Federico Fubini, Sette 28/12/2012, 28 dicembre 2012
UN ANNO IN TRINCEA MA LA “DISTRUZIONE CREATRICE” CI SALVER
[Il binomio creato dall’economista Schumpeter si adatta perfettamente agli italiani. Perché spesso nelle difficoltà poniamo le basi di una riscossa] –
Se visitate la Connexxa, un’azienda di software alla periferia di Catanzaro, improvvisamente apparirà davanti a voi una cabina del telefono. Uno di quei parallelepipedi di cristallo che si vedevano nelle città italiane fino a qualche anno fa. Ce l’ha voluta il fondatore di Connexxa, un trentacinquenne di nome Diego Fasano, perché quella cabina vuol dire molto per lui: era il suo ufficio negli Anni 90, quando era uno studente. Fasano scendeva in strada e ci si chiudeva dentro, scorreva l’elenco del telefono della provincia e cercava di vendere alle imprese locali i primi siti web. Furono decine di «no», «non ci serve», oppure «Internet passerà di moda» o «sono a posto: ho già il fax». Fino al primo «provaci».
Da allora Connexxa è passata da uno a cinquanta addetti, la sua sede principale è Milano, non fa più siti web ma il suo software di diagnostica medica per le piattaforme Apple e si vende dalla Francia al Qatar. Se tutta l’Italia fosse così, non sarebbe il Paese che conosciamo. Certo una parte dell’economia nazionale è composta di uomini e donne come Fasano, ed è quella che fa sperare nel 2013: c’è la neo-moglie trentenne di Udine che viaggia da Luanda in Angola al Pernambuco in Brasile per vendere le proprie macchine di confezionamento del cibo fresco; il calzaturificio marchigiano che confeziona scarpe su misura a George Clooney e molti altri multimilionari ogni anno; l’azienda di Firenze che vende in Giappone riproduzioni della Primavera del Botticelli per touchscreen. Gli esempi eccellenti esistono. Il problema è capire se questa miriade di piccole e medie imprese, che dal 2009 hanno fatto crescere l’export italiano del 21%, basteranno a trascinare fuori dalle sabbie mobili il resto dell’economia.
Per fermare la deriva. Nel 2012 non ci sono riuscite: mentre il “made in Italy” cresceva, il Pil è caduto di quasi il 2,5%. A maggior ragione nell’anno che sta per iniziare il loro ruolo sarà determinante, se il Paese vuole fermare la deriva. Il governo ufficialmente prevede che l’anno prossimo l’emorragia del prodotto interno lordo si arresterà, con un declino di appena lo 0,2% e una ripresa che dovrebbe tornare dall’estate in poi. Non è del tutto escluso. I segni di accelerazione negli Stati Uniti e in Cina dovrebbero trasmettere i loro fermenti anche in Europa. In più, a Bruxelles si sta facendo largo una concezione meno restrittiva dei vincoli di bilancio: anche se i conti dell’Italia a metà 2013 apparissero un po’ fuori rotta (probabile), non è detto che al governo arriverà la richiesta di inoculare un’altra dose di austerità. Il problema è che questi motivi di relativo ottimismo sono affiancati da altrettanti segnali avversi. Nelle previsioni dello staff che non rende pubbliche, la Banca centrale europea stima che la contrazione dell’economia italiana nel 2013 sarà di circa l’1%; l’Ocse, il club delle democrazie avanzate, ha la stessa valutazione, mentre la banca d’affari Morgan Stanley pensa che l’ipotesi più probabile sia una caduta di 1,2%. Il messaggio è che il Paese ha ancora della pulizia da fare nei suoi ingranaggi, prima di tornare a funzionare. L’accesso al credito bancario resterà difficile, certe imprese chiuderanno, molti lavoratori perderanno il posto e il debito pubblico salirà.
Sarà un altro anno di trincea, inutile farsi illusioni. Ma non tutti gli anni in trincea sono uguali, perché a volte è proprio nelle situazioni difficili che una riscossa può partire su basi più solide e più creative. E non c’entra solo il fatto che il 2013 può essere l’anno in cui la crisi dell’euro si stabilizza. Anche le molecole del tessuto italiano danno segni di vitalità in un ambiente di risorse scarse. Manca il credito bancario? Il sito eppela.com si occupa (con successo) di raccogliere finanziatori diretti per molti piccoli progetti imprenditoriali nella moda, nel turismo o nelle tecnologie. I soldi pubblici per la cultura non ci sono più? Il Minimo Teatro di Macerata invita gli spettatori a “comprare” miniquote da 10 euro degli spettacoli e spartirsi eventuali utili.
Joseph Schumpeter, l’economista austriaco, la chiamava “distruzione creatrice”. Il 2013 dimostrerà che noi italiani siamo imbattibili su entrambe le parole della sua filosofia.
© riproduzione riservata
il Made in Italy che funziona
L’export riprende con macchinari e apparecchi
L’anno che sta per iniziare dovrebbe portare un rafforzamento di almeno una tendenza favorevole per l’economia italiana: l’aumento delle esportazioni fuori dalla UE. Il 2012 è stato l’anno del “sorpasso commerciale” perché per la prima volta da molto tempo le esportazioni hanno superato le importazioni. Ciò ovviamente è (anche) dovuto al forte calo dei consumi, che ha ridotto gli acquisti di beni esteri, ma l’aumento dell’export c’è e si fa sentire. Il fenomeno rappresenta una novità interessante in primo luogo per le aree del mondo nelle quali il made in Italy penetra meglio: nei Paesi dell’Opec (essenzialmente il Golfo) la progressione è stata del 39%, in Giappone del 31%, mentre nell’Asia del Sud Est è stata del 30%. A sorpresa, invece, si è registrata una flessione delle vendite in Cina. Nel nuovo anno anche la Repubblica popolare dovrebbe ricominciare a tirare. E proprio la ripresa del manifatturiero in Asia e negli Stati Uniti può essere utile all’Italia: di gran lunga, la categoria che trascina l’export del Paese è fatta da macchinari ed apparecchi.
FINANZE PUBBLICHE
La sfida, non solo per l’Italia, sarà ridurre il debito
Le finanze pubbliche dell’Italia sono una delle fonti di maggiore preoccupazione in Europa da prima dell’avvio della moneta unica nel ’99. Si ricorda un po’ meno spesso però che quella dello Stato, in Italia, è l’unica forma di debito che non è (quasi) aumentata nell’ultima dozzina d’anni. L’Italia è entrata nell’euro con il debito al 120% del Pil e oggi è al 126%.
Si tratta di un livello sicuramente elevato, ma l’aumento in percentuale del debito pubblico è molto minore di quello del settore privato. Fra il 1998 e l’inizio del 2012 il debito delle famiglie è salito dal 24% al 50% circa del Pil, quello delle imprese da circa il 50% all’85% e quello delle istituzioni finanziarie da 30% a circa il 110% del Pil. In sostanza, nei primi dodici anni dell’euro il debito pubblico è rimasto più o meno dov’era (prima scendendo, poi risalendo) mentre quello privato è salito di oltre il 100% del Pil. Molti altri Paesi hanno fatto peggio dell’Italia, in questo campo. E i mercati finanziari oggi possono sostenere debiti privati più alti.
Ma ridurli sarà una delle sfide del 2013.
Enti locali e trasparenza
I nodi verranno al pettine per Comuni, Province e Regioni
Per gli enti locali il 2013 potrebbe essere l’anno della trasparenza, o almeno c’è chi lo spera. Comuni, Province e Regioni presentano quattro settori nei quali molti osservatori (anche sui mercati) si aspettano che l’anno in arrivo porti chiarezza. Il primo riguarda i cosiddetti “residui attivi” iscritti a bilancio, multe o altri pagamenti che ogni ente locale sostiene di dover ancora incassare, quando invece è già tanto se riuscirà a ottenere il 50% della cifra che dichiara. Un secondo fronte aperto per gli enti locali nel 2013 è quello delle società di servizi partecipate: troppo spesso (e non solo al Sud) sono diventate carrozzoni per assunzioni clientelari, distribuzione di favori a imprenditori amici e l’accumulazione di debito fuori dai bilanci pubblici. C’è poi la questione – terzo fronte aperto – dei derivati contratti dalle giunte con le banche d’affari, che troppo spesso si saldano con i profitti di queste ultime e perdite da parte degli enti. Per finire la questione ritardi dei pagamenti anche a mille giorni, con 800 giorni la norma in molte aree del Sud: in sostanza si tratta di prestiti forzosi. Tutti nodi che il 2013, inevitabilmente, inizierà a sciogliere.