Federico Rampini, la Repubblica 28/12/2012, 28 dicembre 2012
L’AMERICA TREMA SULL’ORLO DEL BURRONE FISCALE
MENTRE gli Usa tremano sull’orlo del burrone fiscale dal mattone arrivano i primi segnali di ripresa: per la prima volta i prezzi delle case sono cresciuti.
FU LA madre di tutte le crisi, all’origine di un disastro sistemico. Ora è il motore di una ripresa vera, che ispira fiducia anche agli esperti più prudenti. I prezzi delle case in America chiudono il 2012 con il primo rialzo annuo dal 2006. Dopo diverse “false partenze”, questo è il primo periodo di crescita prolungata. L’indice delle 20 maggiori città americane segna un rincaro del 6,9% da gennaio. Il valore complessivo delle compravendite immobiliari è cresciuto del 14,5% in un anno. È importante che questa ripresa non sia “drogata” quanto il boom che generò l’ultima bolla speculativa: è vero che il costo del denaro è ai minimi storici con mutui sotto il 3%, tuttavia le riforme della finanza varate sotto l’Amministrazione Obama impongono alle banche criteri più severi nell’erogazione del credito immobiliare.
La casa è un pilastro dell’economia americana, nel bene e nel male. Nelle punte di euforia del 2006 arrivò a pesare il 6% di Pil dell’economia più ricca del pianeta. Fu a partire da lì che il mattone Usa si avvitò in una spirale rovinosa, trascinando con sé tutto il resto. Dopo una folle corsa al rialzo partita all’alba di questo millennio, alimentata da comportamenti speculativi di investitori grandi e piccoli, con i banchieri coinvolti in responsabilità gravi, la fine fu brutale: la caduta dei prezzi cominciò sei anni fa, poi nel 2007 contagiò l’intera economia reale e fu recessione negli Stati Uniti; infine nel 2008 le perdite nei titoli derivati dai mutui subprime portarono l’intera finanza globale al collasso. E la crisi divenne mondiale. Ma mentre la recessione americana in senso tecnico durò “solo” due anni, per il mercato immobiliare i dolori furono
più prolungati. Dopo diversi segnali ingannevoli, mini-riprese abortite, nel 2011 una ricaduta portò i prezzi del mattone “in rosso” del 32% rispetto ai massimi del 2006. Nelle zone degli Stati Uniti dove la febbre speculativa era stata più esasperata, con boom di nuove costruzioni molto superiori alla domanda, come la Florida e il Nevada, i crolli arrivarono a sottrarre il 50% dai prezzi massimi. E finché durava questo smaltimento degli eccessi, una crescita solida sembrava irraggiungibile per l’insieme dell’economia americana. Giocavano tanti fattori, compreso un senso di calamità-espiazione dagli aspetti biblici, una sofferenza necessaria dopo gli anni delle vacche grasse. Più prosaicamente, la casa ha un ruolo nodale per tanti altri settori: quando va bene fa da traino a un vasto indotto che include mobili, elettrodomestici, eserciti di piccoli artigiani. Per le famiglie è inoltre la principale cassaforte del risparmio: se i valori salgono, infondono fiducia e si consuma di più; il contrario avviene se gli americani si sentono impoveriti perché la quotazione del loro bene si svaluta di anno in anno. Le perversioni finanziarie che alimentarono la bolla d’inizio millennio hanno avuto un epilogo lungo: il mercato ha dovuto assorbire milioni di case messe in vendita forzosa nelle aste giudiziarie, a prezzi stracciati, dopo i pignoramenti di debitori insolventi.
Ora siamo alla vera svolta? A dare fiducia contribuisce il fatto che nel coro positivo figurino Robert Shiller, il massimo esperto di economia del mattone, e Nouriel Roubini. Questi due furono tra i pochissimi economisti che seppero prevedere il crac sistemico del 2006-2007. Oggi Shiller osserva che «dopo molti mesi di rialzi dei prezzi, si sta generando un ottimismo diffuso e la sensazione che sia giunto il momento di comprare ». È quella che Shiller definisce una “onda sociale”. In quanto a Roubini, prevede un rialzo dal 10% al 15% degli investimenti in edilizia residenziale, e mette proprio questo fattore al primo posto tra le ragioni che lo rendono cautamente ottimista sulla ripresa americana.
I timori di una nuova bolla per ora sono circoscritti a micro-segmenti, situazioni estreme: come il mercato degli immobili di lusso di Manhattan, dove si attende che un appartamento sfondi la soglia simbolica dei 100 milioni. A quota 88 milioni è arrivato un appartamento al 15 Central Park West, poi surclassato a quota 98 da un superattico al One della 57esima Strada; ma un grattacielo in costruzione tra Park Avenue e 56esima
punta a polverizzare i record. Questi sono eccessi a cui contribuiscono gli investitori stranieri, cinesi russi o brasiliani. Più interessante è il comportamento degli investitori professionali. I colossi del private equity come Blackstone e Colony Capital Group stanno comprando “all’ingrosso”, e puntano sulle case per il ceto medio. Blackstone ha investito un miliardo per comprare 6.500 abitazioni monofamiliari alle aste giudiziarie; Colony ne ha comprate 4.000. Nella mischia si distingue un nuovo attore, David Miller che era funzionario del Tesoro incaricato dei salvataggi bancari fino a due anni fa. Conclusa la sua missione nel servizio pubblico, Miller ha creato la sua società d’investimento e si occupa solo di questo: comprare immobili. Convinto, con l’esperienza di chi “ha visto l’abisso da vicino”, che siamo davvero alla vigilia di tempi migliori.