Nazzareno Carusi, Libero 27/12/2012, 27 dicembre 2012
LA GRANDE BEFFA DEI CONSERVATORI
[Negli ultimi 5 anni agli allievi, per avere un titolo equipollente al vecchio, è stata richiesta una spesa fino al 93% superiore] –
Elena Ugolini, sottosegretaria all’Istruzione, santa subito. Perché non fosse stato per l’emendamento che ha condotto come un blitz nella legge di stabilità (con l’aiuto del senatore Azzolini, presidente della Commissione Bilancio del Senato, e il fianco coperto dai senatori Latronico, Vita, Tancredi e Legnini), coloro oggi in possesso di un diploma di conservatorio, conseguito secondo il vecchio ordinamento degli studi musicali, se lo sarebbero visti sminuire per legge a semplice diploma accademico di primo livello.
Invece, «i diplomi finali rilasciati dalle istituzioni al termine dei percorsi formativi del previgente ordinamento, conseguiti prima dell’entrata in vigore della presente legge e congiuntamente al possesso di un diploma di scuola secondaria superiore, sono equipollenti ai diplomi accademici di secondo livello». Capiamoci, con la premessa che nei conservatòri ci sono comunque un patrimonio di cultura e fior di insegnanti da onorare. Pietro Ichino (Inchiesta sul lavoro, Mondadori 2011), scrive che sono un «esempio drammatico» della «incapacità del nostro Paese di valutare e distinguere» e della «sua chiusura ermetica ai giovani».
Fino al 1999, anno della riforma, la musica si studiava sostanzialmente secondo un decreto del 1918. Non era sbagliato, ma una svecchiata andava data. Sennonché, da 13 anni l’aspirazione delirante alla docenza universitaria (con relativo stipendio) ha spinto molti direttori e professori a inventarsi una nuova architettura di studi, la cui ignobiltà onomastica è pari alla notevole fuffa di sostanza. Parliamoci chiaro: quanto a studiare il pianoforte, la Gestione individuale degli aspetti psicologici del musicista sta agli Studi di Clementi come Renatino Brunetta del Tornello a uno statista.
Le più fantasiose neomaterie altro non sono che il risultato dello smembramento delle vecchie ore e ore passate allo strumento in tanti rivoli quanti fossero i prof da accontentare, soprattutto in vista dell’elezione dei direttori, intruppando i programmi di corsi che spesso hanno semplicemente rimpinguato, a suon di ore aggiuntive, gli stipendi dei già titolari. Per dire la beceraggine diffusa, ricordo una docente di flauto che teneva anche il pippocorso di Inglese specialistico e scrisse della stanchezza d’un viaggio aereo causa «jet lack» anziché jet lag.
Adesso, dopo anni di favoletta, i nuovi bienni rispetto ai vecchi diplomi si sono scoperti un pacco. Sul sito (scelto a caso) del Conservatorio di Firenze, ieri c’erano ancora i requisiti per l’ammissione al biennio pianistico: la maturità e il diploma di pianoforte vecchio ordinamento (o quello di triennio). Significa che la sua frequenza prevedeva fino a oggi il possesso di un titolo che la legge, da oggi, considera equipollente a quello che il corso stesso avrebbe rilasciato.
Quanto alle tasse di frequenza, si legge che quest’anno, per la fascia di reddito più bassa, i contributi sono di 320 euro per il vecchio ordinamento, 500 per il triennio e 800 per il successivo biennio. Quindi, se le cifre erano queste anche negli ultimi sei anni, e considerando che quasi tutti gli studenti hanno o avranno anche la maturità, vuol dire che per avere un titolo equipollente al vecchio è stata richiesta loro una spesa per tre anni del 56% e per due del 150% in più. Ovvero che l’ultimo lustro di studi per conseguire il diploma di secondo livello nel 2012 è costato alle famiglie più povere 3.100 euro anziché 1.600, cioè il 93% complessivo in più del vecchio ma equipollente titolo, i cui corsi erano tenuti, praticamente, dagli stessi professori nella stessa sede. Non si dica che è la legge di stabilità ad aver causato questo pateracchio. Perché è evidente che se si è messa mano a questa storia, le cose non erano come venivano raccontate.
Fossi negli allievi, intenterei una causa per danni. E siccome la colpa non è delle istituzioni, che in sé sono gloriose, ma della nullità culturale e d’animo di tanti direttori e professori, lo Stato dovrebbe rifarsi su questi ultimi mandandoli via a calci.
Chiudo ricordando chi frequenta ancora il vecchio ordinamento e spera di concludervi gli studi; i privatisti che devono poter dare i loro esami, perché è ridicolo che un allievo privato di Pollini non potrebbe sostenere il diploma in pianoforte; e infine la «chiara fama», da rivitalizzare per la nomina dei professori dandone, però, l’incarico al ministro perché le istituzioni troppe volte hanno fatto strame di buonsenso e onestà nei giudizi delle carriere artistiche. Cose da sistemare. Forza, Ugolini, avanti così.