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 2012  dicembre 23 Domenica calendario

L’ITALIA DELLE DISPARITA’

Gli articoli e i libri benemeriti di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, la logica elementare e il senso comune, a cui mi attengo con semplici ragionamenti, mi dicono che questo dei soldi sta diventando un problema serio, che bisogna arginare in qualche modo.
Attenzione: quando parlo di disparità economica, e dei danni che produce nella nostra società in tutti quei casi in cui supera un certo limite (che in Italia è ampiamente superato), io non ce l’ho con i ricchi: di quelli si occupa il Vangelo. E non ce l’ho con chi, medico, avvocato, attore, imprenditore e chiunque con la propria professione, spirito di iniziativa eccetera, guadagna cifre notevoli.
Ce l’ho con chi è ricco perché prende i soldi dello Stato, pensioni d’oro, vitalizi o altro, in base a calcoli che, anche se nelle singole voci sono giustificati, raggiungono somme inammissibili. Quando la politica distribuisce denaro pubblico creando colossali disparità di trattamento tra i cittadini, la tenuta della società ne soffre e nascono tensioni che è difficile controllare. È questa disparità tra chi è beneficato dalla politica e chi ne è fuori che crea antipolitica, invidia sociale, insofferenza, ribellione.
I giornali ci informano che sono circa sette milioni e duecentomila gli italiani che prendono una pensione inferiore ai mille euro. Sono loro «quelli che non ce la fanno ad arrivare alla fine del mese». Io per fortuna non faccio parte di quei sette milioni, faccio parte però di quel ceto medio ultratassato che per sostenere il suo ruolo e quel decoro che la società gli impone con obblighi di vario genere, si dà da fare in mille modi mettendo a frutto le proprie attitudini e le proprie capacità per aggiungere alla pensione quanto basta per far quadrare i conti del mese. E non sempre ci riesce, e spesso i conti risultano in rosso, e rimetterli in pari costa molta fatica. Questa è la condizione dello scrittore, dunque anche la mia, visto che scrivere è l’unica cosa che so fare. Perciò c’è una parte delle mie entrate che è «precaria», cioè incerta, e può durare fino a quando durerà la mia possibilità di scrivere e ottenere una qualsiasi collaborazione da un giornale. Quando non ce la farò più a scrivere mi resterà solo la mia pensione, e a quella dovrò adattarmi, cambiando il mio tenore di vita.
Come la mia, credo sia la situazione di molti scrittori. Solo pochissimi e fortunati vivono dei loro diritti d’autore. E così, quando guardo il certificato della mia pensione e vedo che quella lorda è ridotta di quasi un terzo dalle tasse, se so che quel terzo serve a pagare le pensioni di certi pensionati d’oro, pensioni da 10, 20, 30 e perfino 40.000 (mila!) euro al mese, io mi sento truffato.
Saranno state pur guadagnate, e perfino meritate quelle pensioni, ma — lo ripeto — la sproporzione in tempi come questi è insopportabile. Ma come? C’è gente che ogni anno prende l’equivalente di una vincita al totocalcio!? Che vince ogni mese un terno al lotto? Quale popolo sopporterebbe un sistema cosiffatto che privilegia in modo così esagerato i suoi commis? E sono questi gli stessi che hanno diritto di parola, e parlano in favore di chi non ce la fa ad arrivare col suo stipendio alla fine del mese? Per avere il diritto di parola costoro non dovrebbero tutti — tutti! — ridurre le loro pensioni a una cifra moralmente accettabile? Come si può ascoltare la predica di chi riceve pensioni esorbitanti come quelle indicate sopra, sindacalista, politico, giornalista, chiunque egli sia? Non parlino, per favore, di chi non ce la fa ad arrivare alla fine del mese!
La troppa disparità economica sta diventando in Italia una calamità morale, che potrebbe da un momento all’altro far esplodere il sistema. Chi ha, in realtà, non potrà mai, mai, capire veramente chi non ha, c’è un vuoto in mezzo, vuoto d’immaginazione e comunicazione, che porta all’indifferenza. Sto diventando come il grillo parlante di Pinocchio? O, qualcuno dirà, come un grillino parlante? E se invece ragionassi con la più semplice delle logiche? Quella della gente comune che sempre più numerosa non va a votare, la logica del 50 per cento dei non votanti?
Raffaele La Capria