Matteo Nucci, il Venerdì 21/12/2012, 21 dicembre 2012
IL MIO POVERO INCERTO NATALE GRECO
ATENE. Hungry but chic. Affamati, ma chic. Lo slogan campeggia sulla vetrina di uno dei negozi semivuoti di Ermou, la via del Corso di Atene. Non sembra una scelta memorabile. E non solo perché il negozio continua a licenziare e non paga da luglio parecchi dipendenti. Questo, i passanti potrebbero anche ignorarlo. Il fatto è che nei dintorni c’é ben poco da essere chic. Su Ermou si aggirano innumerevoli mendicanti. Nelle strade laterali i senzatetto si stendono sotto i portici dietro barriere di cartone. La guerra, in Grecia, non si è fermata con le feste.
I negozi chiudono uno dietro l’altro. Locali un tempo pieni si svuotano. Nei grandi magazzini gli inservienti sono immobili come custodi di un museo. Preferirebbero essere occupati. Sanno cosa li aspetta se i consumi non riprendono a crescere. Fuori, infatti, si soffre. Nelle scuole, i bambini malnutriti svengono. Negli ospedali mancano i farmaci. Di fronte alle mense cittadine si allungano code serpentine. Segni di vera ripresa non arrivano. E nessuno crede che il peggio sia già arrivato.
Eppure c’è qualcosa di nuovo in questo Natale greco. Una specie di fibrillazione finora sconosciuta a fine anno. Me lo spiega in poche frasi un vecchio pensionato che vive con meno di 500 euro al mese. Sta seduto in piazza Kodzia, la mattina in cui, dopo giorni di gelo, il sole alza le temperature quasi a 20 gradi e improvvisamente i mercati natalizi più popolari si riempiono di folla brulicante, un ciondolio di pacchi e pacchetti, sfrigolare di carta da regali. Sta lì fermo da ore, impassibile e beato. «Ah, questa si che è vita» mormora. «Non trova che Atene sia la città più bella del mondo? Con questo sole. L’aria delle montagne e del mare. Niente di meglio per accogliere i miei nipoti. Perché tutti quanti aspettiamo chi torna, adesso». Eccola qui, la novità. Il vecchio Athanasios ha tre nipoti che lavorano sparsi per l’Europa del nord. E sono poche le famiglie che non contano qualche giovane esponente della nuova generazione di migranti. Così la festa più importante in Grecia, la Pasqua, passa quasi in secondo piano.
«A Natale tutti tornano» mi racconta Anna Keitologou, 26 anni, un fratello in Inghilterra. «Perché si assecondano i ritmi dei Paesi protestanti». Cosi le case si preparano a festeggiare i ritorni nella migliore e più antica tradizione elladica, quella che diede il nome al dolore (algos) del ritorno (nostos): la nostalgia.
Anna ha cinque amiche strette, di cui quattro sono partite. L’unica rimasta non è pagata da settembre, ma si rifiuta di lasciare la Grecia. «I nostri genitori ci dicono di andare. Pochissimi trattengono i figli». Lei stessa partirà. Destinazione Amsterdam. Per ora studia nell’ottima e selettiva scuola statale delle Belle Arti, dove però non c’e più nulla tranne i professori (dimezzati): né carta, né matite, né altri strumenti. Guadagna facendo tatuaggi e si paga i 190 euro mensili di affitto nel suo monolocale da 15 metri quadri. Di cui è felicissima. Ha un piccolo terrazzo da cui si vede il Partenone. Lì, al sole, prepara i regali per il fratello. Regali simbolici. Non compreranno quasi nulla, in famiglia. Si spenderà soltanto per la cena del 24 e il pranzo del 25.
Per il resto ci si arrangia. Mercati e mercatini a bassissimo prezzo aprono ovunque, dalle piazze alle metropolitane. Mentre le aree dello shopping tradizionale hanno aspetti desolanti. Anche nello zone più ricche. Dimitris Vlissides, psichiatra, primario all’ospedale di Voula, mi accompagna a Glyfada, sul mare, poco lontano dalle stanze in cui riceve pazienti inserendoli in liste sempre più lunghe (personale dimezzato: attese quadruplicate, da una settimana a un mese almeno). Le ville dei più ricchi sono come bunker sorvegliati da guardie private e da enormi masse di filo spinato sulle mura protettive, quasi fossero zone militarizzate, ma i negozi ancora aperti, scintillanti di luminarie natalizie, sono deserti. Vlissides ha visto decrescere il suo stipendio del 38 per cento. Oggi guadagna 2000 euro al mese. «E sono primario da ventisette anni. Lei immagina qual è la differenza rispetto ai miei colleghi europei? Figuriamoci se mi metto a fare grandi regali. Qualcosa ai miei figli, certo. Però il mio vero contributo sarà in cucina». Festeggiare tutti insieme: il rito del simposio. Anche Vlissides ha un figlio in Inghilterra, ma nel suo caso il ragazzo ci è nato e cresciuto perché lui stesso aveva cercato lavoro lì prima di trovarlo in patria. «Non bisogna esagerare con il vittimismo. Partire è un bene. Apre la mente. Scuote dalle certezze». Alcune certezze che da psichiatra esperto mette in dubbio riguardano un altro tipo di fuga particolarmente di moda negli ultimi tempi in Grecia, la fuga da tutti i problemi, quella definitiva. Secondo i dati sono 3124 i suicidi negli ultimi tre anni. «Ma io credo che sia cambiata soprattutto la percezione dell’atto in sé. Non lo si considera più esecrabile, la condanna della chiesa pesa meno e dunque i dati sono più credibili che in passato». Vlissides tossisce il suo raffreddore nelle stanze gelide dello studio dove riceve. «Lo Stato non paga più il riscaldamento» dice, ma preferisce cambiare argomento. E già si sfrega le mani spiegandomi la sua versione del maiale al forno. «Il tacchino non è parte della nostra tradizione».
Si festeggerà comprando questo cibo e bevande non molto altro. Neppure i generi di estremo lusso. «È una favola quella secondo cui i grandi ricchi spenderebbero con una specie di ostentazione» racconta Eleftheria Tseliou, proprietaria della galleria d’arte Batagianni, una delle più importanti di Kolonaki, il quartiere ricco del centro. «Da noi le vendite sono dimezzate. Per il resto, si guardi intorno, basta fare due passi qui fuori. Io però sono ottimista. Lavorando bene ne usciremo meglio».
È un’idea che hanno anche altri, anche chi è meno ottimista. Ci penso passando dalla via Condotti di Kolonaki, Patriarhi Ioachim, alla popolare Ipokratous, nel quartiere accanto, ancora segnato da recenti scontri nella ricorrenza della morte di Grigoropoulos, quindicenno ucciso nel 2008 da un poliziotto. La via è zeppa di negozi di mille generi, cianfrusaglie, antiquari, modellismo, miniaturisti. Su tutti però svettano munifici rivenditori di libri usati. Qui i negozianti confermano un dato sorprendente. Il giro di libri usati è in crescita. Molti svuotano case e svendono volumi di pregio. Molti vengono a comprarne: più poveri di prima, ma anche più numerosi. Forse sono quelli che non possono più permettersi le novità? O magari i recenti disoccupati che hanno più tempo per leggere? Fatto sta che, unici in Europa, qui i lettori sembrano crescere. Altro che chic. Il futuro qui non lo costruirà la moda. Del resto, già duemilacinquecento anni fa lo spiegavano così: per produrre si deve studiare, per studiare occorre il tempo libero. Ecco perché la parola scuola in greco antico significava apparentemente tutt’altro. Scholé. Ossia, ozio.
Matteo Nucci