Simonetta Robiony, la Stampa 22/12/2012, 22 dicembre 2012
CENERENTOLA, LA FIABA CHE NON FINISCE MAI
Mamma mia, quante Cenerentole ci sono! Per i baby boomers e i loro discendenti, Cenerentola è quella di Walt Disney: una figuretta gentile dai capelli biondi e gli occhi azzurri che scende di corsa lo scalone del principe perdendo nella fretta una scarpetta di cristallo. Poi ci sono le altre. Lo racconta la mostra Mille e una Cenerentola , a cura di Monika Woznik e Giuliana Zagra, dove la Polonia ha portato in libri e pannelli i suoi magnifici illustratori di fiabe, e l’Italia ha messo il resto con testi antichi, edizioni rare, abiti di scena, carrozze dorate in fuga verso il gran ballo dipinte sulle pareti e perfino spezzoni di film celebri a partire dalla Cenerentola di Meliès, la prima. Aperta fino a fine gennaio alla Biblioteca nazionale di Roma, è stata voluta per celebrare i 200 anni dalla raccolta di fiabe pubblicata in Germania dai fratelli Grimm, padri, insieme al francese Perrault che l’aveva scritta cent’anni prima, dell’archetipo di tutte le Cenerentole moderne. Ma tra i Grimm e Perrault le differenze sono molte. Perrault scrive per la corte di Luigi XIV un racconto morale, quindi la sua Cendrillon è dolce, buona, graziosa, d’animo nobile e modi gentili: è lui che inventa la storia della zucca traSformata in carrozza, dei topini diventati cavalli e della lucertola diventata lacchè, nonché il fatidico ordine di tornare a casa entro mezzanotte con altrettanto fatidica perdita della scarpetta, forse di vetro, (verre), forse di pelliccia, (vair), due grafie ma stessa pronuncia, dubbio su cui gli studiosi si stanno ancora interrogando. I i Grimm, in pieno romanticismo, scrivono invece per restituire alla Germania le sue radici, quindi attingono a piene mani nella tradizione popolare dura, crudele, realistica: la loro Aschenputtel è una ragazza sveglia che arriva a piedi al palazzo del principe e se ne va quando decide lei, sorride di fronte alle sorellastre costrette per calzare la scarpetta una a tagliarsi l’alluce l’altra il calcagno e non batte ciglio quando, durante la festa di nozze, le amiche colombe cavano loro gli occhi.
Ma chi l’ha inventata Cenerentola? Mistero. Cenerentola è un archetipo duro a morire le cui tracce si perdono nella notte dei tempi. E questa mostra ce lo racconta benissimo. Erodoto, proprio lui, parla di una certa Rodophis, schiava e prostituta dalla «guance rosa» nell’antico Egitto che, grazie al suo fascino, arriva a sposare il faraone. Gli rispondono i cinesi, nel IX sec dopo Cristo, raccontando la storia di Ye Xian, la ragazza che ha i piedi più piccoli del regno e alla festa perde un sandalo d’oro. Poi c’è Basile e il suo Lo cunto de li cunti , raccolta seicentesca di fiabe popolari. E’ qua che appare per la prima volta Zezolla, la Gatta Cenerentola , cui nel 1976, al festival di Spoleto, Roberto De Simone dedicherà uno dei suoi migliori spettacoli di canto e danza. Principessa defraudata, uccide la matrigna spingendo il padre a sposare la sua balia che si rivelerà donna crudelissima nonché piena di figlie viziate e ambiziose. E’ Zezolla che genera le 345 Cenerentole contate nel 1951 dalla studiosa svizzera Anna Roth, a partire dall’opera buffa di Rossini recentemente diretta nelle ville sabaude da Andrea Andermann per la Rai, poi il balletto di Prokoviev, i testi illustrati tanto da Gustavo Dorè quanto da Roberto Innocenti, la versione in rima de Il Corriere de’ Piccoli fino ai versi della poetessa inglese Sylvia Plath, alla parodia di Carlo Chiaves che a inizio secolo trasformò Cenerentola in una vittima di molestie, alla fiaba capovolta di Rodari dove il principe sposa una sorellastra, allo spettacolo di Emma Dante incentrato sulla sorellastra Genoveffa, all’elegantissima grafica creata da Charlotte Gastant per l’ultimo libro su Cenerentola, appena pubblicato da Gallucci.
In mostra c’è tutto. I costumi dell’Opera di Roma, in broccati pesanti panna e oro indossati dalla Simionato o dalla Bergonzi per Rossini o in chiffon e veli lievissimi che Vera Squarciapino fece per Carla Fracci e i suoi ballerini per Prokoviev. La scarpetta in cristalli Swaroski che Ferragamo ha costruito per Drew Barrymore, una delle ultime Cenerentole di Hollywood, il n brano di Gramsci che, da studioso del nazional-popolare cita Cenerentola e persino la copertina di un libro di favole africane suggerite da Nelson Mandela con tanto di Cenerentola nella savana.