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 2012  dicembre 23 Domenica calendario

FINANZA 3.0, LA BISCA DEGLI ALGORITMI

La Finanza 3.0 è già qui, elusiva e pervasiva come una dimensione parallela alla Matrix. Esito estremo della rivoluzione informatica sulle Borse, fa scorrere in chilometri di fibre ottiche transazioni incessanti, velocissime e anonime (high-frequency trading o Hft), spostando milioni di dollari in un millisecondo, cioè in un intervallo di tempo 200 volte più rapido della velocità media di un pensiero umano.
Create da società di cui si servono investitori/speculatori di ogni stazza, grandi banche in testa (da Credit Suisse a Goldman Sachs, da Ubs a Morgan Stanley) e attive su ogni prodotto dei mercati (dalle azioni ai derivati), le Hft sono guidate da algoritmi sempre più sofisticati, plastici e aggressivi, e si muovono fuori dai radar istituzionali, all’interno di dark pools («vasche oscure», o «bacini») dislocate in una vera Borsa-ombra. Secondo gli apologeti — molti trader e turboliberisti — una simile finanza porta solo vantaggi (meno costi, più efficienza e liquidità infinita); secondo i critici — tra cui molti artefici disillusi delle Hft — siamo in presenza di un’alterazione profonda del mercato; alterazione che sarebbe, per vetero o neomarxisti, solo la prova ulteriore della distruttività intrinseca del Capitale. Per sondare le ragioni degli uni e degli altri (e il loro sovrapporsi) può aiutare un libro del reporter finanziario del «Wall Street Journal» Scott Patterson, intitolato proprio Dark Pools (Crown Business, pp. 368, $ 27), che innesca insieme fascinazione e inquietudine.

Ripercorrendo la lunga genesi della Finanza 3.0, Patterson ne ricostruisce le due sequenze-chiave. La prima ci porta- a metà anni Ottanta, in piena Reaganomics, e a Joshua Levine, il più geniale nerd del settore. A scoprirlo è Sheldon Mashler, boss di una discussa società, la Datek, nota per l’impiego del Soes (Small Orders Executions System), sistema di transazioni senza telefono che si svolgono in una virtuale «sala privata» del Nasdaq (la Borsa elettronica creata nel 1971, stesso anno della Datek) e ricorrono allo scalping, tecnica che assembla micro-profitti su ogni azione (la cui somma dà profitti ingenti). Di fatto, gli embrioni delle dark pools e di certe tecniche Hft. Dal Soes, Levine concepisce diversi programmi-spartiacque, fondati su algoritmi «attivi», capaci di «fiutare» le fluttuazioni di prezzo e comprare/vendere in anticipo sugli altri operatori; e soprattutto (siamo a metà anni Novanta) disegna The Island («L’isola»), concepita come lit pool («vasca illuminata» di transazioni automatiche), ma che si trasforma presto nella principale antagonista di Instinet (la prima dark pool), riempiendosi di trading-piranha di ogni tipo.
La seconda sequenza ha come protagonista principale Jerry Putnam, altro utopista della trasparenza «tradito», che nel 1999 lancia «Archipelago», un programma nato per far interagire tra loro proprio bacini come Island o Istinet, ma che ne diventa a sua volta concorrente, in uno scontro simile a quello che si vedrà nei social network. È in questa fase che la finanza informatizzata giunge a maturazione, arrivando proprio con Archipelago (in sinergia con Goldman Sachs) alla piazza del «Big Board», la Borsa di New York, e alle grandi majors, fino a quel momento più legate agli investimenti istituzionali. Da un lato, iniziano così le Algo Wars, con i vecchi algoritmi-paramecio (programmati come cellule per operazioni basiche) che evolvono in tessuti o «bestie» mutanti, in grado di apprendere e anticipare ogni variazione del mercato e degli altri algoritmi, imitando le reti neurali, le logiche fuzzy (le «sfumature» del pensiero) e la selezione naturale (come quelli usati da Peter Jackson per gli stuntmen virtuali scagliati in aria nelle scene di battaglia del film Il ritorno del re). Dall’altro — con altre società come la Tradebot di Dave Cummings o la potente Getco — si affinano le tecniche delle Hft, tutte tese a muoversi plasticamente tra mercati «in chiaro» e dark pools, facendo apparire e sparire le informazioni. Alla base c’è il latency arbitrage, che permette di entrare nelle oscillazioni di prezzo tra i due livelli, sfruttando per esempio la lentezza con cui il sistema Sip porta le informazioni dal Nasdaq alle dark pools: mentre viaggia un’informazione (un incremento, poniamo, dell’azione Intel da $ 20 a $ 20.02), predatori come Tradebot si inseriscono leggendola in anticipo, comprando l’azione prima che slitti nella dark pool e rivendendola subito con un guadagno di due centesimi (micro-profitto da scalping classico, da assommarsi poi a milioni di altri). E così è per altre tecniche come il layering, emissioni retrattili di «ordini fantasma», cancellati in un millisecondo per gonfiare/sgonfiare la domanda su una società quotata e specularvi.
Dopo il Flash Crash del 6 maggio 2010 (quando, per un malfunzionamento di certe macchine, l’indice Dow Jones crolla in pochi minuti di 700 punti), molti programmatori (come un altro fuoriclasse, Haim Bodek) sembrano meditare sul disastro; e lo stesso Patterson non vede più sacche di dark pools in un mercato più o meno bilanciato, ma l’intero mercato mostrificato in un’unica, diffusa dark pool, popolata di slot-machine e pokeristi. Eppure, mentre il volume di trading «alternativo» è cresciuto dal 15 del 2008 all’attuale 40 per cento, aumentando le difficoltà dei regolatori — dalla Sec americana al Mifid II di Bruxelles alla nostra Consob — già si profilano ulteriori salti per le Hft: un hardware più potente con raffreddamento ad azoto liquido (come nel Detonator di Hardcore Computer); algoritmi veloci al parossismo (quello della londinese Fixnetix che opera in picosecondi, cioè un millesimo di nanosecondo, che è a sua volta già un miliardesimo di secondo); e nuove estensioni di fibre ottiche (quella transoceanica tra New York e Londra progettata dalla Hibernia Atlantic) lanciate sui mercati globali, specie verso l’Est asiatico.
È una tendenza segnata, che porterà a una competizione all’ultimo sangue (a una distruzione non creatrice), sull’onda di algoritmi come il Disruptor della Nanex, che ha devastato il mercato «per eccesso di ordini»? Forse no, non del tutto. Non è impensabile, ad esempio, separare le Borse «casinò» dai mercati trasparenti, un po’ come il Glass-Steagall Act rooseveltiano separava banche commerciali e banche di investimento, il credito dal rischio. Anche se, come s’è visto, la fortuna delle Hft e delle dark pools si fonda proprio sullo slittamento anfibio tra il trasparente e il criptato.
Ma se una correzione consistente della tendenza è utopica, ci venga almeno risparmiata la sua difesa ideologica camuffata da neutralità tecnica: la dimensione Matrix delle Hft si traduce, scorrendo nelle fibre ottiche, in quella desolata di tante solitudini e disperazioni, il cui riscatto non può essere delegato solo a un film di Aki Kaurismäki o dei fratelli Dardenne.
Sandro Modeo