Alain Elkann, la Stampa 23/12/2012, 23 dicembre 2012
L’EUROPA USCIRÀ DALLA CRISI ALLA FINE DEL 2013
Lucrezia Reichlin è professore ordinario presso il dipartimento di Economia della London Business School.C’èmoltadifferenza con le università italiane?
«Anche se ci sono aree di eccellenza, chi vuole specializzarsi tende ad andare all’estero e a rimanerci. Questo era vero per la mia generazione, ma vale ancora adesso».
In Italia non si parla che di crisi economica: come stanno veramente le cose?
«Di economia si parla ovunque dopo la crisi del 2008. Sembrava che le cose si riprendessero, ma in realtà in Europa, che è in recessione, le cose sono andate peggio a partire dall’estate 2011. E negli ultimi 20 anni Italia è cresciuta molto meno di altri Paesi europei».
Per quale ragione?
«Con l’accentuazione della globalizzazione e con le nuove tecnologie il modo di competere nel business è molto cambiato, ma l’Italia non ha saputo competere e mettere in atto questi cambiamenti. Si è creata così una sclerosi del sistema produttivo. Con governanti irresponsabili e debito pubblico molto alto».
Ma anche gli Usa hanno un debito pubblico molto alto...
«Sì, ma meno dell’Italia e con una crescita potenziale maggiore e un peso del debito minore. Per di più gli Stati Uniti non hanno il vincolo dell’euro ma una loro banca centrale che se le cose andassero peggio interverrebbe subito».
Ne usciremo da questa crisi?
«Il problema è il come, ma anche il modo in cui si modificheranno le nostre istituzioni affinché si possa rimanere in Europa. Se si vuole la moneta unica, è possibile che la politica europea ci renda meno sovrani, ma è un’opportunità che ci permette di giocare un asse economico più importante».
E l’Inghilterra che non è nell’euro?
«È un Paese che, anche se indebitato sia sul piano pubblico che privato, è cresciuto più dell’Italia negli anni prima della crisi. E i suoi numeri sono migliori di quelli italiani».
Lei che ha lavorato alla Banca Centrale Europea, cosa pensa del ruolo della Germania in seno all’Europa?
«Il suo successo economico è frutto in parte dell’euro e, almeno nella fase iniziale, del cambio. Poi i suoi tassi di interesse sono più bassi e la Germania ha fatto importanti riforme sul mercato del lavoro. Quindi il relativo potere è commisurato alla stabilità della sua economia. La crisi dell’Europa risiede anche nella crisi delle istituzioni federali che hanno permesso movimenti di capitali dal Nord verso il Sud prima del 2008. Le grandi banche francesi e tedesche hanno alimentato l’eccessivo indebitamento della Spagna e dell’Irlanda».
E la Grecia?
«Combina tutti i mali, è un Paese molto corrotto con istituzioni fragili e alto indebitamento pubblico. Inoltre ha usufruito di prestiti franco-tedeschi a tassi molto bassi».
Come si fa a tenere insieme l’Europa?
«L’integrazione finanziaria e la moneta unica non possono funzionare senza altri pilastri».
Quali, ad esempio?
«Ci vuole un supervisore unico del sistema bancario per evitare eccessive esposizioni al credito, questo è stato fatto ed è un passo avanti. Si è stabilito che l’unione bancaria avrà il ruolo di supervisore comune, ma non si è capito però chi pagherà nel caso in cui una banca fallisca. Bisognerebbe puntare ad una maggiore integrazione, e cioè mettere risorse in comune utilizzabili in caso di crisi come si è fatto nel fondo salva-Stati».
Quando si uscirà da questa crisi?
«Gli Stati Uniti e i Paesi emergenti sono ormai fuori dalla recessione. E l’Europa ne uscirà alla fine del 2013».
E quale sarà il tasso di crescita?
«Per i paesi come l’Italia la crescita sarà minore che in passato anche per ragioni demografiche».
Qual è il futuro europeo in un mondo dove Asia, Sud America, Africa crescono e gli Stati Uniti continuano ad essere forti?
«Se l’Europa, compresa la Germania, non affronta il problema di mettersi in condizione di investire in “education”, se non verrà valorizzato il capitale umano e se non verrà risolto il problema della corruzione, sarei molto preoccupata. Bisogna che la politica monetaria e fiscale aiuti la ripresa. Questo ci dirà se l’Europa può competere o se si troverà nella situazione del Giappone, che dopo la crisi degli Anni 90 non è riuscito a rinnovarsi».
Come mai l’euro, malgrado tutto, tiene anche rispetto al dollaro?
«Per le politiche monetarie diverse della Bce e della Fed, che continua nella politica di stampare moneta in modo da tenere bassi anche per il futuro i tassi statunitensi».
Cosa pensa della produttività del nostro Paese?
«La produttività italiana ha stagnato per lungo tempo, e così anche i salari reali, che sono scesi a differenza del costo del lavoro. La componente produttiva e quella fiscale vanno integrate e regolate molto meglio, perché il fisco finisce per penalizzare il lavoro».
Qual è a suo avviso la ragione di questo rallentamento tutto italiano?
«Tutti i nostri mali si sono accumulati in maniera perversa. E quando non c’è più fiducia, un Paese non può funzionare perché tutti bloccano tutto e non si va avanti».
Qual è lo stato di salute del mondo universitario inglese ?
«In Inghilterra hanno fatto uno sforzo maggiore, e quindi hanno goduto del beneficio di una forte immigrazione intellettuale europea ed extraeuropea. Gli inglesi sono meno bravi nella educazione secondaria e nelle scuole pubbliche, un po’ come succede negli Stati Uniti».
Le università americane restano quindi le migliori?
«Sì, nell’innovazione, nella ricerca e nei laboratori. Però l’Europa deve in qualche modo competere».
Come descriverebbe il suo carattere?
«Sono abbastanza pessimista, ma bisogna avere il pessimismo dell’intelligenza e l’ottimismo della volontà».
Non avrebbe voglia di tornare in Italia?
«Sì, se ne valesse la pena, per fare qualcosa di veramente utile. Per il momento sto pensando di istituire una Business School in Sicilia in grado di competere con le altre scuole europee basata su una nuova classe media, su una grande domanda di “education” e sull’importazione di talenti dal Nord-Africa».