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 2012  dicembre 28 Venerdì calendario

“IL MIO PROGETTO È MORALIZZARE SENZA ANTIPOLITICA”

[La lunga riflessione: non basta il ruolo da esperto L’incontro con Bersani al brindisi al Quirinale] –
Non è un fulmine a ciel sereno. La decisione di Pietro Grasso di candidarsi alle elezioni è la conseguenza di una riflessione lunga e ponderata, il risultato di una serie di tentativi, andati a vuoto, di accostarsi alla politica cercando di mantenere la distanza del tecnico. La carriera di Pietro Grasso, la sua storia umana e professionale raccontano l’impegno di un magistrato, di un uomo che da tempo coltiva l’utopia della «buona politica» senza cedimenti alle tentazioni populiste o alle rivolte estemporanee.

Chi ha avuto modo di raccogliere i suoi discorsi pubblici, nelle scuole, nelle assemblee giovanili gli ha spesso sentito affermare: «Io un progetto ce l’ho e penso di poter tentare la strada della moralizzazione della cosa pubblica, senza arrendersi all’antipolitica». In più d’una occasione ha provato a «lavorare» dall’esterno offrendo la sua esperienza e tutte le conoscenze del tecnico che sta sulla breccia da 40 anni. «Mi rendo conto, però, - ha sempre detto - che non ce la si può fare dall’esterno. Non basta il ruolo dell’esperto, bisognerebbe trovare un gruppo, uno spazio politico capace di accogliere le istanze di legalità, che ormai arrivano da più parti, e trasformarle in realtà». Ed è ormai proverbiale l’ironia con cui Grasso ha raccontato pubblicamente questa sorta di battaglia contro i mulini a vento, come il famoso «codice etico», sottoscritto dai partiti quando il magistrato era consulente della Commissione Antimafia di Gerardo Chiaromonte, e mai rispettato o messo in atto.

«Non capisco per quale motivo - questa una delle sue ultime riflessioni ad alta voce - un magistrato come me non debba poter mettere a disposizione del Paese l’esperienza accumulata in tanti anni di professione, il grande patrimonio di conoscenza giuridica acquisito nei frequenti scambi all’estero. È vero: avevo detto che mi sarebbe piaciuto candidarmi con una lista civica nazionale, ma questa non arriva. Siamo nel pieno di una confusione inestricabile che impedisce addirittura di conoscere ancora una parte delle candidature a premier, per questo - penso - un gesto di chiarezza non potrebbe che far bene». E alla fine l’occasione gli è stata offerta dal segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, che sembra avergli assicurato tutto l’appoggio necessario sulle parole d’ordine di «moralità e legalità».

La «scintilla» fra Grasso e il Pd sarebbe nata durante il brindisi al Quirinale del 17 dicembre, nel corso del saluto del Capo dello Stato alle Alte Cariche della Repubblica. L’iniziativa sarebbe stata presa da Bersani: «Perché non ci dà una mano a mettere in piedi qualcosa di serio sulla lotta alla mafia e alla corruzione»? L’appuntamento successivo è stato fissato per il 22 al Nazareno. In quella occasione si sarebbero sciolte le ultime riserve, anche sulla scorta della convinzione di Grasso di essere giunto alla conclusione naturale della sua esperienza di magistrato e, dunque, di potersi mettere a disposizione del proprio Paese in un «partito democratico», che gli assicura «la più ampia libertà».

E così il 24 dicembre il Procuratore ha presentato le «dimissioni irrevocabili» dalla magistratura, che - per divenire operative - dovranno passare al vaglio del Capo dello Stato e «vidimate» da un decreto. Anche quest’ultima scelta, le dimissioni invece dell’aspettativa (Grasso poteva rimanere in magistratura fino al 2020), rappresenta certamente un gesto di coerenza con un modo di intendere le «regole». In passato non ha condiviso l’ambiguità dei giudici che rimanevano a metà, tra la magistratura e la politica. In più d’una occasione ha dichiarato apertamente la propria avversione per il ritorno nei ruoli dei magistrati reduci dall’esperienza parlamentare.

D’altra parte tutta la vita professionale e privata di Grasso è stata caratterizzata da questa estrema attenzione istituzionale, tanto da avergli procurato critiche e accuse di «dipendenza dal potere». Accuse non sempre motivate, come nel caso della scelta di rinviare a giudizio il governatore della Sicilia, Totò Cuffaro, per il reato di favoreggiamento aggravato, anziché per concorso esterno. Fu scatenata una campagna mediatica, allusiva sulla «tiepidezza» di Grasso, ma, alla resa dei conti, ha avuto ragione lui, visto che il processo ha retto in Cassazione, a differenza di altri che hanno visto naufragare l’azzardo del concorso esterno. E’ la forza del «metodo Falcone». D’altra parte è Falcone il faro che ha guidato Grasso in questi lunghi anni: dal ruolo svolto nel maxi processo alla mafia, dove si addossò l’ingrato compito di «regista sotto traccia» di quell’immensa fatica, fino ai tempi più recenti, alla «scoperta» del pentito Spatuzza che ha fatto luce sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio e sulla conseguenze impresentabile «trattativa» tra Stato e mafia. Non v’è occasione in cui Grasso non ricordi il suo amico Falcone. Una volta gli è stato chiesto se «Giovanni condividerebbe la scelta di entrare in politica». La risposta di Grasso fu: «In una situazione di precarietà e di crisi, come quella attuale, penso proprio di sì».