Ugo Bertone, Libero 21/12/2012, 21 dicembre 2012
La Cassa Depositi fa gola ai partiti – Nel corso del 2012 la Cassa Depositi e Prestiti ha effettuato, tra investimenti e finanziamenti, erogazioni per 20 miliardi circa ad imprese ed enti pubblici
La Cassa Depositi fa gola ai partiti – Nel corso del 2012 la Cassa Depositi e Prestiti ha effettuato, tra investimenti e finanziamenti, erogazioni per 20 miliardi circa ad imprese ed enti pubblici. Una cifra che vale grosso modo l’uno per cento del pil italiano.Con un paradosso, nemmeno troppo forzato, si può dire che, senza la Cdp, la caduta dell’economia italiana, sotto del 2,5 per cento rispetto ad un anno fa, sarebbe stata ben superiore al 3 per cento. Basta questo numero a giustificare la definizione di nuova Iri che ormai accompagna la Cassa. E che, tutto sommato, non dispiace a Franco Bassanini che ieri, si è spinto a sottolineare che «la crisi costringe ad utilizzare tutti gli strumenti per uscirne, e in questo il ruolo della Cassa è strategico» perché occorre «usare le risorse della società pubblica per fare politiche keynesiane ». Di qui la facile previsione che il futuro della Cdp, i cui vertici scadono in primavera, sarà oggetto di grande attenzione da parte delle forze politiche. Soprattutto da parte dei piccoli Roosevelt (piccoli per davvero) che pullulano nei pensatoi dell’area di Bersani a caccia di tesoretti pronta cassa. Ancor più facile, perciò, prevedere che nei prossimi mesi si moltiplicheranno le pressioni nei confronti dei vertici uscenti e le richieste nei confronti di questa grande cassaforte del risparmio italiano. Già, perché corre una grande differenza tra il vecchio Iri, che marciava a con il propellente dei fondi di gestione votati in Parlamento, e la Cdp, alimentata dal risparmio postale. Gli amministratori della Cassa devono, come del resto hanno sempre fatto, tener presente che i quattrini loro affidati rappresentano depositi «a vista » che possono essere ritirati in ogni momento. C’è un secondo elemento che distingue la Cdp dalla vecchia Iri. Dopo l’accordo che ha trasformato le quote in mano alle Fondazioni da titoli di risparmio ad azioni ordinarie, oggi lo statuto della Cdp prevede che l’amministratore delegato venga scelto dall’azionista di maggioranza (cioè il ministero dell’Economia) mentre il presidente sia designato dal socio di minoranza, ovvero l’Acri, espressione delle Fondazioni. Visto il pubblico plauso decretato da Giuseppe Guzzetti all’attuale presidente Franco Bassanini, si può pensare che questa nomina sia blindata. Per l’ad si vedrà più avanti. Ma la filosofia di intervento, salvo intromissioni imprevedibili, non dovrebbe cambiare. Il secco no ad un possibile intervento per Alitalia, così come il confronto con Finmeccanica sulla sorte della Ansaldo Energia e quello con Telecom Italia sulla rete dimostrano che, almeno per ora, la Cdp keynesiana si è sottratta alla tentazione di far beneficenza. Il che non è male. Piuttosto che perdersi dietro il quesito di scuola sul confronto tra la vecchia e nuova Iri, merita semmai guardare con attenzione alla compravendita del 4,5% delle Generali già in mano alla Banca d’Italia. Si è molto guardato, come è ovvio, all’aspetto politico della questione, è passato in secondo piano il ruolo “tecnico”chela squadra della Cassa si accinge a svolgere per conto della Banca d’Italia. Toccherà alla Cdp, infatti, pilotare la cessione della quota Generali, valore più o meno di un miliardo di euro, senza provocare anomalie di prezzo o favorire acquisti privilegiati. Una missione già effettuata con successo in estate, quando la Cassa, con un esborso in commissioni di poche centinaia di migliaia di euro, è riuscito a collocare il 4% dell’Eni, come previsto nel protocollo dell’operazione Snam. In quell’occasione sono andate deluse le attese di intermediari, banche d’affari e consulenti abituati a ricche prebende. Come accadeva nella vecchia Iri di Albero Beneduce, lo suocero di Enrico Cuccia. In questo senso ben venga lo spirito della vecchia Iri. Senza perdersi in troppe promesse ai nuovi Roosevelt.