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 2012  dicembre 17 Lunedì calendario

L’Europa che non c’è: nessuna riforma prima del voto tedesco - Basta. Che noia! Doveva es­sere un Consiglio euro­peo storico, quello del 13 e 14 dicembre a Bruxelles, si è ri­velato, ancora una volta, incon­cludente

L’Europa che non c’è: nessuna riforma prima del voto tedesco - Basta. Che noia! Doveva es­sere un Consiglio euro­peo storico, quello del 13 e 14 dicembre a Bruxelles, si è ri­velato, ancora una volta, incon­cludente. È stato così l’8-9 di­cembre 2011 e il 28-29 giugno 2012, è stato così anche giovedì e venerdì scorso. Risultato della riunione dei capi di Stato e di go­verno? Un rinvio. Come tutte le altre volte. E non a date vicine o rilevanti dal punto di vista delle scadenze di politica economica previste dal semestre europeo. Ma a date ben calcolate per per­mettere alla cancelliera tedesca Angela Merkel di superare in­denne le elezioni di settembre 2013 in Germania. Anteponen­do, di fatto, gli interessi di un so­lo paese egemone a quelli di tut­ti gli altri paesi, di fatto sudditi. Il Consiglio europeo della scorsa settimana a Bruxelles do­vev­a finalmente avviare la realiz­zazione delle quattro unioni (bancaria, economica, politica e di bilancio), già presentate e di­scusse a ottobre 2012, volte a col­mare le lacune derivanti dalla imperfetta costruzione dell’eu­ro. Ebbene, tutto rinviato. A giu­gno 2013. Ci troveremo esatta­mente un anno dopo (la corri­spondenze delle date è perfetta: 28-29 giugno il vertice del 2012; 28-29 giugno il vertice in calen­dario per il 2013) a discutere su­gli stessi argomenti. Il presiden­te del Consiglio europeo, Her­man Van Rompuy, potrà rispar­miarsi anche di stilare l’ordine del giorno: gli basterà riprende­re quello di un anno fa e cambia­re data. Si badi bene, però, che anche le conclusioni sono già scritte. È già previsto che non si deciderà un bel niente: tutto slit­ta a dopo le elezioni tedesche. Un vertice che non è servito a niente? Beh, no. Qualcosa si è fatto. È stato sancito un accordo sulla vigilanza unica bancaria af­fidata alla Banca centrale euro­pea. Andiamo a guardare l’ac­cordo nel dettaglio. Al contrario di quanto davvero utile a una ve­ra integrazione bancaria, il con­trollo diretto della Bce non sarà su tutte le banche dell’Eurozo­na (6.000 istituti), ma solo su quelle definite«sistemiche»(cir­ca 200). E il sistema diventerà pienamenteoperativoil1˚ mar­zo 2014. Anche in questo caso, dopo le elezioni tedesche. Anco­ra una presa in giro. E non è una casuale coinci­denza. Così come non è casuale la definizione del perimetro di controllo della Bce. La Germa­nia non avrebbe dato via libera all’accordo se esso non fosse sta­to stilato come voleva la cancel­liera Merkel. Vigilanza unica af­fidata all­a Bce ma solo sulle ban­che di rilevanza sistemica. Asso­lutamente no sugli istituti regio­nali - le Landesbanken - o sulle casse di risparmio- le Sparkasse - dove in Germania si annida la più alta opacità e la più alta com­pr­omissorietà tra credito e pote­re politico locale. Bell’esempio di irresponsabilità. Al primo semestre del 2013 e all’istituzione di un efficace si­stema di vigilanza unico, inol­tre, è stata subordinata la facol­tà, da parte del Meccanismo eu­ropeo di stabilità, di ricapitaliz­zare direttamente gli istituti ban­cari dell’Eurozona. A ciò si ag­giunge che, quando la ricapita­lizzazione sarà finalmente pos­sibile, questa potrà avvenire so­lo per debiti contratti dalle ban­che dopo l’avvio del sistema di supervisione unico. Tale deci­sione porta con sé l’abbandono della Spagna a se stessa. E viene meno l’obiettivo per cui il Mes è sta­to creato: fornire soccorso ai Paesi dell’Eurozona sotto attacco spe­culativo. Il con­trario di quello per cui è stato pensato. Bell’ac­cordo: la soluzio­ne per la Spagna arriverà quando ormai sarà trop­po tardi. E si rive­lerà insufficien­te. In altri termi­ni, agli spagnoli oggi: arrangiate­vi! Piuttosto che distruggere il so­gno di integrazio­ne di milioni di cittadini euro­pei, la Germania, avrebbe dovuto garantire la cre­scita dell’Eurozo­na. Ma così non è avvenuto. La riduzione dei tassi di inte­resse che si è veri­ficata nell’Euro­zona con la crea­zione della mone­ta unica, ha porta­to, a un surriscaldamento della domanda interna e delle impor­tazioni. Ma il sistema di cambio fisso vigente nell’unione mone­taria non ha consentito ai paesi caratterizzati da bassa produtti­vità, cosiddetti «cicala», di ri­spondere agli squilibri con le tra­dizionali svalutazioni competi­tive. Subendo di fatto l’effetto di una rivalutazione monetaria e indebitandosi conseguente­mente, con tutto ciò che ne deri­va. Con la sequenza: deficit del­la bilancia commerciale; deficit della bilancia dei pagamenti; de­ficit della finanza pubblica. Si è ampliato il divario tra que­sti paesi e i paesi «formica», che invece hanno capitalizzato, an­che oltre il dovuto e contro gli al­tri Stati dell’euro, i risultati con­seguiti con le riforme attuate tra la seconda metà degli anni 90 e i primi anni 2000. Anni, fino al 2003, in cui la Germania non ha affatto rispettato i parametri di Maastricht, arrivando addirittu­ra a definirli «stupidi». Ma l’Unione dovrebbe basarsi su principi di solidarietà, non sulle recriminazioni. E gli interessi dei paesi cosiddetti «virtuosi» non dovrebbero essere contrap­posti a quelli dei paesi conside­rati più deboli, bensì dovrem­mo comprendere le specificità di ciascuno di essi. Non è un caso se negli ultimi tre anni gli interessi sul debito pubblico dei paesi «formica» si sono più che dimezzati (in Ger­mania i rendimenti sono passa­ti dal 3% medio del periodo pre­cedente la crisi all’1,5%-1% at­tuale) a scapito dei rendimenti dei titoli di Stato dei paesi «cica­la », il cui repentino aumento è noto a tutti (dal 4% medio a oltre il 6% in Italia). D’altronde non c’è da stupir­si: tutto perfettamente in linea con l’egoistico disegno tedesco di egemonizzare l’Europa. Per­fettamente in linea, anche, con la teoria dei «compiti a casa» in politica economica, che il pre­mio Nobel Paul Krugman, in un editoriale dell’11 dicembre sul New York Times , ha paragonato alla medicina medievale: «salas­sare i pazienti per curare i loro malanni, e quando il sanguina­mento li fa star peggio, salassarli ancora di più». La soluzione, dunque, al di là di tutto quanto (non) fatto fino­ra è una sola: i paesi che registra­no un surplus nella bilancia dei pagamenti hanno il dovere eco­nomico e morale non di presta­re i soldi, non di «salvare» gli Sta­ti sotto attacco speculativo, ma di reflazionare. Cioè aumentare la loro domanda interna, trai­nando le economie degli altri. Si riequilibrano così anche i conti pubblici e tornano ai livelli fisio­logici­i tassi di interesse sui debi­ti sovrani. Quindi i tassi di cresci­ta dei paesi sotto attacco specu­lativo. Oggi in Europa sono in discus­sione quattro grandi scelte, fon­damentali per il futuro. Il nostro paese appoggia il presidente della Bce, Mario Draghi, sul­l’unione bancaria. È favorevole all’unione economica,vale a di­re al lancio di Eurobond , Stabili­ty bond e Project bond , e guarda con favore l’unione di bilancio, avendo approvato il Six pack ne­gli anni di governo Berlusconi; votato il fiscal compact durante il governo Monti; approvato la modifica dell’articolo 81 della Costituzione in tema di pareg­gio di bilancio. Infine, il nostro Paese ha sempre avuto un atteg­giamento favorevole sul raffor­zamento delle istituzioni euro­pee, attraverso il maggior ruolo del Parlamento europeo e l’ele­zione­diretta del presidente del­la Commissione, fin dalle prossi­me elezioni del 2014. Se guardiamo l’atteggiamen­to d­ei nostri partner europei su­gli stessi punti, invece, abbiamo visto come (e perché) i tedeschi siano contrari all’unione banca­ria e contro l’unione economi­ca. La Francia non vuole alcun progresso in termini di unione politica, per non cedere quote ulteriori della propria sovranità nazionale. E sull’unione di bi­lancio Francia e Germania si ac­cusano a vicenda, accampando altre priorità. A questo punto, chi è più euro­peista? Il nostro paese o Angela Merkel? Già in due occasioni, la Germania autoritaria e nazista, con mezzi militari, ha distrutto se stessa e l’ordine europeo. Quella di oggi, burocratica, ege­monica e revanscista, la smetta di provarci ancora. Sarebbe la terza volta in cent’anni.Franca­mente è troppo. Ridateci la gran­de Europa, generosa, solidale, lungimirante, decisionista, di Adenauer, di Kohl, di De Gaspe­ri e di Craxi. Ben diversa dalla mi­seria attuale.