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 2012  dicembre 27 Giovedì calendario

PRENDI I COLPI E TACI È LA DURA LEGGE NFL “LA CARRIERA O LA VITA”


Confessate: per il vostro bene. Diteci quello che vi passa per la testa. Siate sinceri perché un giorno questo dolore vi sarà utile.
Sappiate scegliere tra lavoro e salute. È l’avviso che gira nella Nfl, tra i ragazzacci del football americano. A invitare alla denuncia, al coming-out, è Roger Goodell, il commissioner dell’Nfl. Perché quando il gioco comincia a farsi duro i duri cominciano a giocare, ma anche un po’ a morire. Troppi colpi alla testa, troppe botte al cervello. I don’t feel right. Tutto inizia con: nausea, tremito, male alla nuca, perdita di memoria, di vista. Nuovi studi dimostrano una stretta relazione tra le encefalopatie e il football americano. Sono in arrivo cause legali: 3.700 ex giocatori stanno portando in tribunale l’Nfl per danni cerebrali permanenti, per aver sottostimato gli effetti collaterali di un gioco che impone virilità e tiene segreta quella piccola debolezza. Sì quel filo di nebbia che resta dopo uno scontro frontale con l’avversario. Se ammetti un ronzio, sei out. Se confessi che dopo essere stato tramortito da un bestione che correva a tutta velocità ancora non te la senti di riprendere, il coach ti risponde:
accomodati, fuori squadra. Si sa: «You don’t win a SuperBowl by playing it safe».
Alex Smith, 28 anni, quarterback dei San Francisco 49ers, otto giorni dopo essere stato abbattuto in partita, ha detto alla squadra che continuava ad avere la vista annebbiata. Colpa della commozione cerebrale, ha sentenziato il neurologo. Nessun problema, Smith è stato sostituito: per sempre. Sorry Alex, è una decisione tecnica, si è giustificato il coach, Jim Harbaug. Niente più lavoro. Smith non era uno qualunque, ma uno con le percentuali migliori al momento dell’incidente. Ora si chiede: «Non so se altri giocatori seguiranno il mio esempio». Il suo ex collega Bill Romanowski ha parlato per la categoria: «In tanti prendono colpi, stanno male, ma non lo ammettono, vogliono tenersi il lavoro». Già, se non vedi più bene i dettagli vuol dire che sei da rottamare. Julian Bailes, neurochirurgo di Chicago e cofondatore del Brain Injury Research Institute riprende le parole di Romanowki: «L’Nfl ha un problema culturale, credevamo di aver fatto un passo avanti, ma la vicenda Smith ci riporta all’antica omertà del stai zitto e gioca. Ci sono i vecchi che non vogliono perdere il posto e ci sono i giovani che vogliono guadagnarlo».
Hunt Batjer, neurochirurgo che collabora con l’Unità Spinale dell’Nfl, sostiene che il pericolo è proprio quello: «Facciamo che sono un quarterback, mi sto riprendendo da un colpo alla testa, vedo male, ma non malissimo, sto zitto e gioco, quando mi arriva un’altra botta che mi costerà molto più dell’ultima». Colpi di testa, appunto. Che piano piano ti fanno dimenticare chi sei. John Mackey e Ollie Matson sono due grandi che vi guardano dalla Hall of Fame. Sono morti «per lavoro» l’anno scorso. Troppo impatti in gioventù. E ormai sono nella statistica dei
33 decessi causati dalla loro professione. Mackey se n’è andato a 70 anni, dopo 10 stagioni Nfl, Matson a 80, dopo 14 campionati come running-back. Entrambi per la stessa causa: demenza.
Robert Cantu, neurochirurgo e coautore di uno studio effettuato
dall’università di Boston segnala che la malattie degenerative al cervello coinvolgono anche chi gioca a football nei college. Gli studenti, non solo i professionisti del gioco. Intanto dà altri nomi: Ron Perrymann, morto l’anno scorso a 42 anni, Cookie Gilchrist, deceduto a 75, Eric Pelly, studente, scomparso nel 2006 a soli 18 anni, ma per un incidente di rugby, avuto dopo uno scontro nel football. Brandon Stockley, dei Denver Broncos, alla sua 14esima stagione Nfl, dice che i giocatori capiscono, ma che si trovano davanti a un bivio: «Sai che più vai avanti
e più aumentano i pericoli, ma spesso nascondi i sintomi perché non vuoi finire fuori squadra. Quando ero al college ho avuto una dozzina di commozioni cerebrali, allora ero giovane e non mi fermavo». Per questo il commissioner Goodell sta facendo il giro dei college e sta invitando tutti ad alzare la mano: «Non c’è nulla di male a fare un passo avanti e a dire al coach: non mi sento bene». Bisogna scegliere: lavoro o salute? Yogi Berra, che però giocava a baseball, aveva un consiglio: «Se arrivate ad un bivio, imboccatelo».