Danilo Taino, Sette 28/12/2012, 28 dicembre 2012
UOMO DELL’ANNO È MARIO DRAGHI L’ITALIANO ALLA BCE CHE HA SALVATO L’EURO E PROTETTO LA DEBOLE EUROPA DALL’INCUBO SPREAD
UOMO DELL’ANNO È MARIO DRAGHI L’ITALIANO ALLA BCE CHE HA SALVATO L’EURO E PROTETTO LA DEBOLE EUROPA DALL’INCUBO SPREAD –
Volete essere Mario Draghi? Potete. Sul sito della Banca centrale europea (Bce) e nell’App Store trovate un videogioco, €conomia, che vi permette di sedere sulla sua poltrona e di decidere la politica monetaria dell’area euro. Il vostro obiettivo è di mantenere l’inflazione poco sotto il due per cento e il più stabile possibile su un arco di otto anni? Per farlo dovete controllare tassi d’interesse, massa monetaria in circolazione, disoccupazione, crescita del Prodotto interno lordo. Nell’operazione siete aiutati da un comitato di consiglieri, composto da un giocatore d’azzardo, un professore stralunato, una banchiera saputella e acida, un’anziana signora con la cuffia di lana, un giornalista vanitoso, una ragazza narcolettica, un figlio dei fiori, un vostro fan: coloro che nella vita vera, in effetti, hanno sempre qualcosa da dire a Draghi e ai quali il presidente della Bce deve, e dovrà sempre di più, rispondere.
Perché una delle grandi novità del 2012 è che sì i banchieri centrali sono funzionari non eletti ma, ciò nonostante, sono diventati in tutto il mondo le persone più potenti in fatto di economia. E di politica. Più dei ministri delle Finanze e della gran parte dei capi di governo. Non solo. Fino a poco tempo fa, se ne stavano nei loro santuari di denaro e di modelli matematici. Oggi sono sul palco del mondo, ogni giorno. E in questo drappello di quasi rock-star, Draghi è colui che, a fine luglio, ha bloccato la crisi del debito in Europa e messo in chiaro il potere delle banche centrali. Con tre parole. «Whatever it takes», qualsiasi cosa sia necessaria.
Quel giorno Draghi giurava a mercati, cittadini, politici che l’euro non si sarebbe spezzato, che egli avrebbe fatto le cose giuste e necessarie per impedirlo. «E vi assicuro che sarà sufficiente», aggiunse. Un po’ garanzia, un po’ minaccia. Fatto sta che da quel momento il rischio di catastrofe finanziaria è diminuito e la temperatura sui mercati è scesa. Detto in altri termini, ha evitato che il 2012 passasse alla storia come un anno peggiore del 1929 e che il 2013 finisse nei libri come il primo anno della più devastante depressione mondiale mai avvenuta.
Per questo, il conclave dei giornalisti di Sette ha deciso di nominarlo Uomo dell’Anno. Mario Draghi ha bloccato una crisi rovinosa e, nel farlo, ha messo in evidenza il nuovo ruolo dei banchieri centrali, diventato decisivo e fortemente pubblico in seguito alla Grande Crisi del 2008.
Per mesi e mesi i governi dell’Eurozona – anche la potente Angela Merkel – hanno detto che avrebbero fatto qualsiasi cosa per salvare l’euro. Con pochi risultati. Quando l’ha detto Draghi, tutti hanno preso nota. È questa differenza che ne ha fatto la personalità centrale del 2012. Non una posizione comoda: da lì si prendono grandi decisioni, e quindi si può sbagliare molto; e lì arrivano fischi e critiche.
Draghi, 65 anni, ha una enorme esperienza di finanza e di mercati, e anche di politica. È un tecnico, ma l’arte del comando gli viene naturale. È freddo e determinato nelle decisioni. Tiene lo sguardo puntato sull’obiettivo. Non è però Mefistofele. L’immagine del rappresentante del diavolo l’ha evocata in settembre Jens Weidmann, il governatore della Bundesbank, la Banca centrale tedesca.
Weidmann – unico tra i governatori dell’Eurozona e tra i membri del Consiglio della Bce – si è opposto all’operazione annunciata da Draghi in luglio con le famose tre parole e dettagliata dopo le vacanze nelle cosiddette Outright Monetary Transactions (Omt), cioè l’intenzione della Bce di acquistare sul mercato titoli di Stato di Paesi in difficoltà in misura illimitata, allo scopo di ridurre le tensioni sull’euro ed evitare una sua rottura. Secondo il capo dell’influente Bundesbank, effettuare operazioni del genere equivale a stampare denaro – operazione che le banche centrali possono in teoria fare a loro piacimento –, cosa che a suo avviso farebbe esplodere l’inflazione e distruggerebbe la moneta.
Nel Faust di Goethe, dove ogni tedesco può trovare le radici della propria cultura, Mefistofele convince l’imperatore del Sacro Romano Impero, pesantemente indebitato, a stampare denaro per risolvere una crisi economica. All’inizio tutto funziona. Poi, l’inflazione vola e arriva il disastro. Weidmann non ha accusato direttamente Draghi di patto faustiano, ma la trasparenza del riferimento è stata evidente. Questo per dire quale sia la montagna che ha dovuto e deve scalare Draghi: l’opposizione di parte consistente della Germania e della banca che ne interpreta da 65 anni l’anima avida di stabilità.
“Tedesco d’adozione”. In realtà, ogni volta che ha parlato a imprenditori, banchieri e politici tedeschi, Draghi ha solo raccolto applausi. Davanti a platee berlinesi, come nelle conferenze stampa mensili della Bce, come nelle riunioni del suo staff, è convincente nelle sicurezze da governatore centrale, chiaro, essenziale. E questo da tempo gli ha permesso di fare breccia nei sospetti che in Germania corrono veloci quando si coniugano italiani e inflazione, un fenomeno che il quotidiano popolare Bild ha definito connaturato alla Penisola tanto quanto «la pasta al pomodoro». Draghi ha incontrato più volte la cancelliera Merkel ed è arrivato a tenere un discorso ai parlamentari del Bundestag proprio per spiegare il senso dell’Omt. E a un certo punto la stessa Bild l’ha addirittura nominato tedesco d’adozione, con in testa il Pickelhaube, l’elmo chiodato prussiano.
Fino a quando, tra agosto e settembre, non ha incontrato l’opposizione di Weidmann e della Bundesbank – l’istituzione probabilmente più rispettata in Germania. A quel punto, alcuni tedeschi – nelle piccole imprese, nell’accademia – lo hanno visto come un agente del tradimento perpetrato da gran parte dell’Europa nei confronti della Germania, alla quale, quando si fece l’euro, fu promesso che la moneta unica sarebbe stata stabile almeno quanto il Deutsche Mark e che la Bce sarebbe stata una fotocopia della Bundesbank.
Mossa diplomatica. È stato a in quella circostanza che Draghi ha realizzato una magia diplomatica. Lo scontro con la Bundesbank, in passato la spina dorsale del sistema delle banche centrali europee che afferiscono alla Bce, avrebbe potuto essere catastrofico. Per i tedeschi, vedere che Weidmann era in minoranza, isolato nel consiglio della Bce avrebbe potuto avere conseguenze politiche devastanti, una perdita di fiducia della Germania nell’Eurozona con tutto ciò che questo avrebbe potuto significare. La strada conduceva in una direzione sola e Draghi scelse di percorrerla: Angela Merkel. Se la cancelliera avesse dato il via libera alla Bce perché acquistasse sul mercato titoli di Stato di Paesi in difficoltà, tutto avrebbe probabilmente funzionato. Non si sa come il banchiere italiano l’abbia convinta. Lui sostiene di non avere preparato con Berlino il terreno che ha portato al «Whatever it takes».
«La decisione fu presa in totale e piena indipendenza», dice. Probabilmente Frau Merkel stessa si convinse della necessità che la Bce facesse vedere i muscoli al mondo. Fatto sta che, pur senza mettersi in contrasto aperto con il suo ex braccio destro Weidmann e con la Bundesbank, diede il suo assenso. Pubblico. Quanto bastò per cambiare lo scenario politico.
La lezione dei gesuiti. A differenza di uno dei vostri consiglieri nel videogioco €conomia, Draghi non è un giocatore d’azzardo. Fedele al suo modo di operare, aveva calcolato le probabilità e, soprattutto, aveva ritenuto che quella fosse la cosa giusta da fare, probabilmente l’unica in quel momento.
Ha studiato dai Gesuiti, a Roma, il giovane Draghi, e quella formazione lo aiuta ancora oggi non solo a vedere il quadro generale delle cose ma anche a sapere prendere decisioni non scontate e a portarle avanti, una volta che ne è convinto. Il grande quadro, d’altra parte, è quello che gli interessa: i dettagli e le esecuzioni minute le lascia alla struttura della banca. Non è un accentratore – dice chi lavora con lui –, lascia spazio ai collaboratori e li ascolta. Poi decide. In questo, forse, ispirato dalle esperienze americane, dal dottorato in Economia al Massachusetts Institute of Technology di Boston (1977) e dagli anni da executive director alla Banca Mondiale di Washington.
In più, ha l’assoluto controllo di quello che fa. Nel suo mondo, conosce tutti. Ma conosce anche tutto, dai meccanismi dei mercati finanziari alle regole non scritte che muovono le grandi banche internazionali: più di tre anni, dal 2002 al 2005, alla Goldman Sachs, gli permettono di conoscere di prima mano i meccanismi, i punti forti e le debolezze dei maggiori protagonisti di Wall Street. E le posizioni tenute in Italia – come direttore generale del ministero del Tesoro durante gli Anni Novanta delle privatizzazioni e della creazione dell’euro e poi come governatore della Banca d’Italia, dal 2006 al 2011, in piena crisi finanziaria – gli consentono di sapere a memoria quali sono i guai di ogni Paese e di controllare da maestro di diplomazia i rapporti con i governi e con i ministri rilevanti in Europa, America e Asia. Detto diversamente, del mondo dell’economia e della finanza ha un’esperienza colossale. Che, unita alla lucidità e alla determinazione, in questo 2012 ha realizzato il mix vincente.
Anche nel 2013, Draghi, che è sposato e ha due figli, avrà comunque poco tempo per il golf. La crisi va avanti e lui è il primo a saperlo. La Bce ha passato la parola ai governi. A quello spagnolo e forse a quello italiano che potrebbero scrivere il Memorandum con nuovi impegni di risanamento delle loro economie e in cambio chiedere ufficialmente l’attivazione del programma di acquisti di titoli di Stato della Bce (e dei fondi di salvataggio europei). E a tutti gli altri governi, che dovranno andare avanti sulla road-map verso un’Eurozona sempre più unita, sulla base del “percorso” tracciato da Draghi stesso nel gruppo dei “quattro presidenti” (della Bce, della Ue, del Consiglio europeo, dell’Eurogruppo). Un passo è stato già mosso e darà a Draghi parecchio da fare: i leader dell’area euro hanno deciso di affidare alla Bce il ruolo di supervisore delle banche europee, funzione delicatissima sul piano tecnico ma anche su quello politico. Molti altri dovranno seguire.
Sfide ardue. Inoltre, Draghi dovrà misurarsi con il nuovo ruolo – di enorme potere – che le banche centrali hanno assunto nel mondo e con la tendenza a non considerare più la lotta all’inflazione il solo obiettivo ma a mettere tra i loro target anche la disoccupazione se non addirittura il Prodotto interno lordo, oltre che al salvataggio dell’euro. È una rivoluzione in atto e i governatori la stanno guidando. C’è chi dice che finirà male, nell’inflazione globale. C’è chi sostiene che non sia un processo democratico, dal momento che i banchieri centrali sono “potenti, indipendenti, non eletti”, come dice Draghi stesso. C’è insomma da aspettarsi che questo enorme nuovo ruolo dei signori del denaro venga osteggiato. In fondo, la Bce ha rovesciato l’equazione storica: con la forza della sua indipendenza dai governi, ha reso i governi dipendenti da essa. E a molti non piacerà. Urge aggiungere a €conomia un nuovo consulente, il politico geloso.
L’“agenda Draghi” nei prossimi dodici mesi
Gennaio: questione spagnola
Spagna subito in prima fila nel 2013 di Draghi. In gennaio, il presidente della Bce terrà un discorso a Las Cortes, il parlamento di Madrid. L’attenzione sarà sulla possibilità che il premier Mariano Rajoy (nella foto) chieda ufficialmente il programma di aiuti europei che permetterebbe alla Bce di comprare titoli pubblici spagnoli sul mercato.
Febbraio: italia, voto e spread
Le elezioni in Italia (nella foto, il premier Monti) richiederanno la massima attenzione anche da parte della Bce. Se si palesassero sentori di instabilità a Roma, i mercati potrebbero entrare in tensione. Draghi potrebbe dovere discutere d’urgenza anche una richiesta di aiuti europei da parte dell’Italia per annullare il possibile allargarsi dello spread.
Marzo: missione tassi
Tassi d’interesse negativi? Sui mercati l’ipotesi non è più peregrina: la Bce (nella foto, la sede di Francoforte) potrebbe imporre tassi negativi sui depositi che le banche effettuano presso la sua tesoreria. Un modo per spingerle a immettere denaro nell’economia. Il 7 marzo, alla conferenza stampa mensile, Draghi potrebbe lasciare capire qualcosa.
Aprile: organizzazione interna
Mario Draghi dovrà anche guidare la Banca centrale europea su territori nuovi. I governi le hanno affidato la supervisione delle grandi banche dell’area euro dal marzo 2014. Draghi nel campo ha l’esperienza di Bankitalia (foto): ma già dalla primavera 2013 dovrà organizzare la struttura interna, tra le gelosie delle banche nazionali.
Maggio: i nuovi 5 euro
Nel 2014 verrà inaugurata la nuova sede, definitiva, della Bce, sul fiume Meno: due torri congiunte, alte 185 metri, già costruite: un segno netto nella skyline di Francoforte (nel rendering). In primavera sarà pronta e Draghi dovrà iniziare a fare i progetti per il mastodontico trasloco. Arriverà anche la nuova banconota da 5 euro.
Giugno: il consiglio europeo
Ci sono alte probabilità che la marcia dei governi verso l’unione fiscale, bancaria, politica faccia pochi passi avanti: lo si è capito dal vertice dei governi della Unione Europea di metà dicembre 2012. Al Consiglio europeo (nella foto) di giugno 2013, Draghi potrebbe essere costretto a proporre misure speciali per la crisi europea.
Luglio: la prima trimestrale
Il 29 luglio la Banca centrale presenterà i conti dell’euro-area che riguardano l’economia e la finanza al primo trimestre 2013. Si tratterà di numeri essenziali per capire se la recessione dell’Eurozona è finita oppure se la Bce dovrà tenere anche conto di una situazione economica e occupazionale in deterioramento da anni; e che non vede la fine.
Agosto: vacanze a rischio
Spesso è il mese più delicato per le banche centrali. Sui mercati i volumi d’affari sono scarsi e la volatilità alta. E nella calura estiva i governi possono prendere decisioni formidabili (si veda Nixon – nella foto – che dichiarò l’inconvertibilità del dollaro in oro il 15 agosto 1971). Anche l’agosto 2013 Draghi sarà da sorvegliare.
Settembre: il voto tedesco
L’appuntamento degli appuntamenti: le elezioni politiche in Germania. Vista dalla fine del 2012, la situazione sembra chiara: Angela Merkel (nella foto) è in pole position per vincere e fare una coalizione che continuerà sulla politica europea di adesso. Tutto può succedere. L’aiuto che la cancelliera chiede a Draghi è di tenere calmi i mercati fino al voto.
Ottobre: economia nel mirino
Il 28 ottobre la Bce pubblica i conti dell’Eurozona riferiti a metà anno. Se la recessione non sarà finita o se la ripresa sarà debole potrebbe dovere ricorrere a politiche mai utilizzate, per esempio fare passare in secondo piano il target dell’inflazione (che è il suo solo mandato) e pensare ad altri obiettivi di economia reale. Un compito delicatissimo.
Novembre: grecia e banche
Grecia a parte, che potrebbe avere bisogno di nuovi aiuti, in autunno Draghi dovrà tornare sul funzionamento del sistema bancario dell’area euro. Se la frammentazione dei mercati bancari sarà rimasta alta e il finanziamento alle economie basso potrebbe mettere in cantiere nuovi prestiti agevolati.
Dicembre: conti di s. Silvestro
Si stilano i bilanci di fine anno. Se l’Eurozona avrà superato senza disastri il 2013 – per nulla scontato – Draghi dovrà prepararsi a sforzi forse ancora maggiori: si è visto più volte che senza la pressione dei mercati i governi non fanno riforme e non avanzano nella costruzione di un’Europa più unita. Nel 2014 Draghi dovrà trovare il modo di spingerli a farlo.