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 2012  dicembre 29 Sabato calendario

LA TRIPLE FRONTERA, IL NUOVO SANTUARIO DELLA JIIHAD GLOBALE

Prevedibile eppure imprevisto. Il re­cente arresto nella paraguayana Ciudad del Este di un presunto qaedista, accusato di pianificare un at­tentato kamikaze sul suolo americano, ha fatto scorrere un brivido di terrore sul­le schiene di analisti e responsabili del­la sicurezza. Da mesi, tuttavia, il Dipar­timento di Stato Usa aveva elevato l’al­larme terrorismo nella Triple Frontera, in cui Argentina, Brasile e Paraguay si u­niscono, scomponendosi in un mosaico di negozi, banche, agenzie di cambi e bellezze naturali. Nessuno si aspettava, però, che l’infiltrazione di al-Qaeda nel­la regione fosse già in fase tanto avanza­ta. L’attacco suicida – affermano fonti di intelligence – sarebbe avvenuto nel Co­no Sud, dunque non direttamente negli Stati Uniti. Il dubbio che fosse solo una “prova generale” di un ben più cruento spettacolo, però, resta.
Anche perché l’ondata di narco-violen­za, negli ultimi anni, si è abbattuta sul­l’America Latina rappresenta un’occa­sione ghiotta per il terrorismo di matri­ce islamista. Questo si insinua nelle pie­ghe del caos crescente, stringendo al­leanze con i gruppi criminali locali. «La collaborazione conviene a entrambi – spiega ad Avvenire Felipe Umaña, e­sperto del prestigioso centro studi di Wa­shington Fund for Peace –: in cambio di una quota (consistente, ndr ) dei proventi del traffico di droga, gli jihadisti forni­scono ai narcos armi e attrezzature, tro­vano clienti e canali alternativi di spac­cio ». Gli islamisti, ovviamente, si in­trufolano nei punti deboli del Continen­te. Come la Triple Frontera, dove la pre­senza di agenti di Hezbollah, Hamas, mo­vimento per il jihad islamico, al-Qaeda, al-Gama al-Islamiyah, al Muqawamah al Islamiyah è ormai documentata. La mo­tivazione è logica. La regione è da sem­pre un crogiolo di traffici illeciti, dalla contraffazione, al commercio di droga, armamenti ed esseri umani.
«La debole presenza statale e la legislazione alquanto lassista ne fanno l’habitat perfetto per lo sviluppo del mercato nero e di ogni ge­nere di gruppi criminali», aggiunge Umaña. La sola Ciudad del Est, centro nevralgico del­l’economia della “frontera”, produce 12 mi­liardi all’anno di transazioni in contanti. Il che pone la città al terzo posto nella classi­fica mondiale, dopo Hong Kong e Miami. A­gli scambi legali si sommano quelli illegali, pari ad almeno 6 miliardi, secondo le stime Usa. Di cui «tra i 300 e i 500 milioni finisco­no nelle tasche di Hezbollah», sottolinea l’e­sperto. Gli estremisti sciiti sono quelli mag­giormente radicati. Cellule dell’organizza­zione si sono stabilite qui fin dagli anni Ot­tanta, mimetizzandosi nel flusso di profu­ghi libanesi e palestinesi in fuga dal conflit­to a Beirut. Gli estremisti hanno proliferato all’ombra della comunità. Sfruttandone a­bilmente la rete per fare proseliti e racco­gliere finanziamenti. Sono le possibilità di business – illecito – a spingere le varie sigle islamiste oltreoceano. Sulla scia di Benladen. Lo sceicco, a metà degli anni Novanta, volò fino al cuore della “frontera” insieme a Kha­lid Sheikh Mohammed – la mente degli at­tacchi dell’11 settembre 2001 – in cerca di fondi per la centrale del terrore. Nonostan­te la sfilza di arresti del 1999, il progetto sem­bra avere messo radici. Meno di vent’anni dopo, il suo sogno criminale sembra esser­si avverato: la Triple Frontera è diventa­ta il principale serbatoio di denaro del jihadismo fuori dal Medio Oriente. Na­turale che gli Stati Uniti siano quanto­meno preoccupati. Questo spiega le continue sollecitazioni a Argentina, Brasile e Paraguay perché e­stirpino il jihadismo nei loro territori. Ap­pelli accolti in parte da Buenos Aires.
L’unica delle tre nazioni della Triple Fron­tera ad aver inserito nel codice penale il finanziamento diretto a gruppi terroristi. Come pure la discreta collaborazione dei servizi di intelligence con i vicini in mo­do da individuare eventuali sospetti. An­che il Brasile ha intensificato i controlli nella zona di Foc de Iguazu. Il gigante la­tinoamericano ha, inoltre, appena ap­provato un decreto che aumenta le pe­ne per chi ricicla denaro. Più problema­tica la vigilanza da parte del Paraguay, dati gli esigui mezzi a disposizione, la corruzione e la fragilità delle istituzioni. In ogni caso, almeno finora, le forze di sicurezza – locali e internazionali – non sono riuscite ad arginare la deriva. Anzi, il fermento nello scacchiere mediorien­tale e africano ha dato nuovo slancio ai gruppi jihadisti. «La situazione di certo non è migliorata», conclude Umaña. O­ra come non mai Washington, a malin­cuore, deve dargli ragione.