Paolo Di Paolo, Il Messaggero 28/12/2012, 28 dicembre 2012
IN PRINCIPIO FU LA RICETTA
Che cosa pensa una gallina del nostro pranzo di Natale? Si limita alla perplessità o prova un autentico desiderio di fuga? In uno dei bellissimi «Racconti gastronomici» raccolti per Einaudi da Laura Grandi e Stefano Tettamanti, intitolato «Storia di una gallina», una coppia contadina si interroga sull’opportunità di coinvolgere la propria amata gallina come protagonista della tavola natalizia. Ma non riuscendo a sacrificarla, la signora del racconto di Emilio De Marchi opta infine per «una gallina delle solite, comperata sul mercato, la mattina al buio, senza discutere, sicura in cuor suo che questa almeno non sarebbe stata una gallina».
IL VERO AGGREGANTE
Questi giorni di festa hanno al centro, da sempre, le grandi tavolate. Il discorso sul cibo diventa essenziale: non foss’altro perché si tratta del vero aggregante. Mangiare - e mangiare tanto - ci tiene insieme anche se per il resto dell’anno siamo lontani. Cucinare per un plotone di parenti ci fa sentire in affanno ma stranamente vitali, quando non allegri. Non è solo consumismo dunque. C’è qualcosa di più profondo, di remoto, che ci lega allo scintillio dell’abbondanza gastronomica: festa è essere sazi; salute è non avere fame.
PIACERE E MEMORIA
I «Racconti gastronomici» ci portano per mano tra epoche e autori, da Boccaccio a Maupassant, da Cechov a Wallace, a sperimentare tutte le sfumature del discorso sul cibo. I morsi della fame, la fantasia, il piacere, la memoria, perfino la felicità in cucina. D’altra parte il cibo, oltrepassata la soglia della necessità, diventa subito racconto: in principio fu la ricetta. La ricetta è già a suo modo narrazione: crea connessioni verbali, è un esperimento anche linguistico. «Io mi domando - scrive Achille Campanile - chi sarà stato l’inventore, ad esempio, dei fichi col prosciutto. Come gli sarà venuto in mente questo geniale accoppiamento. Chi sa quante prove avrà fatto prima di giungere alla combinazione che doveva avere tanta fortuna». E un menù? Non è forse una combinazione anche lessicale?
Il fungo-trifola, la marmellata, le noci, tutto diventa ingrediente per scrivere, per narrare. Il cibo, per degustarlo davvero, va pronunciato, sillabato, come Mario Soldati fa con la pajata: «L’intestino tenue secondo del manzo, detto la digiuna o il digiuno, perché sempre vuoto se non del chimo, e cioè di quella pasta omogenea, viscosa, lattiginosa, che è come il sugo della digestione, il vero e puro elemento nutritivo».
Anche quando è «a effetto» e spaventa, il cibo può produrre desiderio. Attiva tutti e cinque i sensi, perché si può ascoltare. «Che cosa mangiamo stasera?» è la domanda puntuale da cui è pronto a spalancarsi un mondo. Quello di Hansel e Gretel è fatto di case di marzapane: «Hansel, cui il tetto piaceva molto, ne staccò un grosso pezzo».
Il sogno di mangiare tutto, l’antidoto perenne alla grande fame è il paese della cuccagna, che alimenta leggende secolari. Ma forse anche imbandire le tavole di queste sere è una estensione di quel sogno della città in cui si assapora di mangia tutto.
CINEMA E CIBO
Il cinema - con la sua potenza visiva - porta lo splendore del cibo al massimo grado, dal Pranzo di Babette alla Grande abbuffata, fino ai piccoli e grandi drammi che si scatenano la sera della vigilia intorno al tavolo di Una famiglia perfetta, il film di Paolo Genovese nelle sale in questi giorni. Il cibo diventa la ragione per allestire una cena in recita, per guardarsi negli occhi e per dirsi cose mai dette prima. Anche per volersi un po’ più bene.
BOCCACCIO E OZPETEK
Ma sul grande schermo italiano chi ha più valorizzato la gastronomia è Ferzan Ozpetek. Innamorato, da turco e Italiano, dei colori dei cibi, di ciò che entra nei nostri sguardi con la forza di un’opera d’arte commestibile. Già sazi continuiamo a desiderare solo perché l’occhio ci dice che è pronto in tavola, come l’odore di una gru al forno chiama in cucina la donna di cui è innamorato il cuoco Chichibio. Con tutta la sua malizia, Boccaccio ci spinge verso l’altro eterno binomio: quello di Eros e gastronomia, di cibo e amore. Forse a Natale poco frequentato. Ma si può recuperare a Capodanno.