Massimo Tosti, ItaliaOggi 28/12/2012, 28 dicembre 2012
GLI SNOB DI DOWNTON ABBEY
Il coraggio, in certi casi, non basta. I responsabili di Retequattro hanno fatto una scommessa audace, mandando in onda l’ultima puntata della seconda serie di Downton Abbey mercoledì sera (ore 21,20) sfidando una festività che gli italiani dedicano alla tombola in casa, o al cinepanettone, e che le tv riservano al riciclo.
Appena poco più di un milione di telespettatori si è seduto in poltrona per assistere alle avventure (e disavventure) della famiglia di lord Grantham. Lo scorso anno, la stessa puntata trasmessa in Inghilterra il giorno di Natale (peggio che mai) mise insieme un’audience di oltre 8 milioni di utenti. Peccato, perché la serie mantiene lo stesso fascino iniziale.
Nei due piani nei quali si svolge l’azione (il piano nobile, per i padroni di casa, lo scantinato per la servitù), i colpi di scena sono continui, ma soprattutto la sceneggiatura è accuratissima, con dialoghi ben scritti e con la fisionomia dei personaggi scolpita molto bene. Con i servitori che appaiono spesso più snob e classisti dei serviti. L’antipaticissimo sir Richard Carlisle (che aspira alla mano di Mary Grantham, si lamenta (con il sopracciglio arcuato) perché il pranzo di Natale (per tradizione) non viene servito in tavola, perché a quell’ora sono i camerieri a festeggiare. Ma sir Richard è l’unico dei piani alti a rivelarsi spocchioso, mentre nelle file della servitù le gerarchie e l’alterigia costituiscono il pane quotidiano. Sir Grentham è sconvolto dal verdetto di colpevolezza (per omicidio) che il tribunale infligge al valletto John Bates, mentre un cameriere accoglie la notizia con palese soddisfazione, perché gli apre un’autostrada verso una promozione.
La ricostruzione ambientale e storica (l’ultima puntata era datata fra il Natale e il Capodanno del 1919) è impeccabile, gli attori (a partire dalla magnifica Maggie Smith) sono tutti all’altezza. L’anno prossimo ci attende la terza serie, mentre la troupe è attualmente impegnata sulla quarta. Cento di questi giorni.