Filippo La Porta, Il Messaggero 28/12/2012, 28 dicembre 2012
GEOGRAFIA DELLA PAROLA
Cominciamo con una constatazione abbastanza ovvia: la nostra esistenza non si svolge gradualmente, e anzi viene scandita da svolte improvvise e momenti decisivi in cui si raccoglie il suo significato. Negli anni ’70 gli scienziati Stephen Jay Gould e Niles Eldridge ci hanno spiegato, attraverso gli «equilibri punteggiati», che nello stesso modo funziona l’evoluzione naturale: a lunghi periodi di stabilità succedono brevi periodi di svolte inattese cui corrispondono importanti variazioni evolutive. Questo modello ispira l’Atlante della letteratura italiana (Einaudi, 1058 pagine, 85 euro) di Sergio Luzzatto e Gabriele Pedullà, ora al suo terzo e conclusivo volume (Dal romanticismo ad oggi, curato da Domenico Scarpa). L’opera infatti è punteggiata da una serie di saggi che si concentrano su eventi e punti di svolta significativi della nostra vicenda culturale. I tre volumi, corredati da mappe, diagrammi, grafici, intendono così innovare la vecchia storiografia letteraria, a impianto storicista, basata sulle sequenze cronologiche di autori e opere. La storia letteraria ne viene certamente movimentata. Anche limitandoci al terzo volume, ora pubblicato, sarebbe impossibile renderne conto sia pure sommariamente (quasi centocinquanta saggi per un migliaio di pagine).
CONTENUTI
Vi si può navigare a piacimento, e scoprire i luoghi della cultura nella Torino di Cavour, nella Roma futurista, nella Firenze degli anni Trenta, nella Bologna degli anni Settanta; o anche come in un convegno del 1954 a San Pellegrino Terme o in uno spettacolo di Manganelli fischiato a Porto Marghera nel 1974 (o, spostandoci di un secolo, nell’incontro a Londra del 1847 tra Verdi e Mazzini) si rapprende il senso più segreto della nostra civiltà letteraria. Al suo esordio l’Atlante ha scatenato polemiche virulente, con scambi di offese da cabaret futurista che non staremo a rivangare. Due sole obiezioni a un’opera certamente innovativa. La sua consultazione non esclude affatto ma anzi presuppone gli antiquati manuali (storicisti), con le loro polverose ma indispensabili gallerie di scrittori, generi, secoli, altrimenti ci si potrebbe smarrire). E poi: se la selezione di alcune date-chiave e di luoghi ritenuti «strategici» per le patrie lettere può apparire a volte arbitraria, credo però che questa inevitabile soggettività vada sempre esplicitamente rivendicata.
La critica e lo studio letterario sono fatti di scelte tendenziose, di giudizi di valore netti, di opzioni di gusto (che certo occorre poi argomentare). Può anche darsi che la stroncatura di Croce al Mondo magico di De Martino o la polemica Gadda-Moravia sui Promessi sposi non siano propriamente «variazioni evolutive» fondamentali - come qui invece si sostiene - ma il relativo arbitrio è ciò che rende avvincente, appassionata la lettura di quest’opera(e Dio sa se la esangue scena letteraria oggi non ha bisogno di qualche passione…). In questo senso, ad esempio, la pur accurata ricostruzione del rovente dibattito sulla Storia di Elsa Morante - fatta da Giuseppe Antonelli - mi sembra peccare di eccessiva neutralità: da che parte si schiera l’autore del saggio, come giudica il libro morantiano, un lacrimoso feuilleton ottocentesco o un inventivo romanzo postmoderno?
ORIENTAMENTI
Un atlante si definisce come raccolta sistematica di carte geografiche, allo scopo di farci orientare. E allora non sarà abusivo usare questo terzo volume per capire meglio dove ci troviamo. Provo così a collegare tra loro, con una mossa spericolata, il saggio d’apertura - di Francesca Serra - a proposito di un articolo di Madame De Stael apparso sulla Biblioteca italiana), e gli ultimi saggi del volume, sulla narrativa recente. Sia la De Stael nel 1816 che Pier Vittorio Tondelli nel 1985 (vedi saggio di Arturo Mazzarella) tendono ad accusare la nostra narrativa di anaffettività e manierismo. Commentando poi la citata polemica Moravia-Gadda Mauro Bersani conclude che il destino della letteratura italiana si riassume nella contrapposizione tra narratori puri e scrittori, tra storyteller e prosatori, da Bassani e Ginzburg versus Arbasino e Manganelli, fino ai Veronesi e Ammaniti versus Mari e Scarpa. Quali conclusioni trarne? Anzitutto che queste due linee apparentemente antagoniste possono convivere pacificamente e anzi costituire, come si dice, una risorsa della nostra letteratura. Eventualmente i guai cominciano quando le due tendenze degenerano: gli affabulatori possono scadere a intrattenitori tout court e gli stilisti rischiano a volte di ridursi a squisiti, aridi decoratori. Inoltre: può anche darsi che gli scrittori italiani, come diceva la De Stael, «si vedono cader tutti e sovente nella ripetizione», e sono malati di estenuata letterarietà. Però Tondelli ammonisce i suoi esordienti under 25 che se uno vuole scrivere diari per farli leggere a tutti bisogna sapere che «quell’io che scrive è già un personaggio» e dunque «deve seguire tutta una serie di regole e comportamenti che niente hanno a che fare con la realtà, ma tutto invece con la letteratura». Così al termine dei suoi molteplici percorsi l’Atlante ci ricorda attraverso le parole di uno scrittore pur insofferente verso le convenzioni che se si vuole trasmettere ad altri la propria esperienza personale - e dunque anche per scrivere un blog - dalla letteratura non si esce, e che la tradizione occorre conoscerla.