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 2012  dicembre 22 Sabato calendario

DETROIT, CAPITALE DELL’AUTO ORA RISCHIA IL FALLIMENTO


Il comune di Detroit rischia il default. Incapace di tirarsi fuori dai gravi problemi finanziari che lo affliggono, la patria di General Motors, Ford e Chrysler sta lottando contro il commissariamento, mentre non è escluso neanche il successivo ricorso alla procedura della bancarotta legale. Si tratterebbe del più grosso fallimento di un municipio nella storia degli Stati Uniti, un’umiliazione per Motown, la città dei motori, che però la proteggerebbe dai creditori, congelandone i beni mentre provvede al proprio risanamento.
Le stime dell’agosto scorso prospettavano un deficit di 62 milioni di dollari (47 mln euro) al 30 giugno 2013. Successivamente, però, le previsioni per ottobre e novembre 2013 sono salite rispettivamente a 84 milioni di dollari (63,6 mln euro) e 122 milioni (92,4 mln euro). Intanto Moody’s ha abbassato il rating della città, segnalando la probabilità che Detroit attivi la procedura di bancarotta o venga comunque meno ai suoi obblighi nel giro di 12-24 mesi.
La città dei Big Three dell’industria automobilistica ha fatto il primo passo verso il commissariamento il 4 dicembre, dando il via alla verifica delle proprie finanze da parte dell’amministrazione dello Stato del Michigan. Ufficializzati così i problemi di liquidità dell’ex metropoli, il Michigan può dichiararne l’emergenza fiscale, mettendo la situazione in mano a un commissario straordinario.
I fattori della crisi comunemente indicati sono principalmente due: la cattiva gestione e la catastrofe demografica. Il susseguirsi di deficit colossali viene attribuito alla corruzione politica e agli aumenti degli stipendi dei dipendenti pubblici. Ma conseguenze drammatiche sono arrivate anche dallo spopolamento avvenuto fra il 2000 e il 2010, che ha ridotto la base imponibile senza che si siano ridotte le spese per riparazione delle strade, illuminazione, raccolta rifiuti e servizi di emergenza. La città copre infatti un’area di 360 chilometri quadrati, che potrebbe ospitare le città di Miami, San Francisco e Minneapolis messe insieme, come negli anni 50 quando ci vivevano in quasi 2 milioni e non i 714 mila di oggi. L’ultimo censimento mostra la stupefacente riduzione demografica del 25% avvenuta nel giro di un decennio: una catastrofe senza eguali nel mondo sviluppato, se si esclude la New Orleans devastata dall’uragano. Un ufficio in centro a Detroit costa oggi 80 dollari al metro quadrato.
La nomina di un manager finanziario d’emergenza mirerebbe a evitare la bancarotta o perfino il fallimento senza paracadute, ma attirerebbe l’ira dei cittadini, convinti che la città possa badare a se stessa. Non a caso Detroit si era già opposta a una blanda commissione di controllo istituita nell’aprile scorso, comprendente componenti scelti dallo Stato del Michigan. Detroit, che oltre a essere patria dell’industria automobilistica è anche la culla del sindacalismo americano, è finita al centro delle notizie negli ultimi giorni anche per effetto della decisione del parlamento del Michigan di vietare l’obbligatorietà del tesseramento e dei contributi sindacali.