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 2012  dicembre 23 Domenica calendario

«CHE FATICA FAR CRESCERE IL PALLONE DEI PICCINI»

Ci sono club, la maggior par­te, che l’importanza dei giovani l’hanno scoperta (o riscoperta) in coincidenza del­l’anno zero del pallone italico, e chi invece da sempre sa che il bel­lo del calcio è veder crescere e poi lanciare talenti ’prodotti in casa’.
Difficile però trovare in Italia uno come Mino Favini, 76 anni - re­sponsabile del settore giovanile dell’Atalanta - , che da quaranta cura la crescita di pulcini che pro­veranno a volare fino alla Prima­vera, per poi tentare quel grande salto da ’uno su un milione ce la fa’ nella massima serie. La secon­da casa di mastro Mino si trova a 96 km, «tra andata e ritorno in au­to, tutti i giorni», dalla sua resi­denza di Meda: è il Centro Borto­lotti di Zingonia. Il campo-base dell’Atalanta e del suo florido vi­vaio: la prima cantera italiana, l’ottava in Europa, secondo Spor­tintelligence. Un riconoscimento internazionale che a Vinovo o a Milanello avrebbero festeggiato a champagne e sbandierato ai quat­tro venti, qui invece Favini lo vive con la consueta umiltà del saggio, mentre ripercorre la sua lunga storia del mister che sussurra ai talenti, già dal 1970. «La vocazio­ne per il calcio giovanile è arrivata presto, quando giocavo mezzala nel Brescia e lì incontrai Karl Ne­ski. Un maestro della tecnica l’au­striaco che amava ripetere: vale più un primo controllo del pallo­ne fatto bene che cento metri cor­si in 10 secondi. È diventato an­che il mio primo comandamen­to ». Alla fisicità esasperata, specie quella del calcio postmoderno, Favini ha sempre anteposto l’elo­gio del bel gesto tecnico. «La pri­ma scelta va fatta sempre sull’atti­tudine tecnica dell’allievo. Ai miei istruttori ricordo spesso: attenzio­ne, quando vedete il ragazzino che fa il ’venessian’, cioè quello che in partita cerca di continuo il possesso palla, siete di fronte al primo segno di riconoscimento del talento. Ma la bravura da sola non basta, occorre tanta applica­zione e sacrificio costante». Sorri­de Favini mentre la memoria lo ri­porta alla sua infanzia: «Da picco­lo, mi bastava un muro per eserci­tarmi: per 1000 colpi di testa sen­za mai far cadere il pallone in ter­ra impiegavo 16 minuti. È un gio­chino antico, come tutti quelli che però ti insegnano i fondamentali.

Testa-palla, petto-palla, coscia­palla, piede- palla, più vivacità, entusiasmo e volontà: sono questi gli ingredienti dell’eterna ricetta per far crescere bene i nostri ra­gazzi ». E nella sua bottega d’arti­giano del calcio, di campioni del domani ne ha tirati su in quantità industriale. Ad iniziare dal bien­nio 1962-’64, al Como. «Otto di quei ragazzi che oggi vanno per i cinquanta (i vari Fusi, Galia, In­vernizzi, ecc…), debuttarono in prima squadra con il Como, in Serie A. Tra loro c’era Stefano Borgonovo che quando posso vado a Giussano a trovarlo». Si commuove Favi­ni pensando al «mio ragazzo» che sta affrontando la partita più dura, quella contro Sla (Sclerosi laterale amiotrofica).

Poi riprende: «Prima avevamo lanciato due gioielli del ’59, Vier­chowod e Matteoli, un secondo fi­glio per me». Vent’anni dorati sul Lago di Como, un solo rimpianto: «Oreste Didonè, un fenomeno, senza l’infortunio avrebbe fatto tutta un’altra carriera», fino alla chiamata nel 1990 di Franco Pre­vitali a Zingonia, per creare la grande cantera nerazzurra.

«Quando sono arrivato all’Atalan­ta c’era un progetto avviato, il mio compito è stato quello di miglio­rare quanto di buono avevano già messo in piedi». Favini passa in rassegna le squadre giovanili del suo secondo fantastico ventennio, come farebbe un enologo con le annate migliori del vino e la degu­stazione cade sull’altro biennio magico delle premiate classi 1974-’76. «La formazione con Morfeo, Tacchinardi e Locatelli.

Tre ragazzi che fecero la fortuna di Prandelli che ha cominciato qui con noi. Gli dissi: Cesare, prendi gli Allievi quest’anno che poi il prossimo ti faranno vincere e di­vertire con la Primavera. Risulta­to: scudetto con gli Allievi e l’anno dopo campioni d’Italia Primavera e 1° posto al Torneo di Viareggio».

Consigli preziosi per Prandelli che da Zingonia sarebbe arrivato alla guida della Nazionale, tenendo sempre a mente i valori condivisi con ’mastro’ Mino: lo spirito ora­toriale del calcio, l’educazione e la formazione culturale dei giovani.

Assiomi che si possono compren­dere passando in rassegna le rela­zioni semestrali, gli ’Obiettivi e­ducativi’ redatti dalla psicopeda­gogista, dott.ssa Lucia Castelli. So­no le pagelle lette e analizzate an­che da Favini e da don Fausto Re­smini, direttore della Casa del Giovane di Bergamo dove allog­giano i 20 ragazzi ’fuori-sede’ dell’Atalanta. «Legga qua, valutia­mo con voti dall’1 al 5, aspetti fondamentali del profilo caratte­riale dei ragazzi, dal ’si alza in o­rario al mattino’ , al ’ha un buon profilo scolastico’. Mi arrabbio sempre quando nelle pagelle di scuola trovo delle insufficienze. Li educhiamo a tenere il doppio passo, scuola e campo, ma il com­pito più difficile è diventato edu­care i genitori. Molti di loro se ne infischiano se il figlio va male a scuola, l’importante è che giochi, che arrivi in alto e che guadagni tanti soldi con il calcio. Non han­no capito invece che dobbiamo investire sempre di più sulla for­mazione culturale di questi ragaz­zi ». L’Atalanta intanto per il suo settore giovanile, una dozzina di squadre, oltre 200 giovani tessera­ti, investe 3,5 milioni di euro l’an­no («la maggior parte se ne va in trasporti abbiamo un pullman e dieci pullmini»), poco me­no delle tre ’grandi sorelle’: Milan, Juve e Inter. Anche così si spiegano gli 11 ti­toli nazionali, tra scudetti e coppa Italia, che Favini può salutare ogni volta che apre la porta della sua seconda casa di Zingonia.

«Le squadre migliori a livello giovanile non sono quelle che vincono di più, ma quelle in cui hai dato un’impronta ta­le che consentirà alla mag­gior parte del gruppo di ar­rivare al professionismo». E da questo punto di vista Fa­vini può dirsi il maggior vin­cente. «Le vere sconfitte è quando perdi dei ragazzi per sempre, co­me i poveri Chicco Pisani e Pier­mario Morosini, due angeli volati via troppo presto...». Sì fa triste in volto, ma torna ad illuminarsi ap­pena pensa «ai 18 italiani e appe­na 2 stranieri della rosa della Pri­mavera » e alla gemma scoperta in Svezia: «Joakim Olausson, del ’95, gioca a tutto campo. Ne riparlia­mo tra qualche tempo...». Ed è raggiante quando vede sbucare dagli spogliatoi ’Jack’ Bonaven­tura, classe 1989, l’ultima perla del suo vivaio e ora titolare irre­movibile nell’Atalanta di Colan­tuono, che viene a fargli gli auguri di buon Natale. «Il dono che vor­rei? Trovare sempre il coraggio di cambiare. E poi, poter smettere il più tardi possibile di accompa­gnare questi miei amati ragazzi verso un futuro migliore».