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 2012  dicembre 27 Giovedì calendario

GOOGLE

& CO., FISCO INEFFICACE–

Strada in salita per punire penalmente l’elusione. Soprattutto nel caso delle multinazionali del web. Ma anche nei casi delle realtà create su carta, dove la simulazione pura e l’intento doloso sono smaccati, spesso le procure si trovano con le mani legate: per questo è necessario rimetter mano al sistema penale tributario, introducendo sia l’elusione fraudolenta sia l’autoriciclaggio.
Mentre a Milano arriverà presto una banca dati incrociata per distinguere sul nascere chi non ha versato imposte e contributi perché è effettivamente soffocato dalla crisi e chi invece pone in atto una frode fiscale. A parlare è Carlo Nocerino, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Milano, specializzato in reati economici, che spiega a ItaliaOggi lo stato dell’arte della repressione penale dei fenomeni elusivi nel cuore economico del paese.
Domanda. Partiamo dall’attualità e più in particolare dalle attività di controllo fiscale sulle big di internet (Google, Amazon, Facebook ecc.). L’amministrazione finanziaria sta preparando delle apposite liste selettive per le verifiche. Visti i volumi in gioco, laddove siano individuate stabili organizzazioni occulte vi può essere anche rilevanza penale?
Risposta. Non ritengo che le vicende legate a queste multinazionali della rete possano o debbano riguardare esclusivamente il legislatore penale. Di certo l’attuale normativa non è in grado di tenere conto di realtà così strutturate. Ma a differenza dell’elusione pura, dove c’è una realtà produttiva italiana che finge di avere una capogruppo all’estero per pagare meno tasse, in questo caso il discorso è diverso, anche ai fini investigativi: Amazon, Google e altre sono multinazionali reali che esistono e che operano sul mercato mondiale tramite il web. È molto difficile dire che stanno producendo ricchezza e quindi reddito in Italia. Credo sia un problema più che altro fiscale, che deve essere risolto a livello sovranazionale, in quanto comune a diversi paesi.
D. Oggi sembra esserci un’attenzione ben diversa, anche in sede Ue, verso la pianificazione fiscale aggressiva che punta a spostare in maniera artificiosa gli utili verso paesi maggiormente attraenti dal punto di vista fiscale. E tra i pm?
R. È senz’altro così. Purtroppo però spesso le procure hanno le armi spuntate. È necessario intervenire dal punto di vista normativo per colmare certe lacune o incongruenze del sistema.
D. Per esempio?
R. Andrebbe introdotto il reato di elusione fraudolenta. Oggi si dibatte ancora se punire penalmente o no questi illeciti e in genere si contesta il reato di dichiarazione infedele (articolo 4 del dlgs n. 74/2000, ndr). Ma è un’ipotesi difficile da dimostrare, soprattutto quando le operazioni sono realmente esistenti e contabilizzate. Il criterio della non ragionevolezza economica è vago e indeterminato. E poiché l’amministrazione può comunque rettificare il reddito, tutelando così l’interesse pubblico, spesso la denuncia viene archiviata o finisce con un’assoluzione.
D. Se invece fosse previsto uno specifico reato?
R. Il rischio delle sanzioni penali sarebbe più concreto e questo dovrebbe costituire un deterrente maggiore al tax planning aggressivo. Viceversa si continuerà a inseguire l’elusione con l’unico risultato che, una volta scoperti certi meccanismi, questi si faranno sempre più sofisticati. È come un antibiotico che cerca di debellare un batterio che ogni giorno diventa più resistente.
D. Intanto però la procura di Milano sta cercando di percorrere strade più incisive.
R. Sì. Nei casi caratterizzati da simulazione assoluta di atti o da utilizzo di società offshore, stiamo già esercitando l’azione penale contestando direttamente la frode fiscale. Non si tratta più dell’articolo 4, ma dell’articolo 3 del dlgs n. 74/2000 (dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, ndr). La pena è più severa e può arrivare fino a sei anni di reclusione. Questa ipotesi presuppone però la dimostrazione del falso contabile.
D. La delega fiscale si è arenata con la fine del governo Monti. Il restyling delle sanzioni tributarie, incluse quelle penali, avrebbe risolto le lacune e le incongruenze del sistema?
R. Di certo la disciplina dell’elusione e dell’abuso del diritto potevano aiutare a dare certezza alle imprese. Ma quello che ci vuole è una riforma del diritto penale tributario a 360 gradi: ancora oggi l’evasore totale è punito più lievemente dell’evasore parziale. Simili anomalie andrebbero cancellate. E va previsto il reato di autoriciclaggio.
D. Tema, quest’ultimo, richiesto a gran voce da più parti politiche, ma ancora ben lungi dal divenire realtà.
R. In parlamento giacciono alcuni ddl, che però non sono mai riusciti a procedere. È una priorità. Siamo abituati a pensare al riciclaggio come lavaggio di denaro sporco proveniente dal racket o comunque dalla criminalità organizzata. Ma altrettanto allarmante è il riciclaggio delle somme frutto di evasione e di elusione fraudolenta. Tutte quelle operazioni che l’evasore mette in piedi per impedire la tracciabilità dei flussi del denaro “nero” oggi non sono punibili, a differenza che in altri ordinamenti. In un’era dove la lotta all’evasione è giustamente una bandiera dell’azione di governo, poter applicare le pene del riciclaggio (più severe di quelle dei reati tributari) verso chi istiga alle frodi risulterebbe fondamentale. L’autoriciclaggio impedirebbe l’offerta di veri e propri kit dell’evasione tutto compreso da parte di sedicenti professionisti che «vendono» sia il meccanismo per schivare il fisco sia gli strumenti per portare i soldi all’estero.
D. A che punto è l’istituzione di una banca dati condivisa tra la procura di Milano e l’amministrazione finanziaria per calibrare meglio l’azione penale nei reati fiscali?
R. Il progetto sta andando avanti. L’idea è quella di creare un ufficio unico antievasione presso la procura. Ci sono state riunioni con l’Agenzia delle entrate, l’Inps e la Gdf. Stiamo sperimentando il collegamento tra i diversi database per cercare di individuare a monte tutta la fenomenologia e la patologia che sta dietro agli omessi versamenti. In questo modo potremmo scoprire sul nascere le crisi di liquidità giustificate, che consentirebbero di abbandonare l’azione penale. Ma anche scovare in itinere molte condotte criminose, tra cui le frodi carosello Iva.
D. In procura ricevete ogni anno migliaia di denunce per violazioni delle norme fiscali. La maggior parte finisce in un nulla di fatto. Quali soluzioni per deflazionare questi numeri?
R. Per esempio quella di stabilire che l’estinzione totale del debito tributario, anche a seguito di adesione, annulli il reato (e quindi il processo). Oggi il pagamento del dovuto è condizione indispensabile per accedere al patteggiamento. Bisognerebbe avere un po’ più di coraggio e introdurre lo stop automatico della vicenda penale, sulla base di un principio elementare: una volta che la parte lesa (cioè il fisco) è soddisfatta, non c’è motivo per proseguire un procedimento che è costoso per tutti.



Pagina a cura di Valerio Stroppa