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 2012  dicembre 27 Giovedì calendario

DOTTOR COMPUTER


Il suo nome è Watson. Ma da oggi potete chiamarlo “Dottor Watson”. Non aspettatevi di vederlo in camice bianco. E non scambiate per titubanza il ronzio con cui sta valutando uno dei suoi primi casi clinici. Al supercomputer dell’Ibm, che l’anno scorso ha sbaragliato tutti i campioni umani di quiz televisivi e che ora debutta nelle corsie d’ospedale, non manca infatti l’ambizione. A lui, d’ora in poi, sempre più verrà affidata la nostra salute.
Con la sua capacità di divorare 200 milioni di pagine fra manuali di medicina, riviste scientifiche, test diagnostici, elettrocardiogrammi, anamnesi o radiografie, Watson da alcune settimane affianca i medici di quattro grandi ospedali americani: le facoltà di medicina della Columbia University a New York e dell’Università del Maryland, il centro
oncologico Memorial Sloan-Kettering sempre a New York (un gigante da 25mila ricoveri l’anno) e la Cleveland Clinic. Il supercomputer ha anche firmato un accordo preliminare d’affari con Well-Point, l’assicurazione più gettonata negli Usa con i suoi 34 milioni di assistiti.
A Watson, che fino a ieri rispondeva ai quiz televisivi, oggi i camici bianchi possono chiedere da quale malattia è affetto un paziente e i consigli per la cura. «Il medico immette sintomi, risultati delle analisi e storia clinica» spiega Herbert Chase, il professore di informatica medica alla Columbia che da due anni sottopone Watson a domande e casi clinici complicati per testarne le capacità. «Se digito un elenco di sintomi come respiro corto, febbre e dolore, il computer mi presenta una lista di possibili ma-lattie, in testa alla quale c’è “polmonite”».

Nel giro di pochi secondi il calcolatore analizza il corpus di manuali e articoli scientifici stivati nella sua memoria. Poi fornisce un elenco di malattie che potrebbero coincidereconqueisintomi,ordinate secondo la probabilità. «Il computer suggerisce le varie possibilità, ma ovviamente sono medico e paziente a decidere la terapia » aggiunge Chase, secondo cui ci vorrà ancora un anno per valutare le performance di Watson e decidere se e quanto allargarne le
applicazioni. Dal semplice elenco delle diagnosi, il calcolatore potrebbe spingersi fino a suggerire una cura. Ed è proprio sul modo migliore per combinare i trattamenti anticancro che la collaborazione fra Ibm e l’ospedale oncologico Memorial Sloan-Kettering è centrata. Il raffronto fra terapie e guarigioni, invece, servirà come riferimento per le compagnie assicuratrici, fin troppo desiderose di tagliare sulle pratiche sanitarie giudicate inutili.
Che l’ultima parola su come trattare un paziente spetti sempre a un uomo in carne e ossa è il mantra ripetuto dall’Ibm. E WellPoint rassicura che nessun rimborso verrà negato ai pazienti sulla base
dei giudizi di un computer. Ma il dubbio che si tratti solo di una questione di tempo è legittimo. Un esperimento estremo come quello del Dottor Watson infatti — con il medico disposto a spogliarsi di una parte della propria competenza — nasce proprio da un clima di scarsa fiducia nella categoria dei camici bianchi, dagli errori commessi in corsia, dalle mancate guarigioni che finiscono in tribunale o dalle guarigioni riuscite che però vengono giudicate troppo dispendiose dalle assicurazioni.
«La letteratura scientifica cresce di giorno in giorno in maniera esponenziale. I medici non hanno abbastanza tempo per aggiornarsi
e documentarsi» spiega Chase. «L’uomo può essere colpito da 12mila diverse malattie e il corpus della conoscenza medica raddoppia ogni cinque anni» rafforza la dose uno spot dell’Ibm. In Italia l’ultimo rapporto parlamentare sugli errori medici stilato dalle imprese di assicurazione parla di 21mila denunce solo nel 2010. Negli Usa il numero delle vittime nello stesso anno è stato calcolato in 195mila. Con queste premesse, la caduta della fallibile arte medica nell’abbraccio di un’informatica abile a promettere certezze era solo questione di tempo.
L’ingresso dell’intelligenza artificiale nelle corsie era già stato
tentato timidamente negli anni ‘80, ma con risultati non troppo significativi e ambizioni comunque limitate: programmi per associare la presenza dei batteri nel sangue alla migliore cura antibiotica, algoritmi per collegare i parametri diagnostici alla presenza di un tipo di infezione al cuore, software in grado di interpretare le sfumature di radiografie e risonanze magnetiche alla presenza delle prime, piccole, tracce di un tumore. Oggi sono diffusi negli ospedali manichini che simulano le malattie per l’addestramento degli specializzandi. Le applicazioni per telefonini e computer che aiutano i medici a valutare alcune analisi o a dosare farmaci sono
in realtà poco più che calcolatori tascabili. Telecamere e reti web permettono le visite a distanza. Alcuni software usano simulazioni della realtà per prevedere l’andamento di un’epidemia. Speciali telecamere analizzano il movimento e lo sguardo dei bambini con un sospetto di autismo.
«Ma Watson, a differenza degli approcci precedenti, non si limita a applicare regole prefissate» spiega Chase. «Le regole sono scritte dai medici e non fanno passi avanti rispetto all’intelligenza umana. Il computer dell’Ibm invece, grazie alla sua capacità di capire il cosiddetto “linguaggio naturale”, riesce a interpretare la letteratura che è stata immessa nel-
la sua memoria». Eliot Siegel, radiologo e “capo” del dottor Watson all’università del Maryland, si spinge fino a prevedere un futuro in cui il supercomputer entrerà in sala operatoria insieme al paziente, dialogando con il chirurgo sul modo migliore di condurre l’intervento. «Nellasuamemorianon c’è nulla di programmato in anticipo. Il sistema è capace di incorporare nuove informazioni e adattarsi al progresso delle conoscenze ». In una parola, Watson può essere considerato un computer “intelligente”.
I primi medici chiamati a collaborare con l’Ibm non fanno nulla per mascherare l’entusiasmo. Larry Norton, oncologo allo Sloan-Kettering, arriva a sostenere che: «Passeremo dal concetto di intelligenza artificiale a quello di saggezza. Il computer sa fare ipotesi, confrontarle con le condizioni reali e affinare la sua capacità di trarre conclusioni». Ma Enrico Coiera dell’Università del Nuovo Galles del Sud a Sydney, uno dei principali esperti di informatica medica al mondo, è più sobrio nei giudizi: «Silenziosamente, l’intelligenza artificiale ha già fatto il suo ingresso in medicina, e non solo. La stessa tecnologia usata da Google è una forma di intelligenza artificiale. Watson estende questo mododi ragionare all’ambito medico, con la spinta di una grande azienda alle sue spalle».
Con una tale potenza di fuoco, la capacità di leggere un milione di libri al secondo e ingurgitare l’intera Wikipedia come fosse una nocciolina, il supercomputer dell’Ibm — erede di quel Deep Blue che nel 1997 sconfisse Garry Kasparov alla scacchiera — ha già
avuto modo di far parlare di sé. A febbraio del 2011 ha sconfitto nel quiz tv americano
Jeopardy!
i detentori di due record: montepremi e puntate consecutive vinte. In un match dimostrativo contro cinque parlamentari, la macchina è stata surclassata solo dal deputato Rush Holt (a sua volta ex concorrente di
Jeopardy!).
Sviluppato a partire dal 2006, costato tre milioni di euro, grande come 10 frigoriferi e capace di interpretare domande scritte anche complicate, Watson ha un cervello da 80 teraflop. È in grado cioè di svolgere 80 trilioni di operazioni al secondo. Nella classifica dei cervelloni artificiali si piazza al 142esimo posto e quello in corsia sarà il suo primo lavoro retribuito. Se tutto andrà bene, l’Ibm conta in futuro di lanciarlo anche nella non meno intricata giungla della finanza.
Se ai primi medici chiamati a testare Watson l’idea di avere un cervello di silicio al proprio fianco non dispiace, per i pazienti l’abbraccio fra medicina e informatica rischia di infrangere ogni barriera di privacy. Soprattutto se l’accesso al database è condiviso con una compagnia di assicurazioni. «Laddove i dati di un malato sono immessi in un computer, servono assolutamente leggi robuste per proteggere la privacy» afferma Coiera. Ma Chase smorza ogni timore: «Ovviamente al paziente verrà chiesto il consenso. Mad’altrondequalèl’alternativa? Oggi un paziente che non riesce a ottenere una diagnosi certa va subito su Google. Rispetto a un motore di ricerca, è molto meglio affidarsi a Watson. Ne sono convinto, i pazienti non faranno mancare il loro consenso».