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 2012  dicembre 24 Lunedì calendario

IL RE DI ARCORE FERITO NEL SALOTTO DI GILETTI

ATTENZIONE sempre al linguaggio del corpo di Silvio Berlusconi, ma specialmente in campagna elettorale.
PREMESSO che c’è un che di eroico e disperato nel modo e nella vitalità con cui il Cavaliere affronta questo tour de force televisivo, la novità che deve suonargli sintomatica e allarmante è che con le dovute e comprensibili eccezioni i conduttori non strisciano più — e se il verbo suona un po’ forte, il fenomeno è così antico che assai prima dell’invenzione del piccolo schermo il barone Paul H. D. d’Holbach, compagno di Diderot all’Enciclopedia, aveva scritto un «Saggio sull’arte di strisciare ad uso dei Cortigiani» (Melangolo, 2009).
Comunque lo si è visto qualche giorno fa con Vespa a Porta a porta e ancora di più ieri pomeriggio con
Massimo Giletti a Domenica In. Entrambi inaspettatamente, o forse no, hanno mostrato un certo piglio, un certo polso, una certa inedita fermezza nei riguardi del Cavaliere; come se volessero mostrare al pubblico che il tempo dell’ossequio è giunto alla fine. E questo costituisce senz’altro un problema aggiuntivo per un grande leader, ma altrettanto viziato da chi nei talk-show ha sempre cercato di tenerselo buono con inquadrature di favore, fondali accattivanti, applausi in studio, zero interruzioni, ingegni di scena, filmati e testimonianze di supporto, a parte il personale e manifesto favore del conduttore — che poi sono le cose che costruiscono il consenso.
Sta di fatto che Vespa, il quale nel 2008 era arrivato ad annusare la mano del neo presidente trionfatore per coglierne l’eventuale ”odore di santità”, l’altra sera gli ha anche propinato alcuni personalizzati frammenti dello show di Benigni su cui l’ex premier — non si è capito se informàtone preventivamente — ha dovuto prodursi nel classico buon viso a cattivo gioco. Ma certo stavolta non avrebbe chiamato Vespa “dottor Fede”, come invece accadde con significativo lapsus a suo tempo.
Mentre ieri la muta e sonante reazione di Berlusconi nei confronti di Giletti ha offerto uno spettacolo nello spettacolo. Prima è parso di cogliere un palese fastidio con sbuffi, mani sul collo, occhiate di traverso, testa eretta tenuta all’indietro, gambe accavallate e riaccavallate, tutti segni di diffidenza e di chiusura. Anche il sorriso, pure sollecitato dal conduttore, scopriva i denti, per niente rassicuranti.
L’ex premier come al solito voleva parlare e parlare e parlare, come sempre tutti o quasi gli hanno consentito. Le solite tirate torrenziali, 10-12-15 minuti, con elencazioni di concetti e di numeri, veri e propri sproloqui al limite del narcotico e perfino anti-televisivi.
Ma solo a lui — ecco il punto — consentiti. Giletti invece, che pure è un piemontese compito e riguardoso, l’ha interrotto. Una, due, tre volte.
A quel punto il Cavaliere ha fatto finta di abbandonare lo studio di Domenica In come fece effettivamente nel 2006 con Lucia Annunziata. Si è alzato in piedi, poi si è rimesso a sedere, ma subito dopo si è ancora rialzato, “Me ne vado — ripeteva — me ne vado”. Un po’ come fanno i venditori alle fiere — e lui, come si legge in “Guzzanti vs Berlusconi” di Paolo Guzzanti (Aliberti, 2010) da giovane ha anche venduto elettrodomestici. Ma un altro po’ anche perché sinceramente sorpreso e seccato di aver perso per la prima volta potere e autorità sul video; e allora ha cercato di riguadagnare un certo tipo di distanza con l’interlocutore sovrastandolo sul piano fisico, tanto che la seconda volta Giletti si è dovuto alzare anche lui perché Berlusconi continuava a concionare all’impiedi e con le mani giunte — “a guglia”, altro segno di superiorità — e lui sulla poltroncina.
E sempre che tali faccende abbiano un qualche interesse politico, per non dire collettivo, va da sé che le modalità e le strategie messe in atto anche inconsapevolmente in questo genere di performance si capiscono molto meglio rivedendo il filmato senza audio, o almeno assegnando alle parole un valore relativo.
In questo senso, e sulla base di quanto scrivono i due psicoterapeuti Allan e Barbara Pease nel loro fondamentale “Perché mentiamo con gli occhi e ci vergogniamo con i piedi?”
(Rizzoli, 2005), la scena più significativa e a suo modo anche spassosa è avvenuta proprio alla fine della trasmissione. E precisamente quando, dopo una stretta di mano a braccio rigido del genere che gli esperti di body language definiscono “tritaossa” (e a cui attribuiscono 0/10 cioè il massimo di insincerità) Berlusconi ha allestito una specie di balletto attorno a Giletti raccomandandogli di seguire l’esempio di Barbara D’Urso, “che è bella e anche molto brava e...”.
E qui si è fermato una frazione di secondo prima di passare all’aggettivo — “e gentile!” — che polemicamente gli premeva di sottolineare. Però nel mentre pronunciava quella parola aveva già sfoderato, come un pugnale, il dito indice, e poi davanti a qualche milione di telespettatori Berlusconi l’ha piantato sul cuore del conduttore.
Piccoli simbolici assassini televisivi e rivelatori di qualcosa che sta mutando nel pieno del medium, la tv, che ha favorito e in ogni accompagnato il berlusconismo. Il messaggio si fa tosto, e ancora una volta, più del bla-bla elettorale, sono i corpi a farlo capire.