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 2012  dicembre 22 Sabato calendario

UNA LETTRICE PARTICOLARE


Questa la dedico a Mariana (con una sola enne). Se la leggerà, stia pure tranquilla. Non c’è nulla di imbarazzante nelle righe che seguono. Forse sarà sorpresa. Ma io sono stato più sorpreso di lei, quando l’ho incontrata nella mia stanza d’albergo. La 315 all’Empire di Roma, in Via Aureliana. Mariana fa le pulizie in quell’albergo, e quando sono rientrato in camera nel pomeriggio stava sbirciando il mio libro, Voi avete gli orologi, noi abbiamo il tempo. (Qui chiedo scusa a voi: non è uno spot auto-pubblicitario, questa storia mi sta a cuore perché dimostra una cosa importante).
Mariana è romena, vive in Italia da 20 anni, ha quasi perso ogni traccia di un accento straniero. «Il tema del libro mi attira mi dice appena entro, per giustificarsi stavo guardando il prezzo di copertina. Costa meno in formato e-book, potrei leggermelo sull’iPad, però a me i libri piacciono di più quando sono di carta, ho voglia di sfogliarli, tenerli in mano. Stavo memorizzando il titolo per andare alla Feltrinelli». Comincio a interrogarla sulle sue letture, e Mariana mi rivela vasti interessi, dalla letteratura alla saggistica. Sua figlia invece è una collezionista di serie manga giapponesi, Mariana avendo letto la mia bio in copertina sa che ho vissuto in Asia e mi chiede lumi sul Giappone. Cita nomi di scrittori che sono passati in quello stesso albergo di recente. La sua cultura letteraria mi spiazza: di alcuni autori che le sono cari, io so poco o nulla. «Nel mio paese dice durante la dittatura comunista tanti libri stranieri erano proibiti, censurati. Per fortuna non ci tolsero né Tolstoj né Dostoevskij».
Finiamo così a parlare della Romania. Le dico che io fui inviato (del Sole 24 Ore, all’epoca) a Bucarest nelle terribili giornate del dicembre 1989, durante la rivoluzione che eliminò Ceausescu. «Cominciò tutto a Timisoara», mi ricorda lei. Le dico che non sono mai più tornato in Romania, da allora, ma conservo il ricordo di una strana città: per metà una copia balcanica di Parigi (ma in versione povera e sbiadita), per l’altra metà un clone dell’architettura staliniana. Dalla precisione dei tanti dettagli personali che lei elenca sugli eventi dell’89 deduco una stima approssimativa della sua età. Dev’essere più giovane di me, ma non molto. Capisco che l’abbia attirata un libro sulle "pantere grigie", dunque. Lei conferma: «Mi ha incuriosita il capitolo intitolato generazione-sandwich, quello dedicato alle donne. Mi ci ritrovo: alla mia età sopportiamo due o tre responsabilità, verso i figli e verso i genitori anziani. Oltre al lavoro remunerato, ce n’è sempre un altro che ci attende».
La mia gratitudine verso Mariana, per favore, non interpretatela solo come la banale vanità di un autore. Mariana col suo amore per i libri, con le sue letture sterminate, mi difende da un’obiezione. Quando io descrivo una seconda età adulta, un dilatarsi dei nostri orizzonti grazie all’aumento della longevità, una Età del Bis che si dischiude davanti a noi baby-boomer (nati fra il ’45 e il ’65), sento serpeggiare in Italia un dubbio: l’idea che queste sono tematiche per privilegiati. Che solo una minoranza di noi può guardare con interesse e passione ai prossimi decenni della vita, ingegnandosi a riempirli di attività. La minoranza privilegiata è costituita da persone come me che hanno potuto scegliere il loro lavoro, lo amano al punto che sognano di estenderlo in qualche modo, ben oltre l’età legale della pensione. La maggioranza, anche qui in America, se prolunga il lavoro fino all’orizzonte dei 70 anni lo fa per necessità: perché la pensione non basta ad arrivare a fine mese. Ne sono consapevole, e la descrizione che faccio della "generazione sandwich" non evita gli aspetti più duri della vita dei cinquantenni. Mariana però mi ha confermato una cosa: noi siamo circondati di persone che stanno reinventando la propria vita. Non è un lusso riservato ai benestanti. C’è chi fa i salti mortali per conciliare un lavoro duro, orari pesanti, responsabilità familiari, e tuttavia ritagliarsi uno spazio per i propri interessi, i propri sogni, i propri ideali.
La conversazione con Mariana si chiude con le sue osservazioni acute sulla crisi della Grecia. Improvvisamente il nazionalismo greco mi appare sotto una luce diversa quando lei me lo racconta "visto dai Balcani". Mi dice che l’Unione europea a volte le fa venire in mente un impero che vide crollare sotto i suoi occhi, quello sovietico. Enormi differenze, certo, ma la colpisce un’analoga incapacità a prevedere la propria crisi. Mariana non l’ho più rivista durante la mia permanenza a Roma. Evidentemente i nostri orari non coincidevano più. Ma un incontro è bastato. Questo sì, è un privilegio.