Marco Gasperetti, Corriere della Sera 23/12/2012; Mauro Covacich, ib., 23 dicembre 2012
L’UOMO DELLA FOTO CHE RACCONTO’ IL GALLISMO —
Era stato operato in autunno alla spina dorsale. Intervento riuscito, ma il male si era manifestato nuovamente. Nella villa di piazza Calda, sulle colline della sua Firenze, Carlo Marchi, 82 anni, imprenditore, marito di Gioia Falck (dinastia dell’acciaio), con la quale ha avuto tre figli, e fratello di Bona Frescobaldi (la famiglia del vino), ha combattuto contro un tumore con la forza di spirito che sempre lo ha contraddistinto. Poi si è arreso, assistito dalle tante persone che gli hanno voluto bene. Era un grande personaggio, Carlo, e non solo per la foto ormai famosa del ragazzo dal viso d’angelo sulla Lambretta diventata il simbolo del «latinloverismo», ma anche per la vita straordinaria tra Stati Uniti e Italia, New York e Hollywood. Marchi aveva una somiglianza sorprendente con Clint Eastwood e nella capitale del cinema veniva scambiato spesso per l’attore. Qui si era fatto molti amici, da Gregory Peck a Henry Fonda. E aveva avuto un flirt con la figlia di Henry, Jean, che poi, raccontò anni dopo, «era diventata antipaticissima». Studi in ingegneria ed economia, non aveva mai perso l’amore per Firenze dove sino all’ultimo qualche improbabile fan lo ha rincorso chiamandolo Clint.
Marco Gasperetti
Che un fotografo possa diventare famoso anche per un solo scatto può succedere (anzi, la storia della fotografia è piena di casi del genere). Ma che la fama venga dall’essere il soggetto fotografato, per di più un soggetto inconsapevole, questo appare più difficile. Eppure è ciò che è successo a Carlo Marchi, secoli prima di Instagram e YouTube. Il 22 agosto del 1951 la fotografa Ruth Orkin intende dar corpo letteralmente al concetto di gallismo italiano, così assolda una fotomodella, la fa passeggiare per le vie di Firenze e la segue con la sua Leica. Il risultato è «American girl in Italy», la seconda foto più venduta al mondo. Dieci uomini in ordine sparso sul marciapiede che spogliano con lo sguardo una donna mentre passa per strada. Carlo Marchi è il ragazzo seduto alla Lambretta, pullover, biondo, aria scanzonata, l’incarnazione del pappagallo di cui negli anni immediatamente successivi la serie cinematografica «Poveri ma belli» farà un vero e proprio prodotto di esportazione. La nostra fortuna e la nostra vergogna. Il maschio che possiede con lo sguardo, gli occhi sempre pronti, rapaci, innescati, fervidi di un’energia quasi tangibile, materiale, qualcosa di molto simile ai logoi spermatikoi del caro vecchio Democrito. Il seduttore mai pago, e per questo sempre vivo. L’infinito amatore in potenza, sempre attento a non sciupare l’occasione.Il latin lover era diventato un marchio, un motivo di curiosità per le straniere in vacanza (anche dopo la rivoluzione femminista): forse più per il piacere di essere «corteggiate» (un altro termine macho-stilnovista) che per gli incontri galeotti che potevano derivarne. Ovviamente basta una quasi impercettibile differenza nei modi perché il Don Giovanni diventi un lumacone e, oggi che nessuno rischia cadute di stile perché non c’è più niente da cui cadere, oggi che tutti ci guardiamo, tutti contro tutti, dai nostri cilindri trasparenti e ciechi, il lumacone è una semplice, torva certezza. Il bello è che Carlo Marchi si era allontanato anni luce da quella foto. Nel 1956 era già negli Stati Uniti dove, dopo aver studiato, fatto mille lavori e girato in lungo in largo, è diventato un imprenditore e si è sposato con quella che sarà la donna della sua vita. Tre figli e cinquant’anni trascorsi insieme. Una monogamia felice, l’utopia realizzata a dispetto del cliché a cui ha dato il volto. La sua esistenza è la miglior dimostrazione di quanto possa essere diversa la realtà dall’immagine pittoresca e troglodita nella quale il mondo ama ancora rinchiuderci (anche grazie alla complicità di qualche campagna pubblicitarie dei grandi brand del cosiddetto made in Italy).
Mauro Covacich