Gaia Piccardi, Corriere della Sera 23/12/2012, 23 dicembre 2012
CAROLINA, ANGELO DI FIL DI FERRO «CADO, MA NON MI SPEZZO MAI» —
Creatura eterea innervata di fil di ferro, Carolina Kostner ieri ha sbancato per la settima volta i Campionati italiani con un punteggio mostruoso (213,69, tre 10 per l’interpretazione e per l’esecuzione), vincendo in un pomeriggio che ha rasentato la perfezione («Ci sono piccole cose da sistemare e il fiato alla fine è ancora troppo corto, ma sono contenta, è un titolo che ha valore, mi dà fiducia, vedo che con i programmi di quest’anno ho preso rischi che pagano, però posso migliorare: anche le campionesse del mondo hanno ancora da imparare...») due sfide: reinterpretare con stile moderno e sexy, schiena nuda, vestitino nero cortissimo («Lo scopo non è essere seducente, ma lasciarmi andare e tirare fuori la donna che è in me»), lo scivolosissimo Bolero di Ravel e non nominare mai, proprio mai, Alex Schwazer.
Era un fantasma dentro l’Agorà di Milano, quel fidanzato che l’estate scorsa le infilò nel frigo le fialette di Epo spacciandole per vitamina B12, il ragazzo malato di vergogna e depressione che viaggia spedito verso una sospensione per doping di quattro anni e a cui Carolina non ha voltato le spalle; si è infuriata, l’ha insultato, ha pianto, ha chiesto tempo e spazio per riflettere e poi gli è rimasta accanto a distanza, la Kostner a Oberstdorf per gli allenamenti e Schwazer a Innsbruck all’Università, aggrappato allo studio e al cuore di Carolina come a due ancore di salvezza. Lei gli ha letteralmente salvato la vita, commenta lo staff della pattinatrice di Ortisei, il bruco diventato farfalla che lasciò casa a 13 anni per trasferirsi in un collegio in Germania dove le luci si spegnevano alle dieci e per inseguire il sogno del pattinaggio con un coach dell’ex Ddr, severo e per niente espansivo, lo stesso a cui, dieci anni e molte medaglie dopo (4 ori europei, 1 iridato, più tutto il resto), la Kostner si rivolge ancora con deferenza: «Herr Huth, come sono andata?». È lassù sulle Alpi, sottozero, proveniente da una famiglia che l’ha sempre supportata senza farle sconti, che Carolina si è chiusa nel mondo interiore che ha usato come corazza contro gli urti della vita, l’incolore presenza a Torino 2006 (ma c’era l’alibi dell’età e l’emozione del ruolo di portabandiera), il disastroso Mondiale di Los Angeles che sancì la fine dell’esperienza americana, la tragicomica Olimpiade di Vancouver (16ª dopo tre cadute in mondovisione nel libero), il tradimento pubblico di Alex, inebriato dall’illusione del doping, ogni volta Carolina è andata in pezzi e ogni volta li ha rimessi insieme con l’orgoglio della campionessa e la forza di quella terra dura e gelida dentro cui affonda le radici, nella sua valle la parola data è preziosa e lei aveva promesso ai genitori che li avrebbe ripagati di tutti i sacrifici, delle vacanze sfumate per pagare la retta del collegio, delle aspettative di un’ambiente algido e competitivo (madre ex pattinatrice, padre ex hockeista, il fratello più piccolo gioca in Finlandia), motore della sua ambizione, humus delle sue umanità e umiltà.
Poiché ciò che non ti uccide ti fortifica, ed è verissimo, Carolina si è rialzata dopo ogni scivolone, ha dato basi solide all’autostima (anche se ancora oggi trema prima di una gara e si domanda se varrà i soldi di un contratto pubblicitario), ha abitato la bolla in cui si parla ladino (a casa) o tedesco (con l’allenatore e il fidanzato) con crescente dignità, mettendo la giusta distanza tra sé e le cose (detesta rivedersi intervistata in tv e non legge i giornali che parlano di lei), a volte sembrando stranita, altre fredda, altre ancora antipatica, ma sempre vera, negli alti e nei bassi, perché Carolina dallo sprofondo dei burroni è capace di passare all’estasi del volo a planare, nata com’è per pattinare sul ghiaccio con grazia rara e non per tenere concione.
Per uno sponsor, recentemente, ha visitato le zone terremotate dell’Emilia: «Io non sono nessuno per dire a voi come ci si rialza». Eppure è la resilienza di Carolina, insieme alla sua bellezza assoluta sulla patinoire, la virtù che le colora l’anima. Il Mondiale 2009 la prende a calci; e lei lo conquista tre anni più tardi. Alex è uno zombie, apparentemente stressato dall’imminente Olimpiade, e lei mette in tavola la cena col sorriso, lo coccola come un bambino. «Dovevo sforzarmi, provare a parlargli e a cogliere i suoi pensieri» si rammarica oggi, come se un bacio avesse potuto evitare l’ineluttabile. Carolina è Carolina proprio perché ha attraversato, petto in fuori, tutte le tempeste. L’aspettano l’Europeo (Zagabria), il Mondiale (London), l’Olimpiade (Sochi). E una famiglia con Alex, che lei spera torni presto quello di una volta. Spiritoso, giocherellone, appassionato. Forte accanto alla sua donna forte. Che ogni tanto si piega, ma non si spezza mai.
Gaia Piccardi