoroso in questo campo, non esiste un provvedimento specifico: però nessuno si sognerebbe di candidarsi alla House of Commons trovandosi in situazioni imbarazzanti come quelle nelle quali molto spesso risultano i nostri onorevoli, nonostante le numerose norme che qui regolano le incompatibilità parlamentari. Non ci sarebbe dunque da stupirsi se l’esame di Bondi avesse come base di partenza le prassi anglosassoni: nessun indagato in lista e alla larga da ogni possibile conflitto. Tanto più per marcare la differenza rispetto al principale concorrente di Monti nella corsa all’elettorato del centrodestra: Silvio Berlusconi, proprietario di un impero televisivo che ha appena subito una condanna a quattro anni in primo grado.
Dopo essere stato bersagliato per mesi dalle polemiche sui presunti conflitti di alcuni componenti del governo tecnico che hanno scandito alcuni fra i passaggi più delicati, di tutto ha bisogno Monti fuorché di farsi impallinare a causa di qualche candidato particolarmente occupato in affari pubblici o privati. Ovvio. Ma allo stesso modo il premier non può rischiare sorprese sgradevoli nelle altre liste a lui apparentate e nei partiti che lo affiancano. Ciò riguarda soprattutto le formazioni politiche presenti da tempo in Parlamento, che potrebbero essere sottoposte a fortissime pressioni, senza avere meccanismi di selezione adeguati. In questo caso l’incarico a Bondi dovrebbe rappresentare un potente deterrente contro la tentazione di riesumare inquisiti o figure discutibili. Il messaggio è che chi sta con Monti non può essere una scialuppa di salvataggio. Beninteso, sempre che funzioni.
Sergio Rizzo


MILANO — Fino al tardo pomeriggio di ieri c’era solo lei, Alessandra Servidori (sopra, foto Benvenuti). In mezzo a enti e associazioni, era la prime e unica persona fisica «seguita» da Mario Monti su Twitter. In giornata il professore le ha affiancato tra i following Barack Obama. «Sono gratificata dal privilegio che mi ha riservato il presidente del Consiglio» afferma Servidori, 63 anni, consigliera nazionale di parità. Che spiega: «Lo vivo come un riconoscimento per il tanto lavoro fatto nel mio ruolo: io rappresento la rete delle consigliere di parità a cui lui ha prestato molta attenzione e ascolto». «Ho incontrato Monti il 16 novembre 2011 e gli ho esposto i miei punti di vista — racconta —. Da allora ho lavorato a stretto contatto con il ministro Elsa Fornero».
E. Bu.

LO STRAPPO DI PASSERA
DI ROBERTO ZUCCOLINI
ROMA — Sin da quando è nato il governo Monti, il 16 novembre di un anno fa, era già per molti «il candidato». Nel senso che tanti, a destra e a sinistra, attribuivano a Corrado Passera il desiderio di fare prima o poi il grande salto dalla finanza alla politica, lui che è stato a capo delle Poste italiane e di Intesa Sanpaolo. E una conferma di questo suo interesse, collocato al Centro della politica italiana, l’aveva dato ancor prima con la partecipazione, nell’ottobre del 2011, alla prima riunione di Todi, il convegno che rappresentò il disagio dei cattolici delle associazioni e del mondo del lavoro nei confronti del governo Berlusconi. Ecco perché, anche se non si era mai legato ad una formazione centrista già esistente, né di partito (come l’Udc), né della società civile (come Italia Futura di Montezemolo), tutti davano ormai per certa la sua discesa in campo. Di questo e di altro, di politica, aveva parlato nei giorni scorsi con Mario Monti.
Fino a ieri, quando, nel corso della riunione che ha segnato la decisione finale su come il nuovo soggetto dovrà presentarsi alle politiche, ha registrato lo strappo: «La mia linea non è passata. Mi dispiace, ma a questo punto non sono più disponibile». Chi è stato attorno al tavolo delle trattative lo ha visto combattere fino all’ultimo per la sua idea, quella di una lista unitaria sia alla Camera che al Senato, a significare la compattezza del progetto montiano. Con Mario Monti che l’ha ascoltato e che, prima di decidere, ha voluto sentire nuovamente il parere di tutti su un tema così delicato, che inciderà sulla campagna elettorale. E l’ha visto discutere lungamente con chi, invece, era contrario all’idea di annullarsi sotto una stessa sigla, là dove, alla Camera, non si è costretti dal Porcellum a procedere uniti. Problema di identità per l’Udc di Pier Ferdinando Casini, problema di chiarezza e novità in campo per il movimento di Verso la Terza Repubblica. Uno scontro di idee che, assicurano tutti gli interlocutori, ha sempre avuto toni civili, senza nascondere però una diversità di vedute e di strategie, a tratti netta.
Le ragioni della lista unitaria alla fine non hanno prevalso, anzi si è parlato della possibilità che nascono anche più di due liste. Per Passera si trattava di una questione «dirimente» rispetto alla sua scelta personale. E, visto che «non c’erano più le condizioni», ha detto chiaramente che non si candiderà. Ai suoi interlocutori ha spiegato ugualmente che le offerte elettorali, diverse anche se collegate tra di loro, daranno a suo giudizio l’impressione di un «franchising» che Monti non riuscirà a controllare pienamente. Convinto che il premier dimissionario propendesse di più per la lista unica, ma che alla fine abbia dovuto prendere atto di una maggioranza dei presenti favorevole invece ad una diversificazione delle proposte centriste.
Che farà ora? Il suo lavoro di ministro che riserva ancora progetti da portare a termine. Poi si vedrà. Resta nel «più candidato» in pectore tra i ministri montiani l’amarezza per la partita persa, come ha detto durante la riunione centrista: «Peccato davvero. Si era ad un passo da un soggetto nuovo che poteva fare la differenza: sarebbe stata una vera svolta». Con gli altri che invece gli ripetevano che il progetto potrà andare avanti anche in questo modo, così come poi l’ha spiegato in conferenza stampa il Professore. Perché comunque al Senato si correrà insieme sotto uno stesso simbolo e poi perché le liste saranno federate e i candidati fortemente controllati da Monti attraverso Enrico Bondi. Ma non è bastato a convincere il ministro. Che alla fine della riunione ha confermato: «Non sono più della partita».
Roberto Zuccolini

MASSIMO GIANNINI SU REPUBBLICA:
[...] Con la sinistra, il Centro Montiano dovrà provare a fare un accordo, se non vuole scommettere sull’ingovernabilità, puntando a una Folle Coalizione che tiene dentro anche Berlusconi e Grillo. Un accordo non pre, ma post-elettorale, che serva a garantire una maggioranza sicura anche al Senato dove la partita
è più incerta. Ma questo patto andrebbe discusso, ragionato e preparato in un clima di collaborazione tra Monti e Bersani. Invece, come dimostrano i prodromi di questi ultimi giorni, la campagna elettorale è destinata a infiammarsi intorno alla competizione tra il premier e il segretario. Il primo costretto a prendere sempre più platealmente le distanze dal Pd, per ridurre quelle che lo separano dall’elettorato del Pdl. Il secondo obbligato, per ragioni uguali e contrarie, a rimarcare sempre più orgogliosamente il presidio identitario della sinistra [...]

GIOVANNA CASADIO SULLE CANDIDATURE
ROMA
— La “tosatura” dei candidati sarà consistente. Monti non vuole assalti alla diligenza. Neppure ritrovarsi con una lista civica, quella di Montezemolo e Riccardi, dove ci siano candidati con qualche conflitto d’interesse. Ancora meno, avere in lizza tutti i vecchi arnesi di Udc e Fli. Il Professore vuole il ricambio. A Enrico Bondi ha affidato il compito di vagliare, valutare, sconsigliare.
Montezemolo ad esempio, ha già detto che non si candida. Se mai ci avesse pensato, sarebbe toccato a Bondi fargli comprendere che qualche conflitto di interesse in piedi ce l’ha, in quanto presidente della Ferrari, vice presidente di Unicredit e, benché non ne sia più presidente, come fondatore di Ntv. Non avrebbe insomma superato l’esame-Bondi. Nel gruppo “Verso la Terza Repubblica”, attenzione quindi a non mettere in campo
imprenditori che abbiano interessi dalla Sanità alle telecomunicazioni. Molti nomi si fanno e si disfano in queste ore. A sorpresa, i ministri Andrea Riccardi e Corrado Passera non si candidano, mentre viene data per certa la candidatura di Anna Maria Cancellieri, l’ex prefetto che Monti ha voluto come ministro dell’Interno.
Tra i centristi di Casini si accettano scommesse. Vengono dati per candidati sicuri Roberto Rao, Giampiero D’Alia, Gian Luca Galletti e Antonio De Poli. Però
un ricambio anche l’Udc dovrà metterlo in campo. Casini lo sa. Ha portato a casa una lista autonoma alla Camera (il listone sarà solo al Senato), ma deve pensare a una qualche forma di rinnovamento. Non può rimettere in lista i “dinosauri”, chi ha cioè carriere politiche trentennali, come Mario Tassone che in Parlamento ci sta da 34 anni e che a chi gli chiede se intenda ancora candidarsi risponde: «Dipende dal partito».
In piena fibrillazione è Fli, il partito di Fini. Nei giorni scorsi si parlava di una lista unica Udc-
Fli: Casini in quel caso si sarebbe detto disponibile a caricarsi non più di quattro-cinque persone, incluso Fini. Ora Fli si allarga. Italo Bocchino ha convocato ieri una riunione del partito per cominciare a raccogliere le firme. A metà pomeriggio — quando ancora il vertice con Monti è in corso e per Fli siede al tavolo Benedetto Della Vedova — racconta di essere sommerso dalla modulistica per le sottoscrizioni. Sostiene, Bocchino, di essere abbastanza sicuro della propria candidatura. Nel passato c’è stata
qualche ombra, la storia con l’ape regina di Berlusconi, Sabina Began, condita di sms e pettegolezzi? Bocchino replica: «Non c’è ragione perché non ci sia una mia candidatura. Dopo Fini, sono quello che ci ha messo più passione e impegno nel sostenere il Professore e che ci ha rimesso di più. Sono in attesa di remunerazione da Monti». In bilico Flavia Perina, ex direttore del Secolo d’Italia, finiana della prima ora. Al contrario, Giulia Bongiorno, la presidente della commissione Giustizia, è data per certa. Po-
trebbero essere candidati anche Sofia Ventura e Alessandro Campi, in quota Fini o forse in lista civica.
E poi ci sono i transfughi dal berlusconismo. Soprattutto, il gruppo dei dieci, capitanati dall’eurodeputato Mario Mauro: Isabella Bertolini, Gaetano Pecorella, Alfredo Mantovano, Giorgio Stracquadanio, Fabio Gava, Giustina Destro, Roberto Antonione. Hanno lasciato il Pdl da quel dì. Stamani si riuniscono per decidere il da farsi. Hanno scritto una lettera aperta nella quale sostengono che aprire al popolo del centrodestra fa la differenza. «Se si vuole creare un polo dei moderati, crediamo di potere essere utili», commenta Bertolini. Tra loro, c’è l’ex ministro Franco Frattini. Monti lo stima, ma i finiani non hanno dimenticato quando l’allora responsabile della Farnesina in Parlamento dedicò una informativa alla vicenda della “casa di Montecarlo” e al caso Santa Lucia. Fini se l’è legata
al dito. Nel listone al Senato, il presidente della Camera non gradirebbe certo Frattini. Quasi certa la candidatura di Alfredo Mantovano, ex sottosegretario alla Giustizia e anche quella di Beppe Pisanu, presidente della Commissione Antimafia. Porte chiuse per quanti invece — da Sacconi a Roccella — abbiano sperato nella federazione montiana come approdo. Avance ai montiani da Alessandro Cattaneo, il “formattatore” del Pdl,
sindaco di Pavia.