Antonio Carioti, Corriere della Sera 24/12/2012, 24 dicembre 2012
All’indomani del 25 luglio 1943 Benito Mussolini, privato del potere e arrestato per ordine del re, è politicamente finito
All’indomani del 25 luglio 1943 Benito Mussolini, privato del potere e arrestato per ordine del re, è politicamente finito. Il suo progetto di forgiare un popolo guerriero e di fare dell’Italia la potenza egemone nel Mediterraneo è miseramente fallito. L’intervento dei tedeschi, che lo liberano dalla prigionia e lo mettono a capo di uno Stato satellite del Terzo Reich, non può rianimarlo. E il Duce ne è dolorosamente consapevole, come emerge di continuo dal suo carteggio con Claretta Petacci, ora finalmente accessibile agli studiosi, nella stagione cupa della Rsi. Fin troppo eloquente è la documentazione offerta dal libro di Mimmo Franzinelli Il prigioniero di Salò (Mondadori, pp. 202, € 19). «Io sono un cadavere vivente e ridicolo. Soprattutto ridicolo», scrive Mussolini nel febbraio 1944. «Io sono un fantoccio grottesco», ribadisce nel gennaio 1945. Fiaccato ma non sprovveduto, il capo della Rsi non ha speranze: soffre la prepotenza dei tedeschi, che hanno di fatto annesso vaste zone dell’Italia nordorientale, e sa che la massa della popolazione detesta lui e i suoi seguaci, dei quali peraltro non si fida un granché. Si aggrappa all’amore per Claretta, la quale cerca di scuoterlo ostentando un patologico fanatismo filonazista. La sorte è stata perfida con Mussolini, poiché questo privatissimo carteggio ci permette di conoscere a fondo la sua intima fragilità umana, ben distante dalle pubbliche pose marziali, nel momento della disgrazia: un caso simile a quello di Cicerone, le cui lettere, tramandate fino a oggi, svelano i tormenti interiori dietro la maschera dello statista. Eppure per quel Duce depresso e superstizioso, ridotto a recitare controvoglia un copione posticcio, molti giovani rischiarono e persero la vita. Un paradosso che rende ancora più tragica la vicenda di Salò. Antonio Carioti