Ugo Trani, Il Messaggero 27/12/2012, 27 dicembre 2012
LA MIA CINA, LA MIA ITALIA
Marcello Lippi è a Roma da domenica, per passare le feste di Natale a casa della figlia Stefania, con la moglie Simonetta e il nipotino Lorenzo. In Cina da maggio, con il Guangzhou ha vinto scudetto e coppa. «E ho cambiato le loro abitudini. Il primo giorno di allenamento mi dissero che avrei trovato la mia roba in camera. Ci spogliavamo in albergo e andavamo in pullman al campo. Tornavamo a farci la doccia nella nostra stanza. Sul bus, sudati e con l’aria condizionata al massimo. Dopo le prime tre partite, ho portato tutti i ritiro per dieci giorni. Adesso, un’ora prima del lavoro, appuntamento al centro sportivo. Si fa tutto lì. Anche per socializzare».
Quanto è lontana l’Italia?
«Poco. La sento vicina grazie alla tecnologia. Leggo, su internet, almeno cinque quotidiani al giorno, a cominciare dai tre sportivi. E seguo il calcio. Credevo che fosse privilegiato quello inglese e invece il nostro è spesso in tv».
Quindi, niente nostalgia?
«Solo della famiglia. Sto bene lì. Siamo andati in sette: io, Pezzotti, Maddaloni, Gaudino, Rampulla, Cotti e, ogni quarantacinque giorni, anche Castellacci. Abbiamo trovato grande ammirazione per nostro calcio italiano. E io non faccio solo l’allenatore. Sono anche manager. Voglio organizzare il mio nuovo club come le migliori società d’Europa».
Che tipo di esperienza è?
«Ho avuto la fortuna di aver vinto tutto e mi era passata la voglia del calcio a grandi livelli. Cercavo qualcosa di completamente diverso. Mi pesava tornare in un club. Ho ricevuto diverse offerte, sono andato a vedere se potevo allenare negli Emirati. Quando sono stato chiamato da Canton, ho subito capito che era l’offerta giusta. Non sono un ipocrita: economicamente non potevo rifiutare la proposta».
Che cosa ha imparato in questi mesi dal calcio cinese?
«Ho scoperto che la loro alimentazione è corretta: priva di grassi. Prima delle gare, però, carboidrati. Come si fa da noi».
E, invece, che cosa ha insegnato ai giocatori?
«Tecnicamente sono bravi. Ma non aggrediscono e niente movimento senza palla. Con me, ecco pressing e verticalizzazioni».
La più grande difficoltà incontrata rimane la lingua?
«Certo. La comunicazione è fondamentale. Abbiamo quattro interpreti. Con me, dalle otto di mattina a mezzanotte, c’è Vincenzo Cellucci, abruzzese che già da dieci anni viveva a Pechino. Un italiano che parla la loro lingua è l’ideale: sai che cosa traduce. In più ho un autista, perché guidare, seguendo le indicazioni, è impossibile.».
In assoluto sono stati sufficienti sette mesi per adattarsi?
«Sì. Dopo due mesi ho preso casa. E mi trovo bene a tavola. Ovviamente evito di assaggiare serpenti, scarafaggi e cani. In più ci sono ristoranti italiani e la cucina, in una città di diciassette milioni di abitanti, è internazionale. Abbiamo diversi amici. Spesso vediamo il nostro console».
Come giudica il nostro torneo?
«Poco combattuto. Ero convinto che il Napoli potesse lottare per il titolo. Non ha, invece, avuto continuità».
E le milanesi che hanno entrambe battuto la Juve?
«Le big sono troppo altalenanti. Il Milan, dopo la brutta partenza, si era ripreso. Ma si è fermato a Roma. Paga il rinnovamento: ha perso Ibra e Thiago Silva, tra i migliori al mondo, e altri di grande carisma come Gattuso, Nesta, Inzaghi e Zambrotta. Anche l’Inter non convince. Eppure era andata a vincere sul campo della Juve».
Seconda, adesso, è la Lazio: la considera una sorpresa?
«Nessuno, inizialmente, l’aveva indicata tra le protagoniste. È ordinata, compatta e unita, la più regolare. Petkovic non lo conoscevo, ma si è calato subito nella realtà del nostro calcio. Ha dato organizzazione, sfruttando le individualità. Klose è un fuoriclasse e anche Hernanes è un campione. Ma il più bravo tra i tecnici è un altro».
Chi sarebbe?
«Montella. Ho subito notato la sua preparazione. Ma non pensavo che, però, facesse così in fretta, avendo allenato poco: i giovanissimi con la Roma, la breve esperienza sulla panchina giallorossa e l’anno scorso a Catania. Ha sfatato il luogo comune che, quando si cambia molto, bisogna avere pazienza. A Firenze, rispetto alla stagione scorsa, è tutto nuovo: dirigenti, allenatore e tutta la squadra. Ha portato concetti di gioco e psicologicamente ha lavorato bene con il gruppo. La Fiorentina gioca il calcio più bello: può lottare per il secondo posto».
E la Roma?
«A volte è straripante. Proprio contro il Milan ha mostrato di che cosa sia capace, avendo grande qualità nei suoi singoli che riescono ad esaltarsi nello spartito scelto dal tecnico. Ma non dà certezze. Perché poi cade come a Verona contro il Chievo. Deve evitare, insomma, i black out».
Insomma la sua Juve è ancora la favorita?
«Non ho dubbi, è la più forte. Difficilmente lascerà qualcosa. Con gli alti e i bassi non si vince, mentre i bianconeri non hanno pause da un anno e mezzo».
Stupito da Conte?
«No. Mi aspettavo che riportasse la juventinità: era mancata negli ultimi anni. Quella ferocia anche in allenamento. Non è vero che la sua squadra somigli solo alla mia. E’ pure quella di Trapattoni e di Capello. Stessa determinazione. E stessa voglia di vincere».
Come valuta il momento di due suoi campioni del mondo, Del Piero che non si riesce ad ambientare a Sidney e Totti che sta trascinando la Roma?
«Il paragone non si può fare. Alex avrebbe voluto chiudere alla Juve. Ha però dovuto lasciare e ha scelto l’Australia per non giocare più a certi livelli, pur avendo alcune proposte interessanti in Europa. Francesco, invece, fa bene a continuare con la Roma. È un giocatore senza età. Lo avete mai sentito parlare di addio al calcio? Mai. Non ci pensa. Gli ho inviato un messaggio per Natale: è un piacere vederti giocare così. Fisicamente e mentalmente è al top. Si diverte».
A 36 anni, Totti continua battere record: quale crede che sia il suo segreto?
«La disponibilità che offre ai tecnici e ai compagni. I gol li ha sempre fatti, ma ora lotta e corre più di prima. Mi ricorda Zidane. Quando Conte perdeva palla, il francese andava a riconquistarla. Era un esempio. Perché gli altri dicevano; se lo fa un campione come lui, se fa questo per noi... Tutti nella Roma sono spinti a dare di più proprio seguendo l’atteggiamento di Francesco».
Ancelotti, Mancini, Spalletti e Capello: perché tanti italiani all’estero?
«Siamo i più bravi. La nostra scuola, compresa quella dei tecnici di B e di Lega Pro, è la migliore. E anche gli arbitri italiani sono i più affidabili. Qui però continuate a criticarli».
Quando tornerà Lippi in Italia?
«Mi hanno offerto la nazionale cinese, da guidare in contemporanea con il club. Ho detto no, perché farei male le due cose. Tra un paio di anni, quando scadrà l’accordo con il Guangzhou, potrei accettare».