Zornitza Kratchmarova, Panorama 27/12/2012, 27 dicembre 2012
SENZA DI ME CHE VIAGGIO È?
[inervista a Steve Kaufer-numero uno di Tripadvisor]
Come dice? Manarola? Cinque terre? Davvero?». Steve Kaufer, 50 anni, cofondatore e numero uno di Tripadvisor, la più grande comunità virtuale di viaggiatori al mondo con oltre 75 milioni di recensioni su alberghi, ristoranti e attrazioni di ogni tipo, alza il sopracciglio destro: a quanto pare non sapeva che la gigantografia all’ingresso del suo quartier generale, a una ventina di chilometri da Boston, raffigurasse una delle perle della Riviera ligure. Siamo nel Technology park di Newton, cittadina di 85 mila persone che vanta un primato bizzarro: per la rivista Usa Money è al primo posto negli Stati Uniti per numero di «ricchi & single». Che sia colpa anche di Tripadvisor? Probabile. Perché questa macchina da soldi con 1.400 dipendenti a Newton ne ha 500, in gran parte under 30, arrivati direttamente dalla Harvard University e dal Mit, i due templi del sapere che distano uno dall’altro solo due fermate della metropolitana di Boston.
«Ce la caviamo» sorride Kaufer, e liquida con un secco «è puro business» il passaggio di circa un quinto delle quote della società (300 milioni di dollari) avvenuto poche settimane fa. Dopo 8 anni da primo azionista, Barry Diller, presidente del consiglio di amministrazione di Tripadvisor e membro tra l’altro dei cda del Washington Post e di Coca-Cola, ha venduto il suo pacchetto azionario a John Malone, capo di Liberty Interactive. E gli ha anche ceduto più della metà dei diritti di voto in consiglio.
Il titolo è schizzato alle stelle sfondando quota 40 dollari. È contento, Mr Kaufer?
Non sono fissato con l’andamento del titolo in borsa. Quello che mi interessa sono i conti. E quelli vanno a gonfie vele, con un giro d’affari 2011 di 637 milioni di dollari e utili pretasse pari al 36 per cento.
C’è chi pensa che si tratti di un’arma a doppio taglio e parla di rischio bolla per le aziende .com.
Io dico che fin quando mi metto in tasca 36 centesimi per ogni dollaro incassato (tasse escluse, ndr) va tutto bene. E lo stesso vale per chi come noi fa soldi veri. Non tutte le .com sono nelle stesse condizioni. Quelle che hanno valore non devono temere.
Proprio nessuna preoccupazione?
Se la gente smettesse di colpo di viaggiare, andare al ristorante o divertirsi, mi preoccuperei. Ma sta accadendo il contrario. Non c’è crisi che tenga, soprattutto nei paesi emergenti. In altre parole: abbiamo ancora parecchio lavoro da fare.
Cioè?
Siamo la prima piattaforma al mondo per i viaggi online, però la nostra quota di mercato globale non supera il 10 per cento. Nei miei piani possiamo raddoppiare, se non addirittura triplicare.
E sì che sono in molti a storcere il naso. La veridicità dei commenti non sempre convince…
Il rischio che qualcuno tenti di screditare un concorrente pubblicando giudizi negativi, o di contro provi a esaltare una struttura perché di sua proprietà, esiste. Ma l’impatto è assai limitato.
Come fa a esserne sicuro?
Abbiamo brevettato una serie di software capaci di captare i commenti sospetti segnalandoli alla centrale rischi, composta da un centinaio di persone sparse in tutto il mondo. Parlano le 21 lingue diffuse nei 30 paesi in cui siamo presenti e hanno il compito di verificare i messaggi a rischio. E le strutture ritenute responsabili di commenti fasulli sono segnalate come tali con un banner specifico.
Una sorta di «Lettera scarlatta»?
Più o meno. Ed è assai più efficace della cancellazione dei commenti sospetti.
C’è chi preferisce intervenire a monte obbligando gli utenti a pubblicare una propria foto (IgoUgo) o ancora inserendo il numero di uno scontrino del posto prima di recensirlo (Yelp).
Il nostro modello di business è diverso: giochiamo sui grandi numeri. E poi perché mai dovremmo impedire a un invitato a una cena pagata da altri di dire la sua opinione su un dato ristorante?
In giro tutti o quasi hanno un certificato d’eccellenza Tripadvisor. Non avete esagerato?
C’è una procedura standard: un minimo di recensioni annue tarate sulla posizione della singola struttura e un punteggio medio minimo di 4 su 5.
C’è una correlazione diretta fra i commenti sulle singole strutture e i loro ritorni economici?
Lo dicono alcuni studi indipendenti. L’ultimo è firmato dall’università inglese dell’Hertfordshire.
Come fate i soldi?
Con la pubblicità. Ma soprattutto con il «cost per click»: l’80 per cento circa delle entrate.
Come funziona esattamente?
Quando un utente accede da Tripadvisor al sito di una struttura nostra partner, incassiamo una commissione che oscilla tra i 15 centesimi e i 2 dollari, a seconda del contratto.
Indipendentemente dall’acquisto o meno di un pacchetto o di un servizio?
Proprio così: guadagniamo sempre. Anche quando dormiamo o siamo in vacanza.
Un anno fa è uscito dal perimetro Expedia a cui aveva venduto Tripadvisor nel 2004 per 200 milioni di dollari pur conservando la poltrona di ceo. Perché?
Anche per questioni di soldi. Perché fare guadagnare terzi? E poi l’idea era di evitare doppioni fra i nostri partner e quelli di Expedia. Adesso ognuno fa il suo.
A Tripadvisor fanno capo 19 siti correlati al mondo viaggi. Volete acquisirne altri?
Ho decine di dossier da vagliare: è molto probabile che nel 2013 ci possano essere novità. Cerchiamo realtà di nicchia profittevoli o start-up con business all’avanguardia.
Anche in Italia?
Certo, non c’è preclusione geografica. Se c’è qualcuno interessato, si faccia avanti.
Può fare a meno di Tripadvisor?
E perché dovrei? Qui mi diverto un sacco. E i ragazzi che lavorano con me a quanto pare non se la passano male. Ci sono le aree ricreazione, con giochi di ogni tipo, scacchi, calciobalilla, karaoke e così via. Facciamo colazioni, aperitivi, a volte feste.
Un modo per fare lavorare tutti non-stop?
Non direi. Qui si entra alle 9 e si esce alle 17, con un paio d’ore di flessibilità. C’è chi fa a gara per fare assumere i propri amici o conoscenti che ritiene validi perché si mette in tasca un bonus di 5 mila dollari.
Che cosa pensa della proposta del miliardario Warren Buffett: una soglia minima di tasse al 30 per cento per i più ricchi? Chi ha di più dia di più. Soprattutto in tempi di crisi. Negli Stati Uniti c’è la falsa percezione che se si paga di più al fisco si investe di meno nelle aziende. Sono due capitoli di spesa differenti. Ma fare passare questo concetto è molto difficile.