Luca Fraioli, la Repubblica 22/12/2012, 22 dicembre 2012
LA SIGNORA DELLE SCIENZE
[intervista a Fabiola Gianotti]
Per Time la sua reputazione è già leggendaria. Fabiola Gianotti a 50 anni ha guidato una squadra di migliaia di scienziati in uno degli esperimenti più complessi mai concepiti dalla mente umana. Li ha guidati fino al traguardo: scoprire il bosone di Higgs, la particella fantasma inseguita dai fisici per quasi mezzo secolo. Un’impresa che secondo la rivista americana colloca la ricercatrice italiana tra le cinque persone più importanti dell’anno, subito dopo il presidente Usa Barack Obama, Malala Yousafzai, la ragazza pachistana simbolo della lotta delle donne contro i talebani, Tim Cook, l’erede di Jobs al timone della Apple, e il presidente egiziano Mohamed Morsi.
Una donna di successo in una posizione di grande responsabilità... Dottoressa Gianotti, lei sembra rappresentare tutto quello che in Italia è considerato impossibile. Come ci è riuscita?
«Studiando e credendo negli obiettivi che mi ero data. Se si ha il coraggio e la forza di insistere nessun traguardo è irraggiungibile, ma ci vuole anche molta modestia: dobbiamo essere consci di quanto poco sappiamo e di quanto c’è ancora da scoprire. E poi devo tanto alla scuola italiana, dove per scuola intendo tutto il percorso formativo: dalle elementari all’università».
Persino Time,
nella sua “motivazione”, sottolinea però il suo essere donna in un mondo come quello della fisica dominato dagli uomini. Lei ha fatto più fatica dei colleghi maschi?
«No, non ho mai subito alcun tipo di discriminazione. L’ambiente del Cern è talmente ricco: migliaia di scienziati che arrivano da tutto il mondo, uomini e donne, neolaureati che lavorano gomito a gomito con premi Nobel. Gli esperimenti che si fanno qui, oltre a essere una grande avventura scientifica e tecnologica, sono un’avventura umana molto speciale e, soprattutto per i giovani, un’importante scuola di vita».
La sua carriera sarebbe stata la stessa se invece che volare a Ginevra fosse rimasta in Italia?
«La mia non è la storia di un cervello in fuga... Dopo il dottorato vinsi un posto da ricercatore a Milano. E un paio di anni più tardi una borsa di studio e poi un contratto permanente al Cern. Ho avuto quindi la possibilità di lavorare nel laboratorio di punta a livello mondiale nel nostro campo. Ma certo, per molti giovani scienziati è quasi impossibile restare in Italia. In questi tempi di crisi si tende a sacrificare la ricerca di base, perché non ha un impatto immediato sulla società. In realtà è linfa vitale che alimenta la ricerca applicata e quindi lo sviluppo di un paese».
Visto dal Cern e dalla copertina di
Time,
come le appare il nostro Paese?
«Come un Paese che spreca i suoi talenti. I giovani ricercatori italiani in fisica delle particelle
sono bravissimi e vanno a ruba all’estero. Merito delle nostre università e dell’Istituto nazionale di fisica nucleare, che hanno una grande tradizione. Anche la scoperta del bosone di Higgs è frutto di questa tradizione. Ma a furia di perdere i talenti migliori le nostre
istituzioni di punta rischiano di perdere la loro leadership».
Cosa direbbe a un giovane studente o ricercatore scoraggiato per come vanno le cose in Italia?
«Quello che ho detto a uno di
loro, uno studente lavoratore, che mi ha scritto: insisti e trova dentro di te la forza per raggiungere i tuoi obiettivi, come ho fatto io».
E lui?
«Ha continuato a studiare ed ora è un brillante ricercatore, non certo per merito mio, ma mi piace pensare di aver dato un piccolo contributo».
Lei chi deve ringraziare per aver studiato tanto?
«I miei genitori (un geologo e una letterata,
ndr)
che mi hanno trasmesso il rigore intellettuale e la serietà».
Da studentessa di liceo classico a matricola del corso di fisica delle particelle. Come mai?
«Colpa di Einstein e di Marie Curie. A diciassette anni lessi una biografia della scienziata polacca. Ed ero ancora al liceo quando
rimasi folgorata dalla spiegazione che Einstein aveva dato del-l’effetto fotoelettrico. La trovai bellissima. E poi quelli erano gli anni in cui Carlo Rubbia vinceva il Nobel per aver scoperto i bosoni W e Z».
Poi Rubbia lo ha ritrovato come “collega”.
«Come dicevo, è quello che accade al Cern. Ricordo ancora quanto ero intimidita il giorno che lo incontrai la prima volta. Poi ho scoperto il suo grande sen-
so dell’umorismo, che nel nostro lavoro non guasta».
Un altro mito per i fisici è Peter Higgs, lo scienziato britannico che nel 1964 previde l’esistenza di quella “particella di Dio” che da allora porta il suo nome. Quando il 4 luglio scorso lei ha dato l’annuncio che finalmente il Large hadron collider del Cern l’aveva “vista” Higgs era in platea e si è messo letteralmente a piangere. Cosa ha provato quel giorno?
«Ero molto emozionata anch’io. E non solo per la presenza di Higgs che vedeva coronata la sua carriera di scienziato. Ma perché in quell’aula c’erano tanti fisici che hanno fatto la storia del Cern. Costruire Lhc è stata un’impresa senza precedenti, e ha richiesto vent’anni di sforzi di migliaia di scienziati di tutto il mondo».
Ci vuole il pugno di ferro per coordinare migliaia di ricercatori?
«Al contrario, le decisioni si prendono per consenso. Un minimo di organizzazione e gerarchia servono per essere efficienti, ma devono essere esercitate in modo soft per non soffocare le
idee e la creatività dell’individuo. Nella ricerca quello che conta sono le idee. Se il più giovane degli studenti ha un’intuizione brillante, l’esperimento la persegue ».
Torniamo a
Time,
che effetto le ha fatto finire nella cinquina delle persone dell’anno?
«Lo considero un grande onore. Un riconoscimento che però condivido con le migliaia di scienziati che lavorano su Lhc».
Se avessero chiesto a lei, a chi avrebbe dato la copertina di
Time?
«La scelta di Obama mi trova d’accordo, per tutto quello che il presidente americano rappresenta. Ma c’è moltissima gente sconosciuta che ogni giorno fa grandi cose. Sono loro i veri eroi dell’umanità. E ci vorrebbero milioni di copertine».