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 2012  dicembre 23 Domenica calendario

ALITALIA, PIANO AD ALTA VELOCITA’. UN POLO CON FS PER EVITARE IL CRAC

Alitalia è ormai prossima al capolinea, ma non sarà la Cassa depositi e prestiti a salvarla, come ha chiarito l’amministratore delegato della medesima, Giovanni Gorno Tempini, nella conferenza stampa di fine anno. Il 13 dicembre, il consiglio di amministrazione di Alitalia ha preso atto del preconsuntivo 2012. Secondo le indiscrezioni, causa le perdite, i mezzi propri calano attorno ai 200 milioni e ancora caleranno nel 2013 con altri 100 milioni di perdite. Sempre che la Guardia di Finanza, da qualche giorno presente in forze negli uffici della compagnia, non ci aggiunga dell’altro. Il problema, a questo punto, è come evitare un nuovo crac. Qualche settimana di tempo ancora c’è, grazie a un pò di liquidità residua, circa 200 milioni. Ma non è su queste basi che Alitalia può continuare. Lo ha ammesso anche l’amministratore delegato Andrea Ragnetti in un’intervista a «Repubblica». Quello che Ragnetti non ha detto è come si può risolvere il problema.
Dal 12 gennaio prossimo, i 20 industriali italiani, che nel 2008 avevano risposto all’appello «patriottico» di Silvio Berlusconi per non vendere ad Air France, potranno finalmente cedere le loro azioni Alitalia. Il periodo di lock up sta per finire. Ma nessun compratore si profila all’orizzonte. Nemmeno Air France, oggi detentrice del 20% della compagnia, si è ancora fatta viva. Forse le bastano gli accordi commerciali già sottoscritti. Un cospicuo aumento di capitale è urgente, ma nel consiglio del 13 dicembre l’idea è stata accantonata perché, prim’ancora della ricapitalizzazione, serve una nuova idea di futuro. Se c’è.
A questo proposito ha destato curiosità la battuta del presidente, Roberto Colaninno: «Escludo che l’ingegner Moretti non sia interessato al destino di Alitalia». Colaninno non ha aggiunto altro. Ma l’ingegner Mauro Moretti è l’amministratore delegato delle Fs che, con il Frecciarossa, hanno eroso buona parte dei ricavi, e ancor più dei margini operativi, di un’Alitalia che ancora basava il suo bilancio sulla rotta Roma-Milano. La compagnia aerea è stata certo tradita dalla recessione e dal prezzo dei combustibili. Come tutte le sue concorrenti. Ma poi ha commesso un errore specifico. Ha sottovalutato l’impatto dell’alta velocità ferroviaria sul trasporto aereo nazionale. L’eccesso di ottimismo aveva contagiato sia i 20 industriali "patrioti" sia il banchiere Corrado Passera, allora capo di Intesa Sanpaolo, banca di casa dell’Alitalia berlusconiana e pure di Italo, il treno di Della Valle e Montezemolo che cerca di fare concorrenza al Frecciarossa.
Nei mesi scorsi, prevedendo esattamente dove sarebbe arrivata Alitalia, Moretti non nascondeva il suo pensiero: la compagnia può sopravvivere a condizione di cambiare radicalmente il modello industriale; la finanza viene dopo. Dove c’è l’alta velocità, Alitalia si ritira. Anche dalla Roma-Milano. Le altre rotte, se interessanti, vanno affidate in gestione a vettori low cost trattenendo in capo alla compagnia le funzioni commerciali e strategiche. La flotta di Alitalia va quindi riallocata sul medio raggio tra grandi poli metropolitani, per esempio Napoli-Parigi, e soprattutto sul lungo raggio verso il Medio e l’Estremo Oriente, le aree del mondo a maggior sviluppo. L’intera catena logistica va quindi ridisegnata, sviluppando le stazioni ferroviarie e gli aeroporti intercontinentali con collegamenti assai più rapidi e comodi di quelli attuali. Si tratta di investimenti che Fs può trovare convenienti avendo una forte partecipazione e adeguate funzioni d’indirizzo e controllo nella compagnia aerea, mentre oggi c’è un’Alitalia zoppicante che cerca accordi con la fragile Ntv, partecipata dalle ferrovie statali francesi che fanno ostruzione ai progetti di sviluppo delle ferrovie statali italiane in Francia. Tra i soci di Alitalia, che fin d’ora appoggerebbero con entusiasmo la «carta Moretti», in prima fila figurano i Benetton, azionisti di Fiumicino e, con Fs, di Grandi Stazioni.
Nella logica morettiana, un intervento in Alitalia sarebbe subordinato a tre condizioni. La prima è la possibilità di ridisegnare il gruppo Fs, isolando in una specifica Spa la parte di Trenitalia che lavora a prezzi di mercato e che potrebbe essere deputata anche a seguire il nuovo business. Si tratta di un segmento del gruppo Fs capace di 1,7 miliardi di ricavi con un margine operativo prima degli ammortamenti di 570 milioni e un margine netto di 230. La seconda condizione è un’intesa industriale con Air France, trattata dalle Fs in un quadro globale da Paese a Paese. In questo quadro, la vigilanza dell’Antitrust dovrebbe assumere un respiro europeo e non provinciale, come spesso è finora accaduto. La terza condizione è la presa d’atto da parte degli attuali soci di Alitalia che non un euro verrà loro dato da Fs. Vogliono partecipare alla ricapitalizzazione? Porte aperte. Non se la sentono? Amen, si diluiranno.
Se questo disegno andasse in porto, l’Italia avrebbe una nuova società del trasporto aereo e ferroviario, con possibilità di integrazioni a parte nel ramo strategico della logistica. L’ingresso di investitori finanziari in vista del collocamento in Borsa — banche o Fondo strategico della Cdp, poco importa — non sarebbe un’eresia ove si pensi al supporto che aveva avuto quattro anni fa l’improbabile salvataggio voluto da Berlusconi.
Massimo Mucchetti