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 2012  dicembre 23 Domenica calendario

I PASSI OBBLIGATI PER TORNARE A CRESCERE


Quale che sia il giudizio che si vuol dare del governo Monti, resta il fatto che, grazie alla sua azione, l’Italia ha superato una gravissima crisi che rischiava di portare a un improvviso collasso il suo sistema di finanza pubblica; che lo spread, termometro di questa crisi, si è fortemente abbassato.

Che il bilancio pubblico si avvia, nel 2013, a un pareggio di fatto (ossia tenendo conto degli effetti della fase negativa del ciclo economico); che la struttura finanziaria pubblica risulta sostanzialmente irrobustita. Indipendentemente dai motivi che hanno spinto il Presidente del Consiglio a rassegnare le dimissioni, siamo quindi di fronte alla necessità oggettiva di voltare pagina, ossia di formulare nuovi obiettivi di politica economica, risultando sostanzialmente raggiunti quelli legati al superamento dell’emergenza.

Per una fortunata circostanza, questa necessità di voltar pagina si presenta nel momento in cui sta per iniziare una nuova legislatura. Gli elettori italiani hanno quindi la possibilità, e al tempo stesso la responsabilità, di determinare un nuovo corso. Nell’esaminare i programmi elettorali occorrerà porre particolare attenzione all’entità della crescita che si prevede di realizzare nel prossimo quinquennio, alla sua qualità, ossia all’origine settoriale e alla destinazione futura della produzione italiana e infine ai mezzi con i quali sarà possibile finanziarla.

Per quanto riguarda l’entità, all’Italia – a differenza degli altri Paesi avanzati – non basta tornare sul sentiero di crescita precedente la crisi perché il Paese sta emergendo da quindici-vent’anni da dimenticare e non può accontentarsi di tornare a crescere di qualche decimale all’anno. Un livello di crescita ragionevole si deve collocare almeno nell’ambito dell’1,5-2,5 per cento all’anno, corrispondente al ritmo che l’Italia era riuscita agevolmente a mantenere fino agli Anni Ottanta del secolo scorso e che gli altri Paesi dell’Unione Europea riescono a mantenere tuttora, nel lungo periodo, senza troppa fatica. A questi tassi di crescita, le prospettive della finanza pubblica e dell’occupazione migliorerebbero automaticamente.

Proporre una crescita stabilmente collocabile tra l’1,5 e il 2,5 per cento a un Paese che quest’anno segnerà una riduzione produttiva di circa il 2,5 per cento richiede una visione in campo lungo e un atto di coraggio. Di coraggio e ampie prospettive, di un modello di futuro da realizzare avrà bisogno la politica dei prossimi anni, oggi troppo miope e, assai spesso, anche meschina. Le forze politiche e il nuovo governo, in altre parole, non possono pensare di gestire un’Italia da Serie B, devono realizzare un’Italia da Serie A.

Una crescita di questa portata richiederà naturalmente condizioni internazionali favorevoli come la pace e il miglioramento della costruzione europea. E’ inoltre inevitabile ricorrere allo stimolo della domanda interna perché recuperi gradualmente i livelli passati; a tale scopo occorre procedere a una certa ridistribuzione di redditi in senso egualitario che restituisca almeno un po’ di potere d’acquisto a milioni di famiglie che l’hanno perduto. Per non restare sulla carta o produrre forti ingiustizie, colpendo i «soliti noti», tale ridistribuzione deve poggiare su un un’anagrafe dei patrimoni, di modello francese e procedere a un recupero strutturale dell’evasione fiscale.

Il recupero del potere d’acquisto non spingerà gli italiani a replicare il consumismo di una decina d’anni fa: i gusti sono profondamente mutati, con il lento affermarsi di stili di vita più sobri e occorrerà, per certi consumi collettivi, guardare con grande attenzione al cosiddetto terzo settore, e cioè al volontariato, e alle collaborazioni tra pubblico e privato. Nei bilanci famigliari dovrà inoltre essere ricostituita la capacità di risparmio, fortemente ridotta negli ultimi cinque anni; e questo nuovo risparmio dovrà indirizzarsi verso gli investimenti produttivi assai più che verso il finanziamento del debito pubblico.

Ma quali potranno essere questi nuovi investimenti? Le forze politiche dovrebbero presentare agli elettori la loro visione dell’Italia produttiva, da realizzare nei prossimi quinquenni, necessariamente sostenibile non solo da un punto di vista economico e finanziario ma anche a livello sociale ed ecologico e il nuovo governo dovrà facilitarne la realizzazione rimuovendo gli ostacoli che oggi di fatto impediscono, ritardano e distorcono quasi tutti i nuovi investimenti produttivi. Il nuovo governo, in altre parole, dovrà formulare una forte politica industriale, sciaguratamente messa in disparte negli ultimi quindici anni.

Ridistribuzione dei redditi e politica industriale devono costituire la cornice di un quadro di economia di mercato, del quale, per motivi internazionali oltre che interni, non si può proprio fare a meno. Del resto, altri Paesi europei, segnatamente Francia e Germania – sia pure in maniera profondamente diversa tra loro – si muovono in questa direzione e non si vede perché l’Italia non possa collocarsi in questo ampio solco. La cosa peggiore nella prossima campagna elettorale sarebbe un’offerta politica sostanzialmente vuota di contenuto, basata sugli slogan, sulle battute, sulle personalità individuali. L’Italia proprio non se la meriterebbe.
mario.deaglio@unito.it