Luigi Mascheroni, il Giornale 28/12/2012, 28 dicembre 2012
Non si è capito bene se sia Elsa Fornero a dire addio alla politica, o se sia la politica ad aver detto addio alla Fornero, comunque va bene così
Non si è capito bene se sia Elsa Fornero a dire addio alla politica, o se sia la politica ad aver detto addio alla Fornero, comunque va bene così. Ieri il ministro del Welfare ha dichiarato di ritenere «chiusa» la propria esperienza politica. Ha annunciato che non si ricandida (anche se per i mai eletti come lei semmai sarebbe una semplice candidatura) e che si ritira definitivamente. Non come i suoi colleghi Riccardi, Barca e Passera, che alla politica si sono molto affezionati in questo complicato anno di governo tecnico. Insomma, la Fornero lascia. Una bella notizia. Mitigata dal fatto che però continuerà «a servire il Paese come professore universitario e quindi come dipendente pubblico». Qualcuno su Twitter ha domandato ai suoi follower: «La Fornero se ne va: da 1 a 10, quanto siete felici?». Le professoresse, di solito, meritano 10. Già passata alla storia, pur essendo cronaca, come il ministro più insopportabile e supponente della Seconda repubblica, e secondo alcuni financo della Prima, Elsa Fornero non è mai piaciuta. Né alla destra né alla sinistra: paradossalmente poco riformista per la prima, troppo per la seconda. Né agli uomini né alle donne: poco femminile per i primi, troppo frignona per le seconde. Dando prova di una antipatia straordinariamente bipartisan. Peraltro dimostrando che anche l’arroganza ha le sue quote rosa. «Fornero sparisci» hanno scritto in tantissimi sui social network dopo la conferenza stampa di fine anno e fine governo. E un po’ è un peccato. Perché la Fornero, che poco ama gli articoli femminili e le critiche maschiliste, è forse l’unico ministro ad aver realizzato, nel bene o nel male, una riforma, in questo esecutivo immobile. Il solo ad averci messo la faccia, in questo governo di maschere. Uno dei pochissimi ad aver rischiato, in questa compagine di indecisi. Una che ci ha provato. A differenza dei Riccardi, dei Barca, dei Passera, degli Ornaghi, che hanno fatto della inazione la propria azione di governo. Per il resto a mancare, dell’ormai ex ministro Fornero, non sarà tanto, o solo, la sua riforma («che ha molti aspetti positivi che non vengono riconosciuti», ha detto contestualmente all’annuncio del suo ritiro, e forse non ha tutti i torti), quanto i suoi comportamenti. Che, va riconosciuto, rimangono ampiamente criticabili. Politicamente coraggiosa, umanamente troppo snob. Dettasi ferita dalle accuse di durezza ricevute dalla stampa, che pure è stata la più filogovernativa della storia repubblicana, in realtà Fräulein Elsa ha offerto più di un pretesto per gli attacchi della piazza e della Rete: dalle ormai pittoresche lacrime del debutto ministeriale scese al pronunciar la parola «sacrifici», alla fuga insopportabile dall’inviato delle Iene che chiedeva lumi sulle irregolarità di un ente pubblico regno di lavoratori in nero. Dalla inopportuna lezione di giornalismo ai giornalisti («Parlerò lentamente perché ogni parola dovrò pensarla, naturalmente farò degli errori, e saranno gli errori a fare i titoli») all’inimmaginabile «Deve capire com’è difficile la vita di un ministro» detto a un malato di Sla. Dal giudizio sulle illusioni del posto fisso (dato da una la cui figlia insegna nella sua stessa università) alla dichiarazione ormai di culto sui giovani troppo choosy. Fino alla pessima uscita di scena, e dal Parlamento, pochi giorni fa, quando - dimostrando che non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire - si è tappata le orecchie per non ascoltare le critiche dei leghisti. Il doveroso richiamo di Gianfranco Fini è stato l’unico gesto della legislatura che ha ricompattato, il tempo di un applauso, l’intero arco costituzionale. Del quale la Fornero non farà più parte, purtroppo.