Raphaëlle Rérolle, Panorama 27/12/2012, 27 dicembre 2012
I VERI HOBBIT E IL SIGNORE DEGLI ANELLI VIVONO IN CASA MIA, QUELLI CHE VEDETE AL CINEMA SONO IMPOSTORI
È un caso raro, in un’epoca in cui molti venderebbero l’anima pur di fare parlare di sé. Invece per 40 anni Christopher Tolkien si è tenuto alla larga dai media: nessuna intervista, nessuna dichiarazione, nessun incontro. È una decisione che ha preso alla morte del padre, John Ronald Reuel Tolkien (1892-1973), autore britannico del Signore degli Anelli (tre volumi pubblicati nel 1954 e 1955), e uno degli autori più letti del mondo, con al suo attivo circa 150 milioni di copie vendute e traduzioni in 60 lingue.
L’87enne figlio del grande J.R.R. Tolkien è un distinto e pacato gentiluomo inglese con uno spiccato accento upper class che nel 1975 si è stabilito nel sud della Francia insieme alla moglie Baillie e ai due figli. Durante tutti questi anni ha dedicato la vita a lavorare alla parte non ancora pubblicata dell’opera del padre, del quale è l’esecutore letterario.
Il riserbo di Christopher Tolkien dipende dalla frattura che si è creata tra gli scritti del padre e i loro derivati commerciali: opere che non riconosce, soprattutto da quando il regista neozelandese Peter Jackson ha girato Il Signore degli Anelli, tre film che hanno ottenuto un grande successo. Nel corso degli anni, attorno all’opera di Tolkien si è sviluppato una sorta di universo parallelo ispirato ai suoi libri, ma spesso assai differente da loro. Oggi questa galassia commerciale vale molti miliardi di dollari, la maggior parte dei quali non va agli eredi di Tolkien, che sono invece focalizzati sul rispetto per le parole dello scrittore. Christopher Tolkien ha accettato di parlare di questa eredità, nella quale le opere più conosciute costituiscono solo un piccolissimo angolo dello sconfinato mondo di Tolkien.
Nel 1969 lo scrittore cedette i diritti cinematografici, insieme a quelli per i prodotti derivati, per L’Hobbit e Il Signore degli Anelli alla United Artists per 100 mila sterline, una somma considerevole a quell’epoca, ma trascurabile alla luce del valore attuale. Questa cifra doveva servire ai figli dello scrittore per pagare le future imposte di successione (all’epoca molto elevate). Temeva pure che eventuali modifiche alle leggi americane sul copyright (dove Il Signore degli Anelli aveva riscosso un successo stratosferico) potessero danneggiare i diritti dei suoi figli.
Tranne che a Oxford, dove le critiche dei colleghi ferirono profondamente lo scrittore, l’entusiasmo per l’opera di Tolkien fu generale. Osserva Vincent Ferré, docente presso l’Università di Paris XIII, che ha curato la pubblicazione del Dictionnaire Tolkien: «A partire dagli anni Sessanta, Il Signore degli Anelli è diventato un simbolo della controcultura, particolarmente negli Usa. La storia di un gruppo di persone che si ribellano all’oppressione, è servita da punto di riferimento per i militanti di sinistra, soprattutto a Berkeley, in California». All’epoca della guerra in Vietnam iniziarono a comparire slogan del tipo «Gandalf presidente» oppure «Frodo è vivo!». E durante la seconda guerra dell’Iraq furono stampati adesivi dove si leggeva: «Frodo ha fallito. È Bush che ha l’anello».
Ma, a parte L’Hobbit e Il Signore degli Anelli, mentre era in vita Tolkien pubblicò ben poco. Alla sua morte, nel 1973, una gigantesca parte del suo lavoro rimase inedita. In realtà L’Hobbit e Il Signore degli Anelli sono solo due episodi di una storia fantastica che si dipana nel corso di millenni. E Christopher Tolkien si è prefissato di portare alla luce questa mitologia frammentata, lavorando su quella che ha assunto la forma di un’impresa di disseppellimento letterario.
L’uomo che riceve il giornalista con una gentilezza disarmante è il terzo dei quattro figli di J.R.R. Tolkien e, insieme alla sorella Priscilla, l’ultimo superstite. Christopher è l’esecutore testamentario del padre e l’amministratore delegato della Tolkien Estate, società inglese che gestisce il patrimonio e distribuisce i diritti derivanti dal copyright agli eredi: Priscilla e Christopher, 6 nipoti e 11 pronipoti di J.R.R. Tolkien.
Tolkien era un brillante linguista, un esperto di inglese antico, un docente di Oxford e una persona dotata di straordinaria immaginazione. La sua grande passione erano le lingue e ne aveva inventate svariate; successivamente costruì un mondo che le ospitasse. Un mondo fatto di storia, geografia, usi e costumi; in poche parole, un intero universo che avrebbe fatto da sfondo per i suoi racconti.
Nel 1937, non appena venne pubblicato, L’Hobbit ottenne immediatamente un grande successo. Tolkien, tuttavia, non desiderava proseguire nello stesso filone. Aveva invece quasi terminato una narrazione delle epoche più antiche del suo universo, alla quale diede il titolo Il Silmarillion. Troppo difficile, decretò l’editore, che continuava a tormentarlo. Così lo scrittore, senza molto entusiasmo, accettò di scrivere una nuova storia. In realtà stava per posare il primo mattone di quello che sarebbe divenuto Il Signore degli Anelli. Però non si dimenticò del Silmarillion, e neppure suo figlio.
Durante gli ultimi anni della sua vita, Tolkien lo aveva ripreso in mano, cercando invano di mettere un po’ d’ordine nel racconto. La stesura del Signore degli Anelli, che prendeva a prestito alcuni elementi dalla mitologia precedente, aveva causato anacronismi e discrepanze nel Silmarillion. «Tolkien non era in grado di farlo» commenta Baillie, che per un certo periodo aveva lavorato come assistente dello scrittore. «Si impantanava in dettagli cronologici, riscriveva tutto, rendendolo sempre più complicato». Tra padre e figlio era sottinteso che, se lo scrittore fosse morto prima di avere terminato l’impresa, Christopher avrebbe raccolto il testimone.
Così, dopo la scomparsa del padre, Christopher prese in consegna anche le sue carte: 70 scatole di archivi, piene di migliaia di pagine inedite, in uno spaventoso disordine. «Aveva l’abitudine di spostarsi tra Oxford e Bournemouth, dove soggiornava di frequente» racconta Baillie Tolkien. «Quando partiva, infilava bracciate di fogli in una valigia che portava sempre con sé. Al suo arrivo, talvolta tirava fuori un foglio a caso e iniziava da quello». Inoltre, aveva una calligrafia illeggibile, che rendeva arduo decifrare i manoscritti.
Comunque in mezzo a questa baraonda era nascosto un tesoro: non soltanto Il Silmarillion, ma versioni complete di ogni sorta di leggende di cui L’Hobbit e Il Signore degli Anelli costituivano solo un assaggio. Fu allora che l’opera di Tolkien iniziò una seconda vita, e lo stesso accadde a Christopher. Si dimise dal suo incarico presso il New College di Oxford, dove era divenuto anch’egli docente di inglese antico, e si dedicò a curare l’opera del padre. Prima in Gran Bretagna e poi in Francia rimise insieme le varie parti de Il Silmarillion rendendolo più coerente, aggiunse qua e là qualche parte per riempire i vuoti e nel 1977 pubblicò il volume.
Nel frattempo, la maggior parte dei manoscritti che Christopher aveva portato in Francia, dovettero fare ritorno a Oxford. Su richiesta degli altri membri della famiglia, preoccupati da questa migrazione, gli scritti tornarono nel luogo da cui erano partiti, la Bodleian Library, dove sono attualmente conservati e in corso di digitalizzazione. Christopher dovette pertanto continuare il suo lavoro utilizzando le fotocopie, cosa che gli causò non poche difficoltà.
Per 18 anni lavorò senza sosta alla Storia della Terra di Mezzo, la gigantesca edizione in 12 volumi che traccia l’evoluzione del mondo di Tolkien. «Durante tutto quel periodo lo guardavo battere con tre dita su una vecchia macchina per scrivere che apparteneva al padre» racconta sua moglie. Nel 2007 pubblicò I figli di Húrin, un romanzo postumo in cui vennero ricomposte parti di brani che erano comparsi qua e là in altre opere. L’edizione inglese vendette 500 mila copie e finora è stata tradotta in 20 lingue.
Mentre questa nuova geografia letteraria prendeva vita, l’universo di Tolkien iniziò a proliferare, in modo indipendente, anche nel mondo esterno. La sua influenza si fece sentire in primo luogo nel fantasy, dove le sue creazioni avevano rivitalizzato un genere che risaliva al XIX secolo. A partire dagli anni Settanta e Ottanta si sviluppò un genere fantasy-eroico, impregnato di tolkienismo, con ambientazioni leggendarie, elfi e dragoni, magia e lotta contro i poteri del male. Prima negli Stati Uniti, poi in Europa e in Asia, questo genere si trasformò in un’industria colossale. Negli anni 2000 la «fan fiction» sbarcò su internet, dando modo a ogni appassionato di popolare a modo suo il mondo di Tolkien.
Il Signore degli Anelli si tramutò in una specie di entità autonoma che viveva di vita propria. Servì da ispirazione per George Lucas, autore della serie Guerre stellari, o anche per i Led Zeppelin, che inserirono riferimenti al libro in più di una loro canzone. Ma nulla di tutto ciò turbò la famiglia Tolkien fino ai film girati da Peter Jackson. Fu l’uscita del primo film della trilogia, nel 2001, che cambiò la natura delle cose. Prima di tutto ebbe un effetto prodigioso sulle vendite del libro. Nel giro di 3 anni, dal 2001 al 2003, Il Signore degli Anelli vendette 25 milioni di copie.
Ma la concezione del film minacciò di fagocitare l’opera letteraria. È la loro iconografia a ispirare la maggior parte dei videogame e degli articoli di merchandising. In breve tempo, con un effetto di contagio, il libro in sé divenne una fonte d’ispirazione secondaria rispetto al film per gli autori del genere fantasy e per i giochi ispirati alla pellicola.
Tutto ciò indusse i legali della famiglia Tolkien a riguardare meglio il contratto, il quale stabiliva che, se i film erano redditizi, la Tolkien Estate doveva ricevere una percentuale dei profitti. Considerati gli astronomici incassi dei botteghini, i legali della famiglia rispolverarono il contratto e chiesero alla New Line, il produttore americano dei film che aveva acquistato i diritti cinematografici per Il Signore degli Anelli e L’Hobbit, di avere la fetta di torta che spettava loro. Cathleen Blackburn, il legale della Tolkien Estate a Oxford, racconta: «Questi film, che avevano riscosso un’immensa popolarità, sembravano non avere ottenuto profitti. Ci venivano forniti rendiconti secondo i quali alla Tolkien Estate non spettava un centesimo». Così si rese necessaria una causa legale che portò a un accordo nel 2009: i produttori corrisposero il 7,5 per cento dei profitti alla Tolkien Estate. Per contro, la Tolkien Estate non ha alcun potere di intervento sul modo in cui la New Line sceglie di adattare i libri (per esempio, nel nuovo film L’Hobbit ci sono personaggi, soprattutto femminili, che Tolkien non ha mai narrato). E lo stesso vale per i prodotti di merchandising. La Tolkien Estate deve limitarsi a fare da spettatore, se non in casi estremi, per esempio impedendo l’uso del nome Il Signore degli Anelli nelle slot machine di Las Vegas.
«Potrei scrivere un libro sulle richieste demenziali che ho ricevuto» sospira Christopher Tolkien. Sta cercando di proteggere l’opera letteraria dal circo che si è sviluppato attorno a essa. «Di solito gli esecutori testamentari vogliono promuovere un’opera il più possibile» osserva Adam Tolkien, figlio di Christopher e Baillie. «Noi, invece, vogliamo richiamare l’attenzione su ciò che Il Signore degli Anelli non è».
Invitata a incontrare Peter Jackson, la famiglia Tolkien ha rifiutato. La ragione? «Hanno sventrato il libro facendone un film d’azione per ragazzi» afferma Christopher amareggiato. «E a quanto pare con L’Hobbit avverrà altrettanto ». Tutto questo è figlio della logica di Hollywood. «Tolkien è divenuto un mostro, divorato dalla sua stessa popolarità e assorbito dall’assurdità dei nostri tempi» osserva tristemente Christopher Tolkien. «Il baratro tra la bellezza e serietà della sua opera e ciò in cui si è trasformata mi ha lasciato sgomento. Per me esiste un’unica soluzione: voltare la testa e non guardare».