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 2012  dicembre 27 Giovedì calendario

Intervista a Diego Abatantuono – «Sì... sono io, sono Bruno, l’orso». (Diego Abatantuono presta la voce all’orso della celebre pubblicità Vodafone e adesso ride, questo essersi molto calato nel personaggio lo diverte, però il metodo Stanislavskij non c’entra

Intervista a Diego Abatantuono – «Sì... sono io, sono Bruno, l’orso». (Diego Abatantuono presta la voce all’orso della celebre pubblicità Vodafone e adesso ride, questo essersi molto calato nel personaggio lo diverte, però il metodo Stanislavskij non c’entra. Sentite). «L’esperimento di metterci solo la voce è andato al di là delle attese. Un successo così non mi capitava dai tempi di Eccezzziunale. La gente si ferma: "Auguri, Bruno!". Vogliono che gli firmi l’autografo con il nome Bruno. I cesti natalizi indirizzati a Bruno. Mia suocera che addirittura pensava stessi, fisicamente, dentro il travestimento dell’orso. "Però, Diego, che agilità sui pattini..."». Come ha trascorso il Natale, l’orso Bruno? «Mangiando, e con un filo di malumore. Il contratto per la messa in onda degli spot scadeva proprio il 24 dicembre, e così io ho scoperto di avere due soli rimpianti, nella mia carriera: la fine della serie tivù del giudice Mastrangelo e l’idea che Bruno andasse in letargo. Il 25, però, scopro che gli spot sono andati lo stesso in onda e anche poco fa, alla tivù, ne ho visto un altro. Sono sorpreso e incuriosito. Ma io non sono il tipo che si arrabbia, penso che si trovi sempre una soluzione. Caratterialmente Bruno mi assomiglia molto. Fisicamente, un po’ meno. Io peso parecchio di più. Gli ultimi giorni, poi, sono stati micidiali. Tra l’altro io non mangio solo a tavola. Mi porto dietro la nevrosi alimentare degli anni del cabaret, una vita vissuta di notte, l’idea che ad un certo punto si debba finire per forza davanti al frigorifero, aprirlo e vuotarlo, è ancora, per me, assolutamente eccitante». È stato il primo, vero Natale di crisi. «Io l’ho sentita molto. Non sto qui a piangere, e so che tanti se la passano peggio. Penso a milioni di pensionati, di disoccupati... Però io vengo da una famiglia estremamente umile, e per diventare benestante devono passare prima due, tre generazioni. Ho due mogli, tre figli, parenti, amici e, per anni, com’era giusto che fosse, in tanti si sono un po’ appoggiati al sottoscritto. Aggiunga che il sottoscritto, e ne vado fiero, ha sempre pagato tutte le tasse. Così ora tra fare un film, o non farlo, mi cambia, e parecchio. Il guaio è che mentre per tipi come me, con un’adolescenza d’un certo tipo, rinunciare a qualcosa non è un problema, per altri la faccenda è tremendamente più dura. Sa perché questa crisi la sentiamo tanto forte? Perché per lungo tempo abbiamo nuotato felici nel consumismo. Perciò adesso negarsi l’ultimo telefonino, e io dovrei essere l’ultimo a fare questi discorsi, o un paio di jeans mezzi strappati, ci pesa in un modo pazzesco, oltre la logica». I Natali trascorsi al Giambellino. «Milano, casette popolari a schiera. Mio padre smise di fare il calzolaio quando, con il boom economico, la gente perse l’abitudine di far riparare le scarpe scoprendo che era molto più divertente comprarne subito un paio nuove. Allora s’inventò un altro mestiere e diventò "modellista": riduceva in scala le dimensioni delle navi che poi venivano ricostruite in miniatura. Il più bel regalo di Natale me lo costruì lui. Ricordo che mi alzai e chiesi cosa mi avesse portato Gesù Bambino, perché da noi a Milano in quei tempi passava addirittura Gesù Bambino, mica Babbo Natale... Mia madre, che facendo la costumista al "Derby" aveva un debole per gli sketch, disse: "Solo carbone, Diego". Poi mi voltai e vidi un plastico bellissimo, un fortino con dentro i cow-boy e tutt’intorno gli indiani. Per mesi, gli amichetti mi trattarono come un miracolato». I Natali ai tempi del Derby. «A pranzo, di norma, si stava con i genitori, in famiglia. Poi, di nuovo subito sempre insieme, come tutti gli altri giorni. Io, Teocoli, Boldi, Catania, Bisio, Faletti, i Gatti di Vicolo Miracoli, Beppe Viola... A parlare di lavoro, a suonare per il puro piacere di farlo... Al cinema, il pomeriggio di Natale, però, mai andati. La regola era di andare al cinema al primo spettacolo del lunedì. Mai perso un film di Woody Allen, e ricordo che dopo aver visto I tre giorni del Condor, seguì una discussione che durò, appunto, tre giorni. Eravamo molto politicizzati, sì». Questo è stato il Natale del ritorno di Berlusconi. «Se vuole, le parlo, e bene, di Berlusconi presidente del Milan. Con lui, non ci siamo mai divertiti tanto. Mi limiterei a parlare di questo... È tutto tremendamente chiaro. Io sono andato a votare alle primarie del Pd, e non mi chieda per chi ho votato, tanto non glielo dico. Però, ecco, sì: in quei giorni, ho ritrovato slancio, passione, speranza per la politica...». Il film che ci fece scoprire un nuovo Abatantuono fu «Regalo di Natale» di Pupi Avati. «Vede il destino? Venivo da un periodo complicato. Mi ero gestito molto male. Il successo giovanissimo, una quindicina di film dall’80 all’82. Da Tango della gelosia con la Vitti ad Attila flagello di Dio, passando per Eccezzziunale... veramente. Incassavano miliardi a palate. Ma capii che non potevo continuare all’infinito con lo stesso personaggio. Mi fermai, aspettai. E mentre aspettavo, preoccupato, mi ripetevo: dovrebbe chiamarmi un "tipo" alla Avati. Chiamò». «Il peggior Natale della mia vita» è il suo ultimo film. «Per astuzia o pura fortuna, vai a sapere, l’abbiamo fatto uscire a novembre, ed è andato benissimo. A Natale la gente non va più al cinema. Ora c’è grande attesa per i Soliti idioti. Però a me, confesso, la comicità di quei due ragazzi non fa ridere. Sarà che io ho imparato a ridere con Alberto Sordi, il più grande di tutti. Sul suo livello, forse, solo Walter Matthau, o il primo Jerry Lewis». Fabrizio Roncone