Ilaria Maria Sala, La Stampa 29/12/2012, 29 dicembre 2012
IL GIALLO DELL’SOS DELL’OPERAIO CINESE NEI REGALI DELLE FESTE
Halloween: festa di mostri e streghe, di zombie e «morti che ritornano», dolcetto o scherzetto, e ogni tipo di raccapriccio addomesticato, per far finta di spaventarsi a burle macabre senza doverne scontare le conseguenze. Per questo la signora Julie Keith, una quarantaduenne dell’Oregon, l’anno scorso era andata da Kmart ad acquistare delle lapidi di polistirolo, da utilizzare come temibili giocattoli decorativi. Poi, fra i tanti addobbi, quello non l’aveva scartato, aprendolo solo ora. Dentro, una trovato una sorpresa: un biglietto scritto a mano in un inglese claudicante interrotto da caratteri cinesi, in cui viene chiesto aiuto denunciando le orribili condizioni di lavoro in cui sono state prodotte le lapidi di polistirolo.
L’intera storia, comparsa sul quotidiano online «The Oregonian», è sorprendente, ma ricca di particolari. Il messaggio, sulla cui autenticità per ora non vi sono conferme, arriva da Shenyang, città del nord della Cina nella regione del Liaoning, da Masanjia per l’esattezza, unità n. 8, dove si troverebbe un campo di rieducazione tramite il lavoro. Trattandosi di lavoro forzato, il salario corrisposto ai detenuti non è nemmeno nei minimi previsti dalla legge cinese: «La gente qui è costretta a lavorare 15 ore al giorno per 10 yuan al mese», ovvero, poco più di un euro.
«Se le è capitato di comprare questo giocattolo, la prego di consegnare questa lettera all’Organizzazione Mondiale dei Diritti Umani - dice il biglietto -. Migliaia di persone che vivono qui sotto la persecuzione del Partito Comunista Cinese la ringrazieranno e ricorderanno per sempre». Poi si legge che le persone nei campi di rieducazione sono migliaia, fra cui anche molti seguaci del gruppo spirituale fuorilegge in Cina chiamato Falun Gong, e che lì vengono scontate pene detentive fino a tre anni senza processo. Tutte descrizioni che coincidono con quello che sappiamo del laojiao, la rieducazione tramite il lavoro per l’appunto, una forma di pena amministrativa che non richiede processo e dura fino a tre anni rinnovabili. I detenuti ricevono una paga poco più che simbolica, e lavorano, in alcuni casi, in condizioni terribili, senza giorni di riposo e con il rischio di essere sottomessi ad abusi.
Importare manufatti prodotti da detenuti è illegale in molti Paesi, fra cui gli Usa. Human Right Watch - a cui la lettera dell’operaio cinese è stata consegnata - non è in grado per ora di verificare la veridicità del manoscritto, anche se i responsabili confermano che le condizioni di lavoro descritte sono simili a quelle denunciate in altri campi di lavoro cinesi.
Non è la prima volta che arriva un «messaggio nella bottiglia» dalla Cina: nel 2008 un’operaia della Foxconn aveva dimenticato di cancellare delle innocenti foto sorridenti, scattate per testare l’apparecchio. L’acquirente, un inglese, era rimasto toccato della sorpresa, che aveva fatto il giro del web – provocando una tale ondata di buoni sentimenti da far sospettare che fosse una trovata pubblicitaria.
Non è questo il caso, che riporta invece alle mille denunce di condizioni di lavoro intollerabili in Cina, non solo nei campi. Di recente, del resto, il gruppo sindacale China Labour Bullettin, con sede a Hong Kong, ha riportato che gli aumenti salariali del Guangdong, tanto sbandierati lo scorso anno, non sono mai avvenuti a causa delle forti resistenze da parte dei proprietari delle aziende.