Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  dicembre 28 Venerdì calendario

EDITORE PIÙ DI PRIMA


Quando è stato annunciato l’accordo di fusione tra due giganti dell’editoria anglosassone, Random House e Penguin, alcuni giornali italiani hanno titolato: “I grandi editori Usa si alleano contro l’ebook”. Eppure gli ebook li fanno gli editori. Due scrittrici italiane negli ultimi mesi hanno criticato gli editori: una perché ebook di diverse case editrici non avevano le lettere accentate giuste. L’altra perché il proprio ebook era disponibile su alcune piattaforme ma non su altre dove erano disponibili altri ebook del suo editore. Eppure sono disfunzioni tecniche più probabilmente causate dalle piattaforme di distribuzione o dall’hardware, non dagli editori. Dato che nessuno titolerebbe “Le grandi imprese automobilistiche si alleano contro l’automobile” o imputerebbe a chi ha fabbricato la sua automobile se una strada è chiusa o se il meccanico non gliela ripara in tempo, credo ci sia molta confusione anche ad alti livelli.
Con altri editori sono andato a Bruxelles due volte quest’anno. Una volta a confermare al direttore della digital information society, che deve disegnare le policy del futuro su questi temi, che sì, gli editori sono interessati alla diffusione delle opere sulle quali investono, perché qualcuno le aveva messo dei dubbi. Un’altra volta con Donato Carrisi, uno scrittore che pubblica con Longanesi e che fa parte del gruppo Gems di cui sono presidente, e che doveva testimoniare che sì, campa di diritto d’autore, perché anche questo è un dato di fatto continuamente messo in dubbio. Tutti questi lapsus meritano una psicanalisi del sapere che si genera di solito sul Web. In parte sono dovuti a un po’ di quella leggerezza che gira in Rete, ambito di libertà ma anche di dubbia fonte a volte. In parte agli “Over the Top”, cioè alle grandi multinazionali di Internet che hanno assunto un ruolo particolare in questo decennio e che hanno un interesse fortemente egocentrico. Da una parte predicano per omogeneizzare l’Europa perché sia un mercato culturalmente uniforme come gli Usa, dall’altra sono ben contente delle asimmetrie fiscali tra un Paese e l’altro: i loro avvocati si insinuano nella contraddizioni per pagare tasse irrisorie. Acquisiscono così un vantaggio competitivo rispetto alle imprese nazionali. Da un lato accumulano grandi ricchezze e quotazioni in Borsa mentre dall’altro predicano come profeti quale deve essere il futuro dell’umanità. Per affermare nuovi ecosistemi di distribuzione del sapere che hanno l’ambizione di dominare il mondo manco fossimo in un film di James Bond ne hanno dette di tutti i colori sull’editoria libraria negli anni e sul suo futuro.
Il bersaglio più facile in questa guerra sono infatti gli editori. Sono imprese, dunque hanno interessi economici collettivi (ma se non li curassero, addio indipendenza e dunque anche rigore e qualità per i lettori). Per di più sono imprese che prima di pubblicare un libro ne devono scartare mille, il che non crea grandi amicizie (ma se non lo facessero, i lettori avrebbero di che essere scontenti). Di un libro devono far pagare, oltre al costo del manufatto, il costo della parte intangibile, cioè la ricerca e i diritti d’autore, la grafica, l’assistenza legale, l’editing e così via fino al marketing (ma sono cose che non si vedono e non si toccano e che il consumatore non paga volentieri).
E così ci siamo beccati lezioncine di modernità da chi come Google riteneva di fare l’interesse dell’umanità piratando tutti i libri disponibili nelle biblioteche del mondo, quando avviò il programma Google Print pensando che la sua visione dovesse necessariamente prevalere sulle leggi, il che avrebbe ucciso l’intero ecosistema che i libri li crea. Per fortuna è stato citato dal sindacato degli autori americano e fermato dal tribunale di New York. Poi raffica di insulti dal padrone di Amazon, una piattaforma multimiliardaria di e-commerce che da sempre lamenta che i libri sono cari e gli editori quasi inutili.
Chissà perché se la sa così lunga in quindici anni non ha trovato da solo un bestseller degno di questo nome ma nemmeno, se per questo e che si sappia, un capolavoro. Poi gli editori italiani si sono sentiti dare dei superati e dei retrogradi da start up dilettantesche perché non sono partiti appena la tecnologia era disponibile ma solo quando hanno potuto avere legittimamente i diritti dagli agenti letterari e quando dall’altra parte c’erano sufficienti lettori muniti di tablet e reader. Quando sono partiti hanno rapidamente conquistato le loro quote in questo nuovo mercato, perché hanno le opere che interessano ai lettori perché su queste hanno rischiato finanziariamente e mettendoci la faccia.
E torniamo alla questione del futuro, dell’anno zero dell’editoria. Partendo però dall’oggi. Gli editori sono stati per dati per moribondi da dilettanti allo sbaraglio perché con il self publishing finalmente sarebbero venute alla luce chissà quali perle che non si sa per quale ragione venivano tenute nascoste all’umanità. In effetti grazie al self publishing e al clamore suscitato in Rete ci sono stati dei nuovi bestseller e gli editori sono stati comunque i primi a contenderseli e portarli al pieno successo. Ma in genere sono bestseller piuttosto semplici, un grande assegno per l’autore un piccolo passo per l’umanità. Il letterario è venuto semmai dalla Rete per altre vie. Bene: ora l’ebook è arrivato, ha conquistato l’1 per cento del mercato italiano e se tutti i libri fossero ebook e tutti gli italiani avessero le carte di credito e usassero i tablet probabilmente l’ebook sarebbe al 20 per cento, come negli Usa. All’interno di questo neonato mercato si ripetono più o meno le quote del mercato cartaceo perché per fortuna non sono tanto le tecnologie e il marketing per ora a comandare, ma i gusti di lettura degli acquirenti di ebook. È un mercato che crescerà e dobbiamo dire grazie anche a quelle “Over the Top” che credendoci hanno costruito uno sbocco in più per i libri che possono essere oggi letti anche sui tablet e sugli smart phone. Però, attenzione, stiamo parlando di un canale minoritario in tutto il mondo conosciuto. Ciò di cui bisognerebbe preoccuparsi oggi è il ben più importante mercato del libro che soffre come tutti o quasi i mercati nazionali a causa della crisi dei consumi. Quando usciremo dal tunnel alcuni editori e alcune librerie non ci saranno più. E il paesaggio che troveremo sarà molto diverso. Il libro sarà una delle cose di cui l’editore si occupa, sarà solo uno dei canali attraverso i quali l’editore propaga il suo messaggio e probabilmente sarà ancora il principale. Saranno ancora gli editori a pubblicare i libri che ai lettori piace leggere. Ma tra gli editori e i lettori saranno sorte nuove entità.
Una strada prima libera avrà nelle piattaforme di e-commerce e nei tablet legati a un singolo negozio dei casellanti che chiederanno un dazio che già oggi pesa molto nel conto economico del libro. Sarebbe bello se nel frattempo a queste piattaforme si imponessero norme di trasparenza e responsabilità come quelle alle quali sono soggette le imprese di comuni mortali, che pagano le tasse laddove sviluppano crescita e fatturato, che condividono i loro dati aggregati al fine di misurare il mercato, che in un regime concorrenziale non tengono in ostaggio singoli consumatori prigionieri di una tecnologia proprietaria, ma godono di uno sconto proporzionato agli oneri, non decidono cosa esiste e cosa no ma consentono ai loro clienti di ordinare qualsiasi libro.
C’è solo da augurarsi che i governanti, soprattutto l’Europa per quel che ci riguarda, sappiano individuare rapidamente quelle norme che consentano una difesa del pluralismo, del mercato e del copyright per garantire agli editori di libri quel contesto fertile e meritocratico che risponde alle esigenze dei lettori e degli autori e non ad altri fini. Perché tra la politica, la tecnologia e l’economia deve persistere uno spazio civile di legittime attese che prescindono dagli schieramenti politici e dalla ricerca del profitto e ha a che fare con il progresso dell’umanità, meditato e non cieco, al quale pure l’editoria vuole dare il suo contributo.


Stefano Mauri è presidente del Gruppo editoriale Gems Mauri - Spagnol