Giulia Ziino, Corriere della Sera 23/12/2012, 23 dicembre 2012
FEBO E LA MOGLIE, IL DOPPIO ADDIO. QUEGLI (ETERNI) SODALIZI D’AMORE
Lo racconta Ovidio nelle Metamorfosi. Quando Zeus disse che avrebbe esaudito ogni loro desiderio, Filemone e Bauci, marito e moglie, chiesero una cosa sola: poter morire insieme. Avvicinandosi la morte, il dio trasformò i due vecchi contadini in una quercia e in un tiglio, uniti per il tronco. Simbolo eterno dell’amore che non vuole sopravvivere alla fine dell’amato, o dell’amata.
Anche Italia Vaniglio non ce la fatta: giovedì è morta, a Desenzano del Garda, stroncata da un infarto. Quattro giorni prima se n’era andato per sempre suo marito Febo Conti, pioniere dei quiz in tv. Ottantasei anni entrambi, cantante lei, lui storico volto di Chissà chi lo sa? nell’Italia degli anni Sessanta, le loro ceneri saranno sparse nel mare del Brasile, dove avevano casa. Si erano sposati nel 1953, un matrimonio lungo una vita e una vita che, quando l’altro viene meno, forse si fa fatica a vivere. Come Fellini e Giulietta Masina (lei gli sopravvisse solo 5 mesi) o Valentino Bompiani e la sua Nini Bregoli (lui scomparso nel febbraio del ’92, lei 6 mesi dopo): coppie che, quando se ne vanno via a così breve distanza l’uno dall’altra, sembrano come iceberg: sodalizi esclusivi di vita e lavoro, difficili da immaginare mentre le famiglie si allargano e i rapporti perdono i contorni e si sfilacciano.
«Tecnicamente si chiama tako-tsubo, o sindrome del cuore infranto», spiega Claudio Mencacci, direttore del dipartimento di salute mentale dell’Ospedale Fatebenefratelli di Milano e presidente della Società italiana di psichiatria. Il nome viene dal giapponese ed è quello della trappola per catturare i polpi: il cuore ne prende la forma strozzata. Cuore spezzato, senza metafore: «Un’emozione intensa come un lutto — continua Mencacci — può cambiare il ritmo cardiaco e la viscosità del sangue. I vedovi hanno un rischio tre volte maggiore di morire entro 6 mesi dalla scomparsa del coniuge».
Questo il punto di vista strettamente medico. Poi le ragioni profonde vanno cercate lontano: «Nel desiderio profondo di rimanere uniti anche oltre la morte: per chi ama si tratta di un auspicio, un desiderio intenso soprattutto nei primi mesi del lutto, poi si impara a trasformare e a elaborare». Non tutti: «Se la persona che resta non ha punti di riferimento (la fede religiosa o una visione spirituale della vita in senso laico, o figli e nipoti) — continua Mencacci — quando l’altro viene a mancare si trova ad affrontare una fine del mondo in vita e non la conclusione di un periodo». A stare soli si impara, ma alcuni non lo fanno: «Chi non ha sviluppato durante il corso degli anni gli strumenti per affrontare la solitudine, per vivere indipendentemente dal compagno, quando si trova di colpo senza l’altro, che per lui rappresentava tutto, vede la vita come una condanna».
Lo smarrimento, nota Mencacci, è più forte negli anziani. Ma non solo: la storia racconta di Jeanne Hébuterne, musa e compagna di Amedeo Modigliani, suicida a 22 anni il giorno dopo la morte di lui. Storie lontane nel tempo o che hanno per protagonisti uomini e donne di un’altra generazione, fa notare Elena Pulcini, professore di Filosofia sociale all’Università di Firenze: «Non è un caso — chiarisce —: Conti e Vaniglio, Vianello e Mondaini sono coppie nate e cresciute in un’epoca in cui il matrimonio era vissuto, dai più, come un impegno assolutamente profondo, ecco il perché di questa "fusionalità" tra i coniugi». Un fattore culturale, ma non solo: «Il matrimonio — continua Pulcini — rispondeva a un bisogno profondo di stabilità, di visione progettuale e duratura della vita. Oggi quel bisogno non è venuto meno ma non trova più la risposta nell’istituzione matrimoniale: le alternative però non sono facili da trovare». Il bisogno di un continuum d’amore, spiega Pulcini, esiste ancora ma ha perso legittimità e consistenza nel nostro sistema valori, per questo ci colpiscono tanto unioni così salde. Siamo più liberi e più individualisti: un bene nel momento in cui restiamo soli ma la nostra è anche paura di rimanere coinvolti in una passione così grande: «Dovremmo, pur nell’acquisizione di maggiore libertà, recuperare il senso di queste unioni senza vergognarcene. Un eccesso di autodifesa, infatti, finisce con lo spegnere le passioni».
Giulia Ziino