Ernesto Assante, la Repubblica 24/12/2012, 24 dicembre 2012
L’11
febbraio del 1963 i Beatles registrano il loro primo album
Please please me.
Sì, avete letto bene, l’11 febbraio, in un solo giorno, anzi per essere precisi in nove ore e quarantacinque minuti, in tre diverse session di tre ore l’una, negli studi di Abbey Road sotto l’attenta guida di George Martin. In poco meno di dieci ore, in un’unica giornata, la storia della musica pop cambia il suo corso, per merito di
quattordici brani, otto firmati dal duo Lennon-McCartney, sei cover di altri artisti. Non tutte le canzoni hanno come autori John Lennon e Paul McCartney, ma sono cover di altri autori, Arthur Alexander, Goffin e King, Burt Bacarach, Luter Dixon, Scott e Marlow, Medley e Russell, un misto di pop, rock’n’roll e soul, tutto tradotto, rivisto, suonato nel nuovo stile che nasceva nel Merseyside, nel cuore di Liverpool, al Cavern Club (e proprio al Cavern George Martin avrebbe voluto incidere l’album, il progetto originale era quello,
per catturare l’energia live della band, la forza del loro insieme).
Non saranno le cover, a parte
Twist & Shout,
a portare i Beatles in cima alle classifiche, ma le canzoni scritte da Paul e John, il suono e il look della band: elementi che messi insieme, resero tutto nuovo e rivoluzionario, inedito e travolgente. Il disco viene pubblicato a marzo, la band va immediatamente in tour, e l’album conquista la vetta delle charts, dove resta ininterrottamente per 29 settimane. Quello che i ragazzi avevano intravisto con i primi due singoli dei Four (sul punto di
diventare Fab) diventava adesso visibile a tutti, quella musica che fino ad allora aveva risuonato nelle piccole stanze del Casbah Club o del Cavern a Liverpool era ora nelle orecchie di un’intera generazione di giovani inglesi e si apprestava a conquistare il mondo.
Era impossibile non lasciarsi scuotere dal brano che apriva l’album,
I saw her standing there.
Ma c’erano anche
Love me do, P.s. i love you
e il brano che dava il titolo al disco,
Please please me,
a scatenare l’entusiasmo. C’era tutto: il r’n’r di Elvis, l’urlo del blues, l’arte del
pop, c’erano i sogni di una generazione che era nata durante la guerra e voleva che il mondo fosse completamente diverso, c’era il desiderio di affermare la gioventù e il cambiamento, il divertimento e la passione. E Lennon & McCartney sapevano interpretare questo sentimento con leggerezza, con immediatezza, con originalità, con il «piccolo aiuto dei loro amici», George, che canta
Chains
e
Do you want to know a secret
e Ringo, che intona
Boys.
Ancora oggi, a cinquant’anni dall’uscita del disco, un tempo enorme se calcolato con il metro del pop,
Please please meresta
un assoluto gioiello: magari datata, ma come perfetta fotografia dell’alba degli anni Sessanta è incredibilmente attuale, fresco, coinvolgente. La registrazione dell’album costò 400 sterline, ognuno dei quattro ricevette la paga sindacale di 21 sterline e mezzo per le nove ore di lavoro. Ma il futuro del rock era iniziato e nulla sarebbe stato più lo stesso.